Web, scaricare file non è reato
Scaricare file e software senza fini di lucro non è reato. La sentenza 149/2007, emessa il 9 gennaio dalla III sezione penale della Corte di cassazione, è la prima a esprimersi in materia di condivisione via internet, ed è di quelle che fanno storia. Anche perché segna un primo passo verso la modifica della legge Urbani in materia di diritto d'autore nell'era digitale, evidenziandone tutti i limiti. Già perché i giudici supremi, il presidente Vitalone e l'estensore Lombardi, hanno stabilito che il download di file e programmi, messi poi a disposizione di altri utenti, non è reato se non se ne trae un guadagno economicamente apprezzabile.
La vicenda riguarda due studenti, genietti informatici del Politecnico di Torino, che il 29 marzo 2005 sono stati giudicati colpevoli dalla Corte d'appello del capoluogo piemontese per avere, a scopo di lucro, duplicato abusivamente e distribuito programmi, film e videogiochi (per un valore commerciale totale di 30/35 milioni di lire) «immagazzinandoli» su un server del tipo Ftp (File transfer protocol) «dal quale potevano essere scaricati da utenti abilitati all'accesso tramite un codice identificativo e relativa password». La sentenza di colpevolezza per aver violato gli articoli 171 bis e tris della famigerata legge 633/41, appunto la trovata di Urbani per blindare le opere dell'ingegno, prevedeva pene detentive (fino a 5 mesi) e una multa (fino a 800 euro). I due imputati hanno fatto ricorso e hanno vinto, la decisione in appello è stata annullata «senza rinvio».
La storia inizia nel novembre del 1998 quando Eugenio Rizzi e Claudio Faretti dell'associazione studentesca del Politecnico, mettono in piedi un server Ftp (sistema standardizzato per il trasferimento di file tra computer diversi) su un pc affidato loro dall'università, per l'epoca uno dei più avanzati presenti sul mercato. Passano pochi mesi e il responsabile della rete informatica e telematica dell'ateneo, insospettito dal traffico di collegamenti via internet registrato sulla banda, chiede l'intervento delle forze dell'ordine dopo aver riscontrato anomalie nel funzionamento della rete. Scoperto il server ad accesso limitato (gli utenti potevano scaricare file solo previa autorizzazione del webmaster che forniva la password in cambio di dati informatici), scoperto il pc con un hard-disk contenente 24 film, 16 videogames per playstation e 24 programmi, per i due studenti che hanno creato, gestito e curato la manutenzione del sito, la vicenda si mette male.
Inizia il processo, Siae e Fapav (la Federazione anti-pirateria audiovisiva) si costituiscono parte civile, per la corte d'appello i due studenti sono colpevoli, il reato è duplicazione a scopo di lucro e il successivo scambio del materiale scaricato. La Cassazione però ha ribaltato la sentenza. Secondo i giudici supremi la duplicazione non è operazione propedeutica al download e in questo caso avveniva a opera di soggetti sconosciuti (per lo più utenti statunitensi e canadesi, hanno rivelato le indagini) che si collegavano con il sito Ftp e in piena autonomia prelevavano i file e allo stesso tempo ne scaricavano altri. E visto che lo scambio di materiale protetto da diritto d'autore avveniva esclusivamente a titolo gratuito, i ricorsi dei Eugenio Rizzi e Claudio Faretti sono stati accolti.
Una questione nodale di tutto questo iter giudiziario nasce dall'interpretazione del termine «scopo di lucro» rispetto all'espressione «scopo di profitto», introdotta in seguito dalla legge di riforma. È stato proprio l'avvocato difensore di Eugenio Rizzi ha mettere in evidenza che l'espressione «fini di lucro», contenuta nel testo attuale dell'articolo 171ter, è stata dapprima sostituita con quella «per trarne profitto» e successivamente reinserita. I due concetti sono ben distinti: nel primo caso si persegue un vantaggio economico apprezzabile, il secondo invece prevede ogni mero vantaggio morale. E visto che i due studenti di Torino non hanno intascato un euro della predisposizione del server Ftp, mentre dall'utilizzazione dello stesso traevano profitto i soli utenti del server, «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
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