Ce la giochiamo sul web

La diffusione dei videogiochi on line: cultura, mercato, affari, dipendenzaUn fenomeno sempre più di massa e sempre più collegato a un business enorme, con un fatturato stimato già adesso di circa 1 miliardo di dollari e destinato sicuramente ad aumentare nei prossimi anni
12 aprile 2007
Patrizia Cortellessa
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Una passione sempre più dilagante quella dei giochi online. Comunque la si voglia guardare o analizzare bisogna innanzitutto prendere atto del «caso»: gli oltre 8 milioni di giocatori online ai Mmogs (Massively multiplayer online games), di cui tre milioni e mezzo solo in Cina, rappresentano sicuramente un fenomeno sociale. Ma non solo. Gli analisti di Screen Digest, in uno studio recente, hanno provveduto a tradurre anche in cifre il valore di mercato di questo settore, in continua espansione: più di 1 miliardo di dollari.
Numeri da capogiro e reali, mica virtuali. Il successo non avrà ancora raggiunto i livelli di altri servizi digitali, come il video on demand che, secondo le previsioni, dovrebbe raggiungere un giro di affari di circa 11,5 miliardi di dollari entro il 2011. Ma entro quella data anche il valore dei giochi online sarà salito a 1,5 miliardi. Tempo al tempo, dunque, ma intanto si può parlare di vero e proprio boom. E conseguente business, verrebbe da aggiungere.
A cavalcare la classifica dei videogame più giocati sul web, e soprattutto a trainare il fatturato, è indiscutibilmente il genere fantasy. E' World of Warcraft (www.wow-italy.com) il leader incontrastato nelle preferenze degli utenti, con 10 milioni di iscritti in tutto il mondo che rappresenta, da solo, il 50 per cento del mercato. Molto indietro si trovano gli altri due videogiochi che incontrano le maggiori simpatie dei navigatori della rete: Habbo Hotel (www.habbo.it) e Final Fantasy (www.ffonline.it). Nato esclusivamente per internet, e sviluppato dalla Blizzard Entertainment nel 2004, nel mondo di Warcraft, popolato da elfi, nani, orchi e troll, due fazioni nemiche si fronteggiano, senza tregua, nella perenne sfida tra le forze del bene e quelle del male. Ma guai a definirlo solo un gioco - tengono a precisare gli appassionati del genere - sarebbe limitativo, visto che è divenuto un vero e proprio fenomeno sociale in ogni parte del mondo. E con una crescita che sembra non conoscere sosta. Da sottolineare che quando fu immesso sul mercato ha venduto oltre 240 mila copie. In un solo giorno, per capirci. E che sia un fenomeno esplosivo è fuor di dubbio. Il nuovo capitolo «Burning Crusade», (Crociata infuocata), datato 2007, arricchito di nuove sfide, contenuti, ambientazioni e di un nuovo continente (Outland), è già introvabile tra gli scaffali dei negozi, facendo rimanere a bocca asciutta migliaia di videogiocatori in tutto il mondo.
In Gran Bretagna, così come in Germania, ci sono state code di oltre dieci ore di fronte ai centri commerciali per accaparrarsene una copia. A Colonia la lunga attesa si è addirittura trasformata in una rissa. La scelta commerciale della Blizzard, che per la prima volta mette sul mercato un'espansione per un suo prodotto già campione d'incassi, non convince molti analisti: l'accusa - forse non senza ragione - è di aver creato un modello di gioco basato su una sorta dipendenza dei partecipanti. Se i giocatori vogliono infatti continuare a far vivere i propri personaggi in World of Warcraft devono spendere 12,99 euro al mese. Moltiplicato per ... non c'è bisogno dei pareri degli esperti nel prefigurare per la compagnia californiana ricavi alle stelle se, come probabile, l'acquisto dell'ultima espansione si dimostrerà di massa.
Ma cosa trasforma un gioco online in fenomeno sociale? Il successo di questo tipo di videogiochi, che si differenziano da quelli standard proprio perché riuniscono un vasto numero di giocatori, è dovuto essenzialmente alla possibilità di condivisione (l'entusiasmo del gioco) e alla presenza delle comunità online. In ogni Mmorpg la società di giocatori è spesso organizzata in clan o in gilde favorendo quindi il gioco di gruppo e il senso di appartenenza, creando un legame fra le persone anche per mesi o anni. A prescindere dal gioco.
Chi e come ci guadagna? Oltre ai produttori dei giochi questo mercato - molto ghiotto - stuzzica anche gli appetiti degli investitori esterni, che guardano a questo tipo di business con sempre maggiore attenzione. «Le compagnie tradizionali stanno portando i propri marchi all'interno dei videogiochi on line con l'obiettivo - spiegano sempre i ricercatori della Screen Digest - di costruire comunità in rete, aumentare la conoscenza del loro brand e raggiungere consumatori considerati centrali per il loro sviluppo futuro».
Per ora, nonostante siano in cantiere nuove strategie per generare ulteriori profitti, gli attuali ricavi sono dovuti prevalentemente alle iscrizioni, che rappresentano l'87 per cento degli introiti.

Note: videogames
Patrimoni dell'umanità
La proposta è stata mandata nell'autunno scorso alla Libreria del Congresso americano e probabilmente verrà accolta e finanziata. Si tratta di raccogliere, catalogare e conservare i videogiochi, così come già viene fatto con i film più importanti. L'idea è di Henry Lowood, dell'università di Stanford, dove è il curatore delle collezioni di storia della scienza e della tecnologia. Egli ha già iniziato l'opera nel 1998, di sua iniziativa, salvando dall'oblio e dall'obsolescenza tecnologica i videogames. È convinto infatti che i giochi digitali abbiano un significato storico importante, testimonianze di un'epoca e di una società. Al recente congresso degli autori di videogame, in San Francisco, Lowood e un comitato promotore spontaneo hanno già presentato la lista dei giochi che hanno fatto la storia. Tra questi Spacewar (1962), Star Raiders (1979), Zork (1980), Tetris (1985), SimCity (1989), Super Mario Bros. 3 (1990), Doom (1993), e la serie Warcraft (1994 e seguenti). Tra di loro spicca il fenomeno delle simulazioni urbane e sociali, le Sims, che sono andate oltre l'idea del gioco di pura azione e spari, vendendo 85 milioni di copie. Un problema di conservazione si pone perché i programmi più vecchi rischiano di non essere più fruibili essendo cambiati nel frattempo sia l'hardware che il software: potrebbero perciò sparire dalla storia. Già ora il catalogo Sony Ps2 non è tutto giocabile sulla nuovissima Ps3 e questo è lo stesso problema che da tempo gli archivisti si pongono per la conservazione dei documenti digitali. Un museo dei giochi elettronici, dunque, dovrà essere dotato anche delle macchine e delle console di una volta.
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