l'editoriale

Copyright, una direttiva proibizionista che difende gli interessi delle major

27 aprile 2007
Benedetto Vecchi
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Può accadere che un emendamento riesca a cambiare la ricezione di una direttiva europea sulla proprietà intellettuale generalmente definita proibizionista. E' quanto accaduto ieri in rete alla notizia che il parlamento di Strasburgo ha approvato a maggioranza l'Intellectual Property Enforcement Directive 2 . Il tono dominante dei commenti era di pacata soddisfazione per quell'emendamento che chiarisce che l'uso equo, cioè personale dei materiali video e musicali scaricati da Internet seppur vincolati al diritto d'autore, non è equiparato a un reato. Allo stesso modo, l'esclusione della brevettabilità del software dal dispositivo comunitario a difesa della proprietà intellettuale è stata considerato un ulteriore segnale di una «riduzione del danno» consentita dalla battaglia parlamentare. Ovviamente, chi talvolta infrange le sacre leggi del copyright può dormire sonni tranquilli, perché non ci sarà mai nessun tutore delle forze dell'ordine che busserà alla sua porta per portarlo in prigione. E possono tirare un respiro di sollievo le associazioni dell'open source per quell'esclusione dei brevetti dalla direttiva europea. Ma la votazione del parlamento europeo apre una pagina inquietante su come il vecchio continente affronta il tema della proprietà intellettuale. La logica di fondo è quella della difesa degli interessi delle imprese discografiche, informatiche e cinematografiche, unita alla volontà di sradicare attitudini tanto diffuse quanto radicate nelle breve storia di Internet, considerare cioè il web uno spazio condiviso di conoscenze che non possono essere sottoposte al regime della proprietà intellettuale. E' da alcuni anni che l'Unione europea sta cercando di definire una politica omogenea sulla proprietà intellettuale che faccia suo lo spirito che anima i trattati del Wto - i famigerati Trips - su questo argomento. E lo ha fatto a colpi di direttive che hanno incontrato sempre la resistenza dei gruppi open source per quanto riguarda la produzione di software o di giuristi che hanno visto profilarsi la violazione della privacy elevata a sistema, come quando una commissione comunitaria voleva obbligare i gestori dei server a fornire alla polizia gli indirizzi Internet e i relativi nominativi di chi si collegava a siti che consentivano, ad esempio, il peer to peer. Anche in questa direttiva ci sono capitoli dedicati al ruolo che dovranno svolgere i gestori dei server in quanto attivi collaboratori delle forze di polizia nel reprimere la violazione della proprietà intellettuale. Soltanto che l'Intellectual Property Enforcement Directive 2 compie un passo ulteriore in avanti e in senso peggiorativo, perché punta a creare le basi per un sistema penale unitario attorno al copyright, l'economia del marchio e dei brevetti. Inoltre, viene istituzionalizzata la «cooperazione» dei privati - cioè le associazioni delle case discografiche, cinematografiche e del software - alle indagini della polizia. Nei giorni scorsi, molti hanno parlato di privatizzazione della giustizia. Un'iperbole, ma non lontana dalla realtà, perché la direttiva pone le basi di una divisione del lavoro tra organizzazioni pubbliche e private di polizia. Nessuna riduzione del danno, dunque, ma un dispositivo fortemente proibizionista che fa carta straccia dei tanti propositi di una soft governance di Internet che l'Unione europea voleva istituire per compensare lo spirito liberticida dei Trips. La parola passa ora a chi si è mobilitato contro la direttiva. Il primo passo è la libera condivisione di quello spazio comune che è il web. E dunque scaricando tutto quel che è possibile scaricare e diffondere liberamente e gratuitamente ciò che si è scaricato.
bvecchi@ilmanifesto.it

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