At&t, nemica della libera rete
Edward E. Whitacre, ma dove l'avevamo già sentito questo nome? Il 65enne Chief Executive Office di At&t, il gigante della telefonia Usa, nei giorni scorsi si è candidato a rilevare un bel po' di azioni di Olimpia, a sua volta azionista di maggioranza di Telecom Italia. Ma lo stesso manager è alle origini della furibonda polemica, americana e non solo, a proposito della «neutralità della rete Internet». Anche per questo il suo arrivo in Italia, sia pure attraverso varie scatole finanziarie non sembra opportuno.
Tutto ebbe inizio con una sua intervista online a Business Week, il 7 novembre 2005. Nell'occasione gli venne chiesto cosa pensava dei grandi gruppi come Google e Msn e questa fu la risposta: «Come credete che essi raggiungano i loro clienti? Attraverso le reti a larga banda. Le compagnie del cavo tv ce l'hanno. Noi le abbiamo. Loro vorrebbero usare i miei cavi gratuitamente, ma non glie lo permetterò perché abbiamo investito dei capitali e dobbiamo vederne un ritorno. Dunque bisogna che ci sia qualche meccanismo di modo che questa gente che usa le nostre reti paghi per la porzione che ne usa». E infine: «L'Internet non può essere libera in questo senso».
Dunque il «buon» Whitacre, con l'irruenza tipica di una manager texano (la nuova At&t non è più nel New Jersey, ma a San Antonio), mise allora i piedi nel piatto, esplicitando il ragionamento che molti vanno facendo (ultimo in ordine di tempo il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo): i servizi web sono dei parassiti che lucrano sul nostro patrimonio, che si tratti di reti a banda larga, come nel caso delle telecom, o di contenuti giornalistici, nel caso degli editori.
La speranza di At&t, ma anche, nel nostro continente, di Deutsche Telecom, è dunque di smantellare il principio sociale e tecnologico su cui la rete Internet si è sviluppata, fino ai successi attuali. Il principio è questo: sulla rete tutti i pacchetti di bit sono uguali, la nostra più umile lettera d'amore, così come un documento del governo americano; perciò tutti vengono convogliati con il semplice criterio che chi prima arriva a uno snodo, verrà servito per primo.
Va anche notato che questo traffico di bit viene già pagato, e spesso a caro prezzo, dagli utenti, attraverso i loro abbonamenti al cavo, all'aDSL, alla fibra. Dunque di che si lamenta l'uomo? Lui fa il suo mestiere di trasportatore di dati, e quello che investe serve a reclutare più abbonati e a gestire più traffico, così come alle autostrade private conviene fare altre corsie perché altrimenti le auto preferiranno le vecchie provinciali.
In realtà le grandi aziende di telecomunicazione, così come i Montezemolo di turno, sono semplicemente invidiosi degli affari che gli altri fanno grazie alla rete: Google, YouTube e tutti gli altri: non sono stati capaci di inventarsi loro questi servizi, ma pretenderebbero una tangente. E' come se l'autostrada Milano-Venezia chiedesse un tot a Gardaland per tutti i clienti che percorrono le sue corsie diretti a quel parco di divertimenti. In questo consiste il sogno di una rete non neutrale: chi offre servizi deve essere assoggettato a un pedaggio supplementare, per «risarcire» le telecom degli affari che loro stesse non sono state capaci di offrire.
Chiamasi rendita parassitaria ogni incasso che non derivi da una prestazione, ma solo da una posizione privilegiata, ed è il contrario del libero mercato imprenditoriale che i liberisti proclamano.
At&t, andrà ricordato, non è più la Ma' Bell, «mamma campana» così popolare tra gli americani: dopo la sua divisione in sette società telefoniche regionali (avvenne nel 1984, a conclusione di un lungo procedimento antitrust, intentato dal Dipartimento americano della Giustizia) ha infilato una china discendente, per manifesta incapacità dei suoi manager, tanto bravi a gestire un monopolio nazionale, quanto incapaci di confrontarsi con concorrenti dinamici e con il mercato internazionale.
Elserino Piol, che fu artefice dell'accordo tra l'At&t e la Olivetti di allora, ricorda sorridendo che la firma slittò di un mese perché i manager che dovevano venire in Italia a trattare gli ultimi dettagli non avevano il passaporto, i casalinghi.
L'American Tel and Tel di adesso è rinata dalla fusione-acquisizione avvenuta nel 2005: una delle società telefoniche regionali, quella del Sud, la Sbc, guidata appunto da Whitacre, mangiò la vecchia madre, acquistandone i clienti, la rete e soprattutto il vecchio logo, che non è più la campana di una volta, ma un pianeta percorso da strisce parallele azzurrine.
Articoli correlati
- La bontà della tecnologia è indiscutibile, l'adozione da parte del mercato di massa meno
Dove si è nascosto il VoIP
29 novembre 2007 - Gabriele De Palma Da "capitani coraggiosi" ad evasori, la parabola dell'Opa Telecom
L'Agenzia delle entrate vuole recuperare 1,6 miliardi di euro da Gnutti e soci per non aver pagato le tasse sulla vendita di Olimpia a Tronchetti. C'erano riusciti con l'aiuto di consulenti, uomini in divisa e politici1 agosto 2007 - Andrea Di StefanoEvo Morales sfida la finanza globale: anche i telefoni ritornano allo Stato
Bolivia, il presidente nazionalizza la Entel (metà Telecom Italia, metà fondi pensione)7 aprile 2007 - Angela Nocioni
Sociale.network