La moneta sonante della conoscenza
È bastata un'indiscrezione sulla possibilità da parte di Microsoft di voler acquisire Yahoo! a scatenare una valanga di analisi sul perché Bill Gates voglia riaprire le ostilità contro Google. Ce ne sono state alcune che sembravano un vademecum al Risiko del cyberspazio, dove la posta in gioco è il controllo di Internet. Altre analisi, più sobrie e realiste, hanno sottolineato che la concorrenza tra i due giganti della rete non può conoscere soste, perché il web è una realtà in continuo divenire e chi si ferma è perduto (ne ha scritto anche questo giornale il 5 maggio).
Ma le conseguenze di un possibile acquisto di Yahoo! da parte di Microsoft potrebbero essere viste a partire dal fatto che il conflitto in atto non riguarda solo le geomentrie del potere in Internet, bensì gli assetti di un'industria relativamente giovane chiamata dei metadati, l'unico settore high-tech che gode buona salute dopo la crisi delle imprese dot.com iniziata con l'esplosione della bolla finanziari nel 2001. Ed è a questo settore che è dedicato il nuovo libro del gruppo Ippolita a partire dalla storia di Google (Luci e ombre di Google, Feltrinelli, pp. 172, euro 9,50).
Il lato oscuro di Google
Quello di Ippolita è un saggio che merita attenzione per due motivi. Il primo riguarda la prassi teorica che è alle sue spalle. Il libro è infatti il risultato di un lavoro di ricerca avviato da un gruppo eterogeneo di informatici, studiosi di varie discipline, giornalisti e mediattivisti che ha alle spalle un altro testo (Open non è free, Eleuthera edizioni) sulla produzione di software non sottoposto a copyright. Una prassi teorica che, se replicata, può dare ottimi frutti. Inoltre, il libro è sotto licenza Creative Common, cioè può essere riprodotto e diffuso liberamente; oppure può essere scaricato da Internet (www.ippolita.net). Ma l'aspetto più rilevante del volume risiede nel tentativo di indagare l'operato di imprese che producono dati per mezzo dati. Viene sì ricordata la decisione della società di Mountain View di accettare la richiesta di censura avanzata dalla Cina per impedire l'accesso ai siti sgraditi a Pechino da parte di internauti cinesi. E sono altresì evidenziati anche i timori di una violazione sistematica della privacy da parte di Google, visto che acquisisce una mole impressionante di dati personali ogni volta che si usa il suo motore di ricerca. Argomenti che hanno tenuto banco nella discussione pubblica attorno l'operato di Google, ma è sul funzionamento dell'industria dei metadati che il gruppo Ippolita dà il meglio di sé.
In primo luogo, la tecnologia o il software non costituiscono il core business di queste imprese. Google, ma anche Yahoo! e financo il motore di ricerca di Microsoft raccolgono infatti informazioni e le organizzano secondo le richieste degli utenti finali. In altri termini, la merce prodotta è un'informazione personalizzata che ha una materia prima inesauribile, cioè la comunicazione on-line e le relazioni sociali che si stabiliscono tanto dentro che fuori lo schermo.
E non è un caso che i servizi che Google fornisce riguardano proprio la comunicazione e le relazioni sociali, dalla posta elettronica alla telefonia su Internet. Inoltre, i due fondatori (Larry Page e Sergey Brin) vogliono fornire anche la possibilità di accedere al sapere accumulato. Da qui il progetto di digitalizzare i libri presenti nelle biblioteche delle più importanti università e biblioteche statunitensi, mentre aumentano le voci che la società di Mountain View garantirà, nel prossimo futuro, l'accesso gratuito a un «pacchetto» di programmi (dalla video scrittura alla gestione delle tabelle elettroniche) per i naviganti della rete.
La gratuità è quindi la parola-chiave del successo dell'industria dei metadati. Infatti, chiunque possessore di un personal computer e di un collegamento al World Wide Web può usare Google senza sborsare un centesimo.
Ma allora qual è il segreto delle fortune economiche di Google, una delle imprese più gettonate di Wall Street? La visibilità. In un contesto dove l'entropia dell'informazione sembra aumentare esponenzialmente, Google permette, tramite una asta, a piccole o grandi imprese di essere discretamente segnalate nelle ricerche compiute attraverso il suo motore di ricerca.
Il gruppo di Ippolita invita inoltre a soffermarsi sul fatto che gli utenti del motore di ricerca forniscono a loro volta e gratuitamente informazioni che si vanno aggiungere alla già ingente mole di dati accumulate in quella strana architettura del futuro che il Googleplex, come è stata chiamata la nuova sede dell'impresa di Larry Page e Sergey Brin.
Sia però chiaro che questa doppia veste di consumatore e produttore di informazione non è solo una caratteristica di Google. Oramai, gran parte delle imprese usano infatti l'interattività con i consumatori delle proprie merci come un potente strumento per innovare i loro prodotti, i loro processi lavorativi. Quello che però è riuscito a fare Google è di rendere costante questa interattività in ogni momento che si presenti. L'utente del motore di ricerca fornisce just in time e a colpi di mouse la materia prima sulla quale Google fa affari.
Un libro dunque da leggere come un'introduzione a una produzione di merci che ha caratteristiche inedite rispetto al passato. Ciò che però non convince del tutto nella analisi di Ippolita è la parte relative al rapporto tra Google e il mondo open source o del freesoftware.
Cooperazione espropriata
Il gruppo di Ippolita accusa Google di ipocrisia. Ipocrisia dovuta al fatto che gran parte del software usato non è sottoposto a diritto d'autore, mentre l'algoritmo usato da motore di ricerca è rigidamente vincolato a un brevetto di proprietà delluniversità di Stanford che lo ha dato in gestione a Larry Page e Sergey Brin. Critiche condivisibili, ma che non colgono il cuore del problema. Google non usa solo prodotti opern source: Google applica l'organizzazione produttiva dell'open source. Poca gerarchia, libertà di movimento, valorizzazione della creatività, al punto che la forza lavoro può dedicare il venti per cento dell'orario di lavoro per sviluppare propri progetti. Per poi ricondurre questa cooperazione sociale alle regole dell'economia capitalistica.
Google considera, ad esempio, risibile usare le norme sulla proprietà intellettuale, come avviene ad esempio alla Microsoft. Punta invece, e con successo al momento, ad operare come un rentier della cooperazione sociale. È questo il vero lato oscuro da illuminare, dunque, non solo per comprendere la realtà, ma per sviluppare forme di resistenza alla appropriazione privata dell'intelligenza collettiva.
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