Il futuro prossimo messo all'indice
Due giovani appassionati di matematica si incontrano in un campus e fanno scintille. Per mesi, si punzecchiano, si lanciano sfide per vedere chi è il più bravo. Gli amici di allora sostengono che aspettavano con timore il giorno in cui i due sarebbero arrivati alle mani, vista la competizione feroce tra loro. Invece, Larry Page e Sergey Brin, dottorandi alla Stanford University, decidono di fondare una società che prende il nome di Google. Da allora, tanto il nome di Google che quello dei suoi fondatori sono diventati così noti che un libro a loro dedicato deve necessariamente sfuggire al triste compito di un'esaltazione acritica delle loro gesta. Allo stesso tempo, però, ogni analisi critica di Google deve fare i conti proprio con la sua notorietà, che rende socialmente sospetti chiunque esprima, appunto critiche, o solo dubbi.
Di queste difficoltà era consapevole John Battelle quando ha deciso, quattro anni fa, di scrivere un libro su Google. Ma piuttosto che farne un'ennesima storia, la sua scelta è stata di usare Google per parlare della rilevanza scientifica, culturale, economica dei motori di ricerca. Un libro questo pubblicato da Raffaello Cortina - Google e gli altri, pp. 395, euro 25,50 - dunque ambizioso. Ma, così facendo, Battelle si è inoltrato in un terreno minato.
In primo luogo, in questi cinque anni Google è diventata il motore di ricerca per eccellenza. Poi Larry Page e Sergey Brin sono entrati trionfalmente nell'Olimpo di Wall Street, mentre cominciano a manifestarsi «dispositivi» tecnologici per il cosiddetto web semantico, intendendo con ciò programmi informatici relativi alle ambivalenze, ridondanze e spesso indeterminatezza del linguaggio umano anche per quanto riguarda la ricerca su Internet. Il risultato è un libro che, sebbene Google vi faccia la parte del leone, sovrappone teorie e metodologie del search engine optimization ad aneddoti delle recenti vicende della Silicon Valley. Così, veniamo a sapere che l'algoritmo PageRank usato da Google è stato brevettato dalla Stanford University ma è in uso gratuito da Page e Brin fino al 2011. Allo stesso tempo, scopriamo che l'esperienza industriale dei motori di ricerca è un deja vu di una storia che ha visto, in questi ultimi decenni, uomini con buone idee in testa che fondano società e venture capitalist che a un certo punto chiedono alle imprese foraggiate con i loro investimenti di diventare «grandi» e smetterla con quell'attitudine ludica e «antieconomica» così diffusa tra i geeks, cioè i giovani tutti tastiera e mouse. Non sorprende neppure che l'autore nutra una acritica ammirazione per Larry Page e Sergey Brin, sentimento peraltro molto diffuso tra gli studiosi di Internet. L'aspetto più rilevante del libro non sta ovviamente negli aneddoti o nella ricostruzione storica di Google, quanto nella definizione che John Battelle fa del cosiddetto database delle intenzioni.
Con questa espressione l'autore indica la mole di dati relativa all'insieme delle operazioni compiute su Internet. Sono operazioni banali, ma che costituiscono, secondo Battelle, una sorta di «deposito culturale» delle società contemporanee, perché rappresentano sia le forma di vita già presenti nel cyberspazio, ma anche una sorta di archivio delle intenzioni future. Compito dei motori di ricerca è rendere interpretabile il database delle intenzioni. Non solo perché danno «forma» a una mole indistinta di dati, ma anche perché permettono di elaborarla. Dunque, i motori di ricerca consentono una rappresentazione dell'esperienza vissuta e, al tempo stesso, possono aiutare nel lavoro di definizione delle linee di tendenza che caratterizzeranno il futuro. Internet, dunque, come bacino di intelligenza collettiva in cui convivono passato, presente e futuro.
E' in questa realtà che Google ha fatto la sua fortuna. Il punto di partenza di Larry Page e Sergey Brin era, appunto, l'esistenza di una mole gigantesca di siti Internet e la necessità di uno strumento da cui ricavare informazioni utili. L'algoritmo che hanno sviluppato è stato se non il migliore sicuramente quello più innovativo rispetto allo stato dell'arte di Internet. Google, ma anche i suoi meno noti fratelli maggiori hanno però cambiato il World wide web. Non solo perché la presenza in rete oramai passa per i motori di ricerca, ma anche perché accanto al motore di ricerca sono stati sviluppati altri programmi informatici che consentono un'integrazione tra tutte le attività di routine che vengono compiute in rete, dalla posta elettronica al commercio elettronico, dallo scaricare materiali audio e video alla consultazione di libri. Ed è solo grazie ai motori di ricerca che si può parlare di «database delle intenzioni».
Ma come sempre quando si manifesta una realtà finora inedita, anche su Internet l'entropia dell'informazione deve trovare il suo punto di equilibrio. Su questa necessità Battelle non si dilunga molto, anche se le pagine sul web semantico e sulle cosiddette folksonomics sono molto significative.
Il web semantico rappresenta la nuova frontiera dei motori di ricerca, oramai orientati a fare i conti con le ridondanze e le ambivalenze del linguaggio umano, mentre le folksonomics altro non sono che la catalogazione della comunicazione on-line. In ogni caso, sono progetti di ricerca - il web semantico - e processi di archiviazione - le folksonomics - che si ispirano ai media per «aggregare» l'informazione accumulata. Dunque, assistiamo a una vera e propria quadratura del cerchio: relegati ai margini del web, i media tradizionali ritornano come protagonisti in quando «dispensatori» di stili di enunciazione e di rappresentazione dell'informazione.
Nei mesi scorsi sono aumentate le voci critiche verso Google, accusata di violare la privacy o per il troppo potere accumulato grazie al fatto che miliardi di uomini e donne hanno fatto uso del motore di ricerca lasciando nei computer di Larry Page e Segery Brin traccia delle loro operazioni. Critiche fondate e dubbi legittimi. La critica più efficace, però, riguarda i modelli organizzativi - selezione, raccolta e elaborazione - praticati da Google. E non è un caso che su Internet si sia affermato, in contemporanea al successo di Google, un altro modo di stare in rete e di fare ricerche in rete. Gli studiosi anglosassoni parlano di social network o di community. Più realisticamente sono esperienze che esprimono, usando proprio la rete, una critica al modello oramai dominante su Internet, che è proprio quello di una rappresentazione mediatica dell'informazione. Anche in questo caso il libro di John Battelle torna utile non per i giudizi che esprime, bensì quando descrive le strategie imprenditoriali sia di Google, che di Microsoft che di Yahoo! rispetto ai social network. Una volta trovato il metodo per catalogare, elaborare e rappresentare in forma aggregata le informazioni, il passo successivo è l'acquisizione di quella parte del database delle intenzioni che sfugge alla rappresentazione mediatica ormai dominante. Il futuro sarà sicuramente costellato da acquisizioni - l'ultima è stata quella di YouTube che mette a disposizione video autoprodotti, ma anche immagini che hanno avuto vita difficile nelle televisioni - e colpi bassi tra le grandi major dei motori di ricerca. Ma la posta in gioco è proprio l'acquisizione del «materiale resistente» presente in rete per farlo diventare, ancora una volta, materia prima dello sviluppo capitalistico. Anche questa, forse, un storia già vista, ma non è detto che non accada un imprevisto. Negli anni scorsi, alcuni attivisti hanno sostenuto che non bisogna odiare i media, ma far diventare i movimenti sociali dei media che scandiscono la loro agenda di notizie. Per i motori di ricerca vale la stessa attitudine: nessun odio per i motori di ricerca, quanto far diventare il «materiale resistente» esso stesso un motore di ricerca.
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