Biodiversità e diversità informatica
Possiamo estendere queste considerazioni a fenomeni non biologici. Facciamo un esempio: al posto di un ecosistema, supponiamo che esista una rete interconnessa di elaboratori elettronici, che chiameremo per semplicità Internet. All'interno dell'Internet, gli elaboratori comunicano tra di loro con uno strumento chiamato e-mail.
Ciascun elaboratore preleva dall'e-mail le informazioni (il cibo) di cui si nutre, le digerisce e le rilascia nell'Internet a mezzo e-mail, come dei rifiuti, pronti a diventare cibo per altri elaboratori.
L'ambiente inizialmente è biodiverso, ma lentamente si va affermando una specie, che chiameremo per semplicità Windows, all'interno della quale si specializza un sistema di gestione dell'email, al quale daremo il nome vezzeggiativo di Outlook Express. Il trinomio Windows/Explorer/Outlook Express ha vari pregi, ma soprattutto è uno standard, cioè gli elaboratori che lo utilizzano traggono vantaggio da formati condivisi, uniformi sistemi di organizzazione dei dati, in una parola, efficienza.
Ben presto una molteplicità di elaboratori si adegua allo standard. Si verifica pure una singolare mutazione genetica: tutti i nuovi nati hanno il sistema Windows/Explorer/Outlook Express precaricato, per cui gli elaboratori che non volessero aderire al sistema, dovrebbero fare uno sforzo personale, con il risultato di trovarsi fuori standard ed esclusi. Inutile dire che la stragrande maggioranza si adegua spontaneamente.
Il pericolo è però in agguato: nascono una serie di parassiti che utilizzano Explorer e Outlook Express per replicarsi e diffondersi. Sarebbe troppo difficile creare worms adattabili a sistemi diversi di gestione della e-mail; ancora più difficile adattarli a diversi sistemi operativi: l'iper-specializzazione del software permette un'analoga specializzazione dei parassiti. Questi, se penetrano in qualche modo in un sistema Windows, lo danneggiano, talvolta in maniera grave. Se vengono accolti da Outlook Express, sono così astuti da diffondersi senza nemmeno l'atto volontario di cliccare sull'icona.
Provo ad ipotizzare due scenari: primo, il sistema Win/OutEx ha conquistato uno share dominante, ma non monopolista, diciamo attorno ad un onorevolissimo 20% dei pc collegati in rete. Simulando la presenza, nella rubrica di Outlook, di un centinaio di indirizzi validi per ogni elaboratore, il nostro parassita infetterà 20 computers remoti al primo passaggio, 400 al secondo, 8000 al terzo.
Secondo scenario: il trinomio di cui sopra ha una quota pericolosamente vicina al 90%, per cui al primo passaggio infetterà 90 soggetti, al secondo 8100, 729000 al terzo. Teoricamente, in soli quattro passaggi si possono raggiungere 65 milioni di elaboratori. In pratica, se inseriamo questa eventualità in un contesto in cui esistono parecchi utenti che non hanno un antivirus aggiornato, non sono protetti da firewall, ma utilizzano collegamenti permanenti tipo ADSL, la frittata è garantita. Viene solo da chiedersi perché i danni, finora, siano stati così limitati. La sorte, comunque, non sarà sempre così clemente: in un futuro in cui ci affideremo al computer anche per aprire la porta del frigorifero, i rischi aumenteranno.
Questa situazione, simile a quella di chi sta seduto su una polveriera, è dovuta quasi esclusivamente all'eccesso di specializzazione e alla mancanza di diversità del software. Sì, lo so: se ognuno di noi seguisse le più elementari regole di sicurezza, non ci sarebbero problemi. Ma questi sacrosanti appelli sono praticamente inutili: molti utenti sono stati illusi che il PC fosse user friendly, quindi ci sono online milioni di macchine gestite da sprovveduti. Ogni volta che un flagello del genere si diffonde (ed ormai capita sempre più spesso), rimaniamo attoniti di fronte al monitor, che ci segnala l'enorme numero di utenti, provvisti del nostro indirizzo e-mail, infetti dalla piaga. Talvolta, confessiamolo, siamo noi stessi gli involontari untori, e ci dobbiamo sobbarcare giornate intere di lavoro per limitare danni, recuperare dati, reinstallare sistemi (e chiedere scusa!). Se ci fossero una decina di standard tra sistemi operativi e gestori di e-mail allo stesso livello di diffusione, ad ogni annuncio di nuovo worm non faremmo altro che sorridere, cancellare due o tre mail dalla casella, e torneremmo al lavoro. E tutto questo non perchè i software alternativi siano migliori, ma semplicemente perchè sono diversi.
Un approccio biologico al mondo dell'informatica (non è una novità qui a Zeus News) può dare una risposta nel dibattito in corso Windows/Linux. Alla domanda "che ha fatto di male Bill Gates", possiamo rispondere "niente". Se il suo standard si è imposto, qualche pregio lo avrà di sicuro: intrallazzi e politiche commerciali da caimano aiutano, sì, ma non possono bastare a conquistare la totalità del mercato. Smettiamo di accapigliarci su questioni di retroguardia: l'unica caratteristica che rende pericoloso un monopolio, è la stessa natura di monopolio.
È un nostro dovere di umani emendarsi da tutte le situazioni di dominanza, siano esse nell'informatica, nelle telecomunicazioni, nell'energia, nell'informazione (qualsiasi riferimento a Berlusconi è NON casuale). La lettrice Nicoletta ci ricorda una frase di G.B. Shaw: "Se le persone ragionevoli sono quelle che si adattano al mondo, e quelle irragionevoli sono quelle che cercano di adattare il mondo a se stessi, allora si può dire che il progresso umano è dovuto alle persone irragionevoli." Ecco, esistono persone irragionevoli, che compiono scelte difficili, non efficienti, coraggiose. Non tutti saranno responsabili del progresso umano, ma ognuno di essi è un elemento di bio-diversità, necessaria alla sopravvivenza della specie. Non lasciamoli soli.
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