Direttiva per l'open source nella PA
A chi rimproverava al Governo il mancato esplicito riferimento al software libero nel Rapporto sull'Innovazione, il ministro Lucio Stanca ha ieri idealmente risposto annunciando la firma di una Direttiva per spingere il software libero nella pubblica amministrazione.
In realtà la direttiva, “Sviluppo dei programmi informatici da parte delle Pubbliche amministrazioni”, si concentra sulle opportunità che si aprono per la PA in termini di razionalizzazione delle risorse informatiche e di risparmi con il software libero. La possibilità di sviluppare software dedicati alla PA e di riutilizzarli liberamente all'interno della PA stessa viene ritenuta essenziale per comprimere i costi del software usati nel settore pubblico.
Stando a quanto affermato dal Ministero, la Direttiva si deve all'indagine che è stata condotta dall'apposita commissione tecnica sull'uso del software e delle licenze sul software nella PA. Un'indagine che, come si ricorderà, ha evidenziato che il 61 per cento della spesa totale è dovuto allo sviluppo di programmi specifici per la PA e il 39 per cento per l'acquisizione di licenze. In totale la spesa sul software nel 2001 è stata di 675 milioni di euro.
La Direttiva, che sarà a breve pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, secondo Stanca "porta l'Italia tra i primi paesi al mondo a disporre di criteri in questo settore" ed è concepita sulla base dei "significativi sviluppi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ed in particolare il processo di produzione, distribuzione ed evoluzione dei programmi informatici che si basa sulla disponibilità del codice sorgente aperto".
Scopo della Direttiva è, evidentemente, quello di offrire alla PA linee guida le più chiare possibili sulle scelte a disposizione nel programmare la spesa in software, scelte che non escludono a priori il ricorso al software proprietario, oggi largamente maggioritario nella PA.
La convenienza di una scelta piuttosto che di un'altra secondo Stanca non risiede nel solo aspetto economico e la Direttiva tende a promuovere "il pluralismo del software" e a considerare il software libero come un ambiente che consente di "conformare i programmi alle nostre esigenze, mano a mano che esse si pongono, e di metterli anche a disposizione di altri".
Inoltre, ha specificato Stanca, la Direttiva indica "come le pubbliche amministrazioni debbano tenere conto dell’offerta sul mercato di una nuova modalità di sviluppo e diffusione dei programmi informatici a codice sorgente aperto. L’inclusione di questa nuova tipologia d’offerta all’interno delle soluzioni tecniche tra cui scegliere contribuisce ad ampliare la gamma delle opportunità e delle possibilità in un quadro di economicità, equilibrio, pluralismo e aperta competizione".
Quella che il ministero all'Innovazione definisce "Direttiva Stanca per l’open source" è composta da sei aree di intervento principali. Eccole di seguito.
1. Analisi comparativa delle soluzioni
Si dispone che le pubbliche amministrazioni acquisiscano programmi informatici sulla base di valutazione comparativa tecnica ed economica tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato, tenendo conto della rispondenza alle proprie esigenze, ma anche della possibilità di poter sviluppare programmi informatici specifici e del riuso da parte di altre amministrazione dei programmi informatici sviluppati ad hoc.
Tra le valutazione di tipo tecnico ed economico vanno contemperati anche il costo totale di possesso delle singole soluzioni e del costo di uscita, ma anche del potenziale interesse di altre amministrazioni al riuso dei programmi informatici.
Nel caso di acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante il ricorso a licenze d’uso, le amministrazione si debbono contrattualmente assicurare che, qualora il fornitore non sia più in grado di fornire supporto, il codice sorgente e la relativa documentazione vengano resi disponibili o almeno ceduti al fornitore.
2. Criteri tecnici di comparazione
La PA nell’acquisto dei programmi informatici dovrà privilegiare le soluzioni che:
- assicurino l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della PA, salvo che ricorrano peculiari ed eccezionali esigenze di sicurezza e di segreto;
- rendano i sistemi informatici non dipendenti da un unico fornitore o da un’unica tecnologia proprietaria;
- garantiscano la disponibilità del codice sorgente per l’ispezione e la tracciabilità da parte delle PA;
- esportino dati e documenti in più formati, di cui almeno uno di tipo aperto.
3. Proprietà dei programmi software
Nel caso di programmi informatici sviluppati ad hoc, l’amministrazione committente ne acquisisce la proprietà dato che ha contribuito con le proprie risorse all’identificazione dei requisiti, all’analisi funzionale, al controllo ed al collaudo del software realizzato dall’impresa fornitrice.
4. Trasferimento della titolarità delle licenze
Le pubbliche amministrazioni si assicurano contrattualmente la possibilità di trasferire la titolarità delle licenze dei programmi informatici acquisiti nelle ipotesi in cui all’amministrazione che ha acquistato la licenza ne subentri un’altra nell’esercizio delle stesse attività.
5. Riuso
Per favorire il riuso dei programmi informatici di proprietà delle amministrazioni, nei capitolati e nelle specifiche di progetto dovrà essere previsto che i programmi sviluppati ad hoc siano facilmente esportabili su altre piattaforme. Inoltre nei contratti di acquisizione di programmi informatici sviluppati per conto e a spese delle amministrazioni, le stesse includono clausole che vincolano il fornitore a mettere a disposizione servizi che consentano il riuso delle applicazioni.
6. Supporto alle amministrazioni
L’attuazione della “Direttiva Stanca per l’open source” da parte della pubblica amministrazione sarà promossa dal Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione-CNIPA, che fornirà gli adeguati supporti.
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