Le parole sono magiche e affascinanti. Basta girare o cambiare un aggettivo per mutare il suono di una frase e persino il suo significato. Vale per i testi a stampa della nostra cultura classica, mentre c'è chi sostiene che nel web la parola deve cambiare perché fugaci e saltellanti sono l'occhio e l'attenzione cognitiva del lettore. Il risultato di questa cattiva teoria sono pagine con testi che sembrano scarni dispacci d'agenzia, e per di più sovente scritti male, senza cura né passione. Non è però una scelta obbligata dalla tecnologia. Che si tratti di comunicati aziendali, del diario di una sedicenne, o di una documentazione da studiosi, si può fare di più e di meglio, magari sfruttando quella caratteristica del web che si chiama ipertestualità, fatta di rimandi da un blocco a un altro, i quali non necessariamente spezzano il ritmo, ma permettono utili divagazioni o discese in profondità su una questione. E' a tal punto vero che uno scrittore di carta, l'americano David Foster Wallace, ha costruito «alla web» alcuni dei capitoli del suo ultimo libro, «Considera l'Aragosta» (Einaudi Stile Libero). In alcuni dei saggi lì contenuti le classiche note a piè di pagina si dilatano per più di una pagina e diventano conversazioni laterali e addirittura ospitano delle note dentro le note. In un altro vengono immesse in un riquadro bordato, al quale si viene indirizzati da una freccia che parte dal testo principale e dai quali riquadri altre frecce eventualmente si diramano. I critici potrebbero sostenere che in questo modo l'autore, che magari ci sta proponendo una astrusa disquisizione tra due scuole di grammatici e linguisti, ci obbliga a uno sforzo supplementare perché le deviazioni risultano dispersive. E' anche vero tuttavia che, così facendo, egli un po' si ritrae, democraticamente lasciando a noi la responsabilità e il piacere di costruire il nostro filo. Non è letteratura sperimentale, né virtuosismo tecnico, ma semmai uno sforzo apprezzabile di conversazione con noi, ancorché lontani nel tempo e nello spazio. Che poi è la virtù di ogni grande testo.
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