Il potere delle informazioni

Il manager moderno passa gran parte del suo tempo a reperire, elaborare, distribuire informazioni. Serve a qualcosa o è un puro esercizio di potere?
25 ottobre 2003
Michele Bottari
Un tradizionale problema di ricerca operativa si preoccupa di calcolare il costo dell'informazione perfetta. Cioè, di fronte ad una decisione da prendere, per esempio il prezzo di un prodotto, abbiamo bisogno di una serie di dati, per esempio prezzo e performance dei prodotti concorrenti. Quanto siamo disposti a pagare in hardware, software, consulenti, investigatori, spie e infamoni, per avere una panoramica completa del settore?
La matematica, severa come sempre, ci dà il limite superiore (per i lamer: upper bound): il costo massimo dell'informazione è dato dal vantaggio massimo ottenibile dall'informazione perfetta. Sommiamo cioè i profitti futuri derivati dall'aver fissato un prezzo conoscendo perfettamente il comportamento della concorrenza, e sottraiamo da essi la somma dei profitti che avremmo ottenuto ignorando tali informazioni. Simulando il caso migliore possibile, il risultato che otteniamo è il valore massimo possibile dell'informazione cercata.

Il rigore matematico con cui si affronta il problema presuppone che le decisioni, al variare delle informazioni ottenute, siano diverse. Se così non fosse, se per esempio il prezzo del nostro prodotto fosse in ogni caso fissato elaborando prudenzialmente dei valori noti a tutti (come avviene spessissimo), ci si rende conto che i soldi spesi in informazioni sono inutili. Allora perchè spenderli? Forse solo per stare più tranquilli? Oppure per "cautelarsi" (mi vengono in mente solo espressioni volgari) da recriminazioni in caso di insuccesso? Il motivo è forse più sottile.

Facendo un passo in più, potremmo tentare di dare un valore al management e al suo sistema informatico. Non è difficile: dobbiamo calcolare quanto ci rimetterebbe l'azienda se, al posto dei consiglieri d'amministrazione con i loro tabulati, ci fosse il contadino Bertoldo, vale a dire una persona dotata del normale buonsenso. Tra i profitti di quest'azienda ipotetica ci sono i mancati stipendi ed i gettoni del CdA, i mancati costi per il reperimento, l'amministrazione, l'elaborazione di dati (il contadino non saprebbe che farsene). Il tutto al netto, ovviamente, del compenso di Bertoldo. La differenza tra i profitti ottenibili nei due casi è il valore aggiunto del sistema informativo.

Ovviamente, questa è solo una fantasiosa ipotesi: il calcolo, infatti, basa i valori più importanti (i profitti attesi) su delle stime, e l'autore di queste stime è lo stesso gestore del sistema informatico che si vuole mettere "sulla griglia". Ma potrebbe essere un utile esercizio di umiltà per il management che, in questo modo, riuscirebbe a mettere in discussione sè stesso ed il proprio apparato tecnico.

Estremizzando queste considerazioni, possiamo chiederci: è giusto che il management detenga, all'interno dell'azienda, il potere decisionale? Ci hanno sempre insegnato, da Menenio Agrippa in poi, che chi detiene il fattore produttivo critico è l'anello più importante della catena, e le informazioni sono il fattore critico. Ma ci stiamo facendo delle domande sul valore delle informazioni, e così mettiamo in discussione il valore di chi le utilizza.

Un sospetto mi assilla: queste informazioni sono davvero un bene strategico ed insostituibile, e vengono usate per il bene della comunità-azienda? Oppure sono lo strumento con cui una casta dirigente esercita il proprio potere a danno delle categorie sprovviste di esse, e quindi ignoranti?

Nell'economia moderna, globalizzata e standardizzata, tra i fattori critici di successo non c'è più il management, che passa da un'azienda all'altra senza problemi per chi lo perde o vantaggi per chi lo acquisisce. Non c'è più nemmeno il capitale, reperibile sui mercati finanziari a prezzi e condizioni pubbliche.

Queste categorie, allora, usano le informazioni per mantenere i propri privilegi. Si può estendere questi concetti dal sistema-azienda all'intera economia: qui il problema delle informazioni asimmetriche, ossia quando attori di una parte del mercato hanno informazioni molto migliori di altri, è già stato affrontato. Grandi aziende, o categorie di aziende, sfruttano a proprio vantaggio la povertà (o la ridondanza, l'effetto è lo stesso) delle informazioni accessibili, creando una distorsione della concorrenza.

Rimane la domanda: quale potere potrebbero raggiungere gruppi di persone molto meno sostituibili dei manager, come i lavoratori, oppure i consumatori, se si organizzassero in rete per raccogliere ed usare le informazioni? Cominciamo a chiedercelo.

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