Siti oscurati, blog cancellati, arresti. Ecco come la censura on line s'allarga
Siti oscurati, blog cancellati, chat room monitorate, motori di ricerca «ristretti». E un numero sempre maggiore di persone imprigionate per aver manifestato o condiviso un pensiero o un'informazione. Altro che libertà del web. La censura online è un fenomeno sempre più esteso e pervasivo. Lo rivelano i dati dell'ultimo studio realizzato dalla «OpenNet Iniziative» (Oni), che ha coinvolto la scuola di legge di Harvard e le università di Toronto, Cambridge e Oxford. Quaranta paesi presi in visione e una ricerca durata sei mesi hanno «partorito» una black list degli attuali nemici di Internet. Il record negativo è detenuto da Cina e Iran, veri capofila nella limitazione di una rete, per definizione «troppo libera». L'elenco - in continuo aggiornamento - interessa per ora almeno due dozzine di paesi, tra i quali Turchia, Arabia Saudita, Birmania, Tunisia, Uzbekisan, Vietnam. L'allarme della «OpenNet iniziative» arriva proprio a ridosso della grande eco suscitata dalla decisione della Turchia (revocata due giorni dopo) di oscurare il sito YouTube, che aveva dato spazio a materiale offensivo nei confronti del padre della nazione, Kemal Ataturk. In una realtà che vede una crescita esplosiva di fruitori della comunicazione online l'aumento della censura preoccupa seriamente. Amnesty International ha lanciato una campagna per la libertà di espressione in rete, invitando le aziende tecnologiche a «non collaborare». E i nuovi paesi che man mano si aggiungono al triste elenco prendono «a modello» la storia «censoria» e l'«esperienza repressiva» di chi ne sa più di loro. E' il modello cinese a fare scuola. Sono sempre più allarmanti infatti le notizie che giungono dalla «grande muraglia» digitale: «Chi prova ad accedere a siti il cui contenuto riguarda argomenti come l'indipendenza di Taiwan o del Tibet, il Dalai Lama, gli eventi di piazza Tienamen o i partiti politici di opposizione viene arrestato». La «purificazione di Internet», di cui parlava qualche tempo fa il presidente cinese Hu Jintao, sembra abbia fatto proseliti anche fuori dal territorio nazionale.
Nell'attività di filtraggio di contenuti «indesiderati» sono sempre di più i paesi, «che si rendono conto di non potercela fare da soli e si rivolgono a compagnie private», asserisce John Palfrey, direttore del Centro per Internet e Società di Harward. Nella maggior parte dei casi le società che sviluppano sistemi di protezione sono in Occidente, ma ci sono anche i fornitori di servizi come Google o Microsoft che, pur di non perdere appetitosi mercati emergenti - come appunto quello cinese - sono dispostissimi a scendere a compromessi. Ma se da una parte sono proprio le tecnologie avanzate a venire in aiuto dei «censori» dell'era informatica, come i software per il rilevamento di parole-chiave sensibili o i «denial of service attacks», che bombardano il sito di richieste di accesso rendendolo inaccessibile, dall'altra gli internauti non stanno certo a guardare. E rispondono con le stesse sofisticate armi. Ma come si possono eludere i tecnologici «cani da guardia» sguinzagliati a controllo della rete? Danny OBrien, coordinatore del gruppo di pressione «Elettronic Frontier Foundation» si affida ad esempio ad una connessione criptata attraverso una rete di server privati: «(Quando navigo) il mio segnale viene casualmente reindirizzato da un computer a un altro - afferma - così per esempio Google mi può apparire in svedese o in qualche altra lingua, a seconda della macchina da cui ci arrivo». A mali estremi estremi rimedi, insomma, con l'unica l'accortezza di non lasciare troppe tracce digitali in rete.
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