Pascolando tra i siti web
Se una pecora se ne va qua e là brucando, quell'attività viene detta in inglese to browse. Per metafora la bucolica espressione si è fatta sostantivo, diventando browser, un software applicativo che permette di aggirarsi, navigare, per il World Wide Web, la parte della rete internet ipertestuale e multimediale. L'inventore del Web, l'inglese Tim Berners-Lee, agli inizi degli anni '90 non aveva ancora un programma adeguato per farlo, pur avendo creato il protocollo e le regole di quella «rete grande come il mondo». Il vero salto avvenne negli scantinati dell'università di Urbana-Champaign, Illinois, grazie a una squadretta di giovani, guidati da Marc Andreessen che realizzarono un programma chiamato Mosaic, in seguito privatizzato in una nuova società, chiamata Netscape. E' per «uccidere» fin nella culla Netscape che Microsoft realizzò il suo Internet Explorer, e per reazione un gruppo di programmatori realizzò, in formato aperto, il browser Mozilla e da questo, poi, il popolarissimo Firefox. I computer Apple usano invece un software chiamato Safari, mentre altri concorrenti di vaglia sono l'ottimo norvegese Opera e il giovane Flock di cui si racconta in questa pagina.
Ma cosa fa un browser? Due cose importanti, più molte altre accessorie. La prima è di accogliere una nostra richiesta di collegamento a un sito internet e di recapitarla a destinazione. Dunque batto nell'apposita maschera «www.ilmanifesto.it» (anche senza il www funziona lo stesso e si risparmia tempo) e lui, il browser del nostro Pc, manda la richiesta al computer del nostro fornitore di connettività internet (Alice, Tiscali, Fastweb, McLink, queale esso sia). Sarà lui a smistare la richiesta a monte, recapitandola infine al server del manifesto il quale riceverà, in linguaggio informatico, una domanda del tipo: «Hello, sono un browser di tipo Firefox, all'indirizzo IP (internet protocol) tal dei tali, mi mandi la tua pagina iniziale (Home page)?». In realtà il computer che ospita le pagine del giornale mi spedirà un file, index.html, che è fatto di puro testo, senza immagini.
Ricevutolo, il browser si mette all'opera per svolgere la sua seconda funzione, quella di presentare quella pagina sul mio monitor, secondo le indicazioni che il file contiene: qui ci va la testata del giornale, là una pubblicità, sotto l'elenco dei giorni della settimana eccetera. Chi avesse una tecnica curiosità di vedere come sono scritte queste indicazioni in linguaggio Html, una volta collegatosi al manifesto può premere il tasto destro del mouse e tra le molte voci che lì compaiono scegliere quella che dice «view source» (guarda il codice sorgente), oppure la voce «Html» (se si usa Explorer): scoprirà allora, per esempio, che la testata «il manifesto» è contenuta nel file chiamato testPG.gif nella directory /immagini/.
Il browser, una volta in possesso di questa informazione, richiede ancora al server del manifesto «per favore mi mandi questa immagine?» e, ricevutala, la disegnerà sul nostro monitor.
Farà lo stesso per ogni altro elemento della pagina, e questo spiega perché in certi casi, occorra un po' di tempo perché la Home di un sito particolarmente ricco arrivi completa: per ogni immagine il mio computer manda una richiesta al server lontano e aspetta che l'immagine arrivi; se la banda è stretta e se le immagini sono molto pesanti (grandi e molto colorate) ci sarà del ritardo.
Ma sulle pagine web che leggiamo, alcune parole o immagini sono cliccabili: quando ci si passa sopra, il cursore si trasforma in una manina, evidenziando il fatto che lì c'è un'àncora, un aggancio, un link, a un'altra pagina sullo stesso sito o in un altro. Se si preme il mouse riparte l'attività di collegamento: richiesta a un server, ricezione di una pagina, sua resa sul monitor.
Tutto questo ci ricorda che quando diciamo «sono sul manifesto» (o sulla Cnn o su qualsivoglia altro sito), in realtà non siamo tecnicamente collegati né connessi a quel sito. Siamo sul nostro Pc e il collegamento con il sito lontano è avvenuto solo nelle fasi di richiesta e ricezione dei files, il che è un grande vantaggio perché la rete e i server in questo modo non sono bloccati da molti utenti, ma erogano prestazioni solo quando si clicca. Viceversa quando facciamo una telefonata, viene creato un circuito fisso tra chiamante e ricevente e infatti la linea può risultare occupata. Qui sta la differenza tra le reti di telecomunicazioni classiche, dette a commutazioni di circuito, e la rete internet, a commutazione di pacchetto.
Né va dimenticato che il browser da solo ormai non basta più, spesso le pagine che navighiamo offrono dei servizi multimediali, video e suoni che per essere visti richiedono che sul nostro computer si sia installato un apposito software accessorio (vengono chiamati plugin). La vita del navigatore no++n è così semplice come dovrebbe.
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