Quella cosa assai di moda
La «bolla del Web 2.0: perché la rivoluzione dei social media scomparirà frignando». Questo il titolo di una puntigliosa analisi del fenomeno del momento, a firma di Michael Hirschorn sul numero di aprile di Atlantic Monthly. L'autore è uno dei dirigenti di Vh1, network televisivo di New York, giornalista e saggista. Un testo impietoso che rafforza il pensiero critico nei confronti dello stralodato Web 2.0: una moda, una 'buzz word' ben inventata per attirare capitali. Con il risultato del tipico hype che va generando una bolla speculativa simile a quella della prima Net-mania nel 2000.
Non è certo da ieri che queste avvisaglie vengono rilanciate negli Stati Uniti, ai convegni, online e sulla stampa, pur se raramente conquistano la prima pagina. Qualche mese fa un editoriale della rivista ZDNet, commentando proprio il «Web 2.0 Summit» di San Francisco, puntualizzava l'evidente scarsità di innovazioni concrete, con una «miriade di start-up alla rincorsa di MySpace». La cui strategia, incalzava un'articolata analisi di Technology Review, minaccia di sfruttare «l'energia populista degli utenti» per intrappolarli nel solito «mondo del commercialismo dei big media». Non a caso la pagina personale del gigante degli hamburger BurgerKing vanta oltre 135.000 'amici', e più di 200 mila il produttore di cellulari Helio. Di fatto MySpace è sempre più un giardino recintato, zeppo di esche per il business e lontano quelle caratteristiche di partecipazione e condivisione che sono sembrate animare il Web 2.0.
Eppure la creatura di Rupert Murdoch, insieme a YouTube e pochissimi altri, rimane l'esempio più citato nell'immaginario popolare e il più imitato da enterpreneur vecchi e nuovi. Alzando, appunto, un gran polverone e dimenticando (anzi, facendo dimenticare) come il social networking online sia tutt'altro che una novità. Semmai fu il senso stesso di Internet fin dalla sua nascita, con le prime email tra i ricercatori di Arpanet nel 1971 e il WWW ideato da Sir Tim Berners-Lee nei primi '90. E cos'erano le Bbs e i conferencing system dei primi '90? Rigorosamente text-only, con modem a 2400 o 4800 bps e una lenta connessione risolta dal fischio liberatorio del contatto stabilito, quando andava bene. Ma già allora reti di socialità, condivisione, discussione aperta.
Insiste Hirschorn: «I social media sono stati in giro fin dall'alba del Web. Ricordiamo GeoCities? L'innovazione chiave che lanciò l'attuale moda era semplice: mettere in rete gli utenti e consentire loro di interagire come si fa nella vita reale - o almeno come avremmo voluto fare nella vita reale. Sono anni ormai che usiamo i blog».
Per passare poi in rassegna alcuni esempi che tentano di sfruttare quest'ondata di esagerazioni online a puro scopo monetario ecco quanto riporta la società di consulenze VentureOne: solo in Usa «nei primi mesi del 2006 quasi 500 milioni di dollari di venture capital sono stati versati in aziende di social media». A sua volta il Wall Street Journal cita il venture capitalist Todd Dagres: «Molti progetti sono incompleti e incompetenti, con modelli di business basati più sulla pura visibilità che sul cash flow, e una corsa esponenziale verso contratti del tipo 'aspetta, ci sono anch'io'».
Come per lo storico boom di America On Line poi andato in cenere, MySpace & Co. puntano a strategie da 'giardini recintati', deliziosi e profumati quanto vogliamo, ma che prima o poi finiranno per sciogliersi nell'enorme territorio assai più libero e meno controllato (e commerciale) del magma digitale. Il vero valore di questi mega-spazi sociali sta nella loro capacità di monetizzare, soprattutto tramite inserzioni e marketing, il traffico generato dai propri utenti. I quali, specialmente se attirano un gran numero di visitatori, vanno rendendosi conto invece che il «loro futuro sta nel guidare la gente fuori da MySpace su pagine proprie, più robuste e personalizzabili ... perché lì la baraonda digitale vive all'interno di un ambiente fermamente sotto controllo».
Mentre questi strumenti social vanno diventando inevitabilmente meno attraenti e più scontati, chiude l'articolo, utenti popolari come l'ormai leggendaria Tila Tequila di MySpace cominceranno ad emigrare altrove portandosi dietro gli oltre 1,5 milioni di amici. Già, perché con tutti i piagnistei degli accoliti di ieri e di domani, l'esodo continuo rimane la norma del cyberspace. Soprattutto quando è in gioco la convivialità. Mentre questi recinti andranno facendosi giocoforza più angusti, vedi già i divieti ai widget su MySpace o le restrizioni anti-copyright di YouTube, è assai probabile che la bolla continuerà a gonfiarsi prima del botto finale.
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