Troppo occupata negli ultimi due anni a non rinnovare il contratto con i giornalisti, venerdì scorso anche la Federazione italiana editori italiani, ha affrontato pubblicamente il digitale, quasi due anni dopo il rivoluzionario discorso di Rupert Murdoch. «Lo scenario futuro dei media. La stampa tra crisi e cambiamento» era il titolo del convegno: «Nell'editoria della carta stampata - di cui tutti i relatori hanno riaffermato la persistente validità - si profilano strategie di mercato più aggressive (..) anche attraverso l'utilizzazione delle nuove tecnologie (..) operazioni complesse il cui successo presuppone flessibilità e mobilità nella struttura delle redazioni e non gli steccati frapposti da tradizioni e regolamentazioni del tutto anacronistiche rispetto ai tempi attuali». La polemica con i giornalisti non poteva essere più chiara, accompagnata dal volontario sgarbo di invitare il sindacato a presenziare, ma non a dire la sua. Alla maleducazione del presidente della Fieg Boris Biancheri ha cercato di porre rimedio, a posteriori, Luca Cordero di Montezemolo, dicendosi dispiaciuto perché «perché le sfide vanno affrontate insieme». Insieme sarebbe la parola giusta, ma è diversa da «io parlo, tu ascolti e ti adegui». Al di là della strumentale posizione degli editori, c'è una contraddizione vistosa nelle loro posizioni. Sono consapevoli (finalmente) che il futuro è digitale; affermano (giustamente) che per farlo ci vuole più flessibilità e ruoli meno rigidi, ma trascurano, o volutamente nascondono, il fatto che per fare giornali e siti di alta qualità, quale un pubblico esigente oggi chiede, servono risorse e investimenti seri.
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