Viva le fotocopie

Perché è sbagliata e inutile la campagna anti-fotocopie dei libri.
22 ottobre 2003
Pier Luigi Tolardo

Molti probabilmente non se ne saranno accorti ma è stata lanciata sugli organi di stampa una campagna pubblicitaria contro la riproduzione dei libri, insomma contro le fotocopie. La campagna tende a colpevolizzare chi riproduce un libro con uno slogan tipo: "Tu uccidi un libro".

Gli editori reagirebbero così alla crescita di un mercato sempre maggiore di libri fotocopiati, che danneggia autori ed editori, che venderebbero meno libri originali mentre, già oggi, una legge vieta ai laboratori di copisteria e a tutti la riproduzione di più del 15% di un'opera: legge, probabilmente, tra le più disattese per mancanza di controlli e per la facilità di elusione.

Quindi oltre alla repressione contro il commercio delle griffes taroccate e alla lotta contro i Cd musicali riprodotti illegalmente, che prevede sanzioni penali da capogiro, si aggiungerebbe una guerra contro i libri fotocopiati.

Quali sono i libri che vengono fotocopiati massicciamente e integralmente, con grave disappunto dei loro editori? Beh, certamente, non parliamo di libri di narrativa o di saggistica d'attualità né dei classici della letteratura universale antica e moderna. Difficilmente nei laboratori di copisteria che fioriscono come funghi nei pressi degli atenei italiani si vedono fotocopie di De Carlo, De Crescenzo, Mazzantini, Maraini, Bocca e altri, che diventano best-seller quando riescono a vendere qualche centinaio di migliaia di copie, in un Paese dove la lettura rimane appannaggio di pochi.

Non sono nemmeno i classici che vengono regolarmente regalati o venduti, con l'aggiunta di pochi euro, insieme ai quotidiani nelle edicole. E' vero che da qualche tempo la Guardia di Finanza è riuscita a scovare qualche vu cumprà che vendeva copie taroccate, perfettamente identiche, di libri sulle barzellette di Totti, di Bisio o della Hunziker, gli unici che si vendono a tonnellate; ma non si trattava di fotocopie.

I libri che vengono massicciamente e integralmente riprodotti sono i libri di testo delle facoltà universitarie scientifiche e umanistiche: sempre più costosi, pubblicati con tirature ristrette, indispensabili per superare un esame.

Chi punta il dito contro il fenomeno delle fotocopie di questi testi è evidentemente un marziano che non conosce la condizione universitaria italiana. La spesa per il mantenimento di uno studente fuori sede, come sono la maggior parte degli studenti universitari italiani, si aggira sui circa 1000 euro al mese, almeno per 10 mesi: affitto di un posto letto in un appartamento condiviso, mensa, trasporti, un minimo di extra, la tasse universitarie e molto altro. La spesa media scende a poco più di 500 euro per chi studia nella propria città.

Per le maggior parte delle famiglie del ceto medio italiano (che non possono evadere il fisco, che sono costrette a pagare la fascia più alta delle tasse e che difficilmente possono godere di borse di studio), il mantenimento di un figlio (ma potrebbero essere più di uno) sta diventando, se non proibitivo, un sacrificio gravosissimo, simile a quello che si doveva sopportare fino agli '60, cioè all'inizio dell'Università di massa, che tende a fare, nuovamente, dell'istruzione universitaria un fatto di classe.

Le difficoltà economiche, la scarsa possibilità di trovare lavori extra e di compatibilizzarli con le esigenze degli studi, diventano il motivo del fenomeno della crescita sempre maggiore dei fuoricorso e degli abbandoni, che costituiscono un'anomalia rispetto alla realtà europea; il numero complessivo degli studenti è pari al resto dell'Europa, ma quello dei laureati è agli ultimi posti.

La possibilità di ammortizzare la spesa per gli studi universitari, successivamente alla laurea, si riduce sempre di più a fronte di un mercato del lavoro fatto di precariato, lavori temporanei e non troppo ben pagati. Fotocopiare un libro di testo diventa quindi una delle poche forme di autodifesa e di contenimento dei costi che gli studenti possono attuare.

I soldi spesi per la campagna anti-fotocopie avrebbero potuto essere spesi, ben più proficuamente, per l'istituzione da parte degli editori di borse di studio e stage retribuiti, presso le stesse case editrici, per gli studenti meritevoli; opppure in una campagna per rivendicare la detassazione integrale dell'IVA per i testi universitari, o per una riduzione delle tasse sui diritti d'autore, cose che servirebbero di più della lotta impossibile contro le fotocopiatrici.

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