Open Source
Nel 1984 con la "Free Software Foundation", Richard Stallman propone l'idea rivoluzionaria, che sarà poi ripresa nel 1997 dal manifesto della "Open Source Definition" (http://superdido.com/luca/tesi/node38.html), di rendere il codice dei programmi per elaboratore "libero": chiunque deve avere la possibilità di utilizzarlo, modificarlo e far circolare tali modifiche senza dover sopportare per questo alcun costo.
Alla base dell'idea è il convincimento che la possibilità di lavorare liberamente sul codice sorgente, o matrice, di un programma per elaboratore migliora il programma stesso, poiché la collaborazione facilita sia la correzione di eventuali errori sia l'adattamento ad esigenze e piattaforme hardware diverse.
La graduale invenzione su modelli di riferimento è la caratteristica del fenomeno Open Source, frutto di un processo di formazione continuativa e decentrata della conoscenza, condivisa da più programmatori che sommano le loro intelligenze.
L'opinione circa il miglior funzionamento del software libero, rispetto a quello proprietario, perché incorpora le conoscenze di più soggetti - con le richiamate teorie di Raymond sulla conoscenza condivisa e sul contributo collettivo e paritario nello sviluppo dei programmi (Eric Raymond, The Cathedral and the Bazar, Paperback Ed., 2001, e in http://www.dvara.net/HK/cattedralebazaar.asp), e quelle di Söderberg sul processo di apprendimento e di comunicazione collettivi che crea una sorta di supermente o General Intellect (http://www.firstmonday.org/issues/issue7_3/soderberg/) - è ricca di implicazioni filosofiche che trascendono la nostra analisi, e riconduce alla filosofia dello spirito di Hegel e allo 'spirito universale' dell'umanità (http://www.soscuola.it/Nietzsche/testi/h.htm).
E' proprio quel processo di formazione decentrata della conoscenza, individuata alla base del fenomeno, che porta anche all'analisi di esso sotto una luce più vicina allo spirito della ricerca scientifica, che si basa sulla condivisione delle informazioni.
Ciò mi fa pensare alle origini di Internet, nata come rete aperta, gestita da software il cui codice sorgente era a disposizione di tutti: quando i computer non erano ancora così diffusi, l'attività di sviluppo del software consisteva appunto in un processo di collaborazione attuato soprattutto da accademici e studenti, in un clima di cooperazione e trasparenza.
Molti dei componenti funzionali di Internet sono stati creati in collaborazione , utilizzando software con codice aperto, che permetteva alla comunità degli utenti di comprendere ciò che stavano usando, di correggere gli errori, e di modificare e quindi migliorare il software stesso. La commercializzazione su larga scala dei computer negli anni settanta ed ottanta introdusse poi nuove dinamiche nello sviluppo del software, divenuto soprattutto un procedimento chiuso e proprietario.
Penso che un effetto collaterale del movimento Open Source sia stato di avere riesumato lo spirito originario di Internet, regno di libertà e di valorizzazione dell'individuo e della diffusione della conoscenza.
2. Le implicazioni nel diritto d'autore
Ma vedrei anche un effetto collaterale nel recupero dello spirito originario del diritto d'autore, nato per riconoscere sia la creatività (per la dottrina della personalità creatrice di diritto continentale) che il risultato del lavoro intellettuale (secondo l'impostazione anglosassone di valorizzazione del labour come fonte di legittimazione della proprietà individuale).
Dai tempi di Johann Gensfleish, in arte Gutenberg, http://www.linguaggioglobale.com/newmedia/lem/5libro.htm, che rese per primo possibile la distribuzione tendenzialmente illimitata dell'informazione, gli autori di opere erano desiderosi che il loro lavoro intellettuale si diffondesse, e non avevano alcun intento di convogliare la proprietà delle loro opere ai distributori; si voleva attribuire ad essi il diritto esclusivo di attivare una distribuzione commerciale di una forma di espressione per un periodo limitato nel tempo.
Oggi assistiamo invece al predominio di quelle istituzioni, in origine pensate per esaltare la creatività dell'individuo e diffondere la conoscenza, sull'individuo che dovrebbero promuovere: ogni porzione di arte commercialmente valutabile creata nel secolo scorso è in possesso di editori, distributori, compagnie discografiche, studi cinematografici, università, riviste scientifiche, etc., i cui talenti creativi risiedono soprattutto negli uffici di contabilità.
Ma non esiste alcun sevizio che queste società o enti offrano che non possa essere offerto in Internet in un modo più efficiente, più rapido, e in definitiva con maggior profitto.
La volontà di ridurre tutte le creazioni umane esistenti a mera proprietà non solo limita la creatività umana, ma si rivela inefficiente anche da un punto di vista economico, diminuendo la fertilità dell'ecosistema creativo e limitando la libertà di espressione.
Un diritto d'autore aperto, basato sulla condivisione della conoscenza, è ora reso necessario dallo stesso scenario tecnologico, che rende possibile lo spostamento delle informazioni in tutto il pianeta senza alcun costo, la riproduzione infinita e la distribuzione istantanea di ogni opera: il contenitore materiale che era necessario per trasportare le informazioni diventa superfluo, e diventano obsolete le industrie che lo producono.
Il problema nasce infatti dalla proprietà digitalizzata: come la si può proteggere se può essere riprodotta infinitamente e distribuita istantaneamente sul pianeta? Come può essere remunerato allora il lavoro intellettuale e creativo? Questo cambiamento costituisce una sfida alla normativa tradizionale sui brevetti e sul copyright.
Si potrebbe pensare ad un diritto d'autore digitale e ad un sistema di protezione della 'proprietà intellettuale' del tutto nuovo, anche nei princìpi. Le stesse nozioni di proprietà, valore e possesso stanno cambiando. E le tradizionali istituzioni deputate alla distribuzione delle opere diverranno probabilmente entità che promuoveranno lo scambio di espressioni anziché limitarlo.
2.1. Profili antitrust.
Le sfide poste dalla proprietà digitalizzata quanto alla possibilità di protezione giuridica e l'erosione tecnica, quando non la cancellazione, della dicotomia idea-espressione sono fattori che confermano come lo sviluppo dell'innovazione sia oggi l'aspetto più significativo della dinamica concorrenziale sottesa alla Intellectual Property.
Rimando in proposito alla significativa opera "Invenzione e innovazione", Milano, 1978, di Luigi Carlo Ubertazzi.
L'Open Source si colloca, a mio parere, in questa tensione tra due esigenze attualmente contrapposte (e non complementari, come dovrebbero essere): quella di protezione dell'innovazione, che fa da stimolo alla stessa e al suo sviluppo, e quella di reale fruibilità sociale - tramite varietà dell'offerta e livello accettabile dei prezzi - dei frutti di quell'innovazione.
L'analisi della tutela del copyright nei settori della Information Technology implica la constatazione dei network effects derivanti dall'uso delle più diffuse e standardizzate tecnologie di connessione e di interoperabilità tra sistemi informatici e di comunicazione; effetti di rete che aggravano la tensione tra portata escludente dei diritti di Proprietà Intellettuale che ineriscano a detti standards, con conseguenti barriere all'entrata dei concorrenti, e l'esigenza che l'accesso a detti standards sia "aperto e non discriminatorio".
A questo proposito ricordo la specificità della prospettiva comunitaria sulle Information Technologies e sugli standards di comunicazione oggetto di diritti di PI, con la teoria dell'assimilazione della titolarità di detti diritti alla detenzione di una posizione dominante, e con la conseguente sanzionabilità come abuso dell'ingiustificato rifiuto di concedere licenze a terzi. Mi riferisco in particolare alla nota decisione della Corte di giustizia sul caso Magill (http://www.jus.unitn.it/faculty/lesson/econ_law/2/giurisprudenza/magill.html ).
Questa teoria, di matrice comunitaria, presenta delle sostanziali assonanze con quella di matrice nordamericana delle c.d. essential facilities (http://www.ftc.gov/os/comments/intelpropertycomments/pitofskyrobert.pdf), vale a dire di quelle infrastrutture essenziali all'accesso ad un mercato per il caso che il detentore delle stesse infrastrutture abbia un certo controllo su quel mercato. Egli ha allora l'obbligo di concedere accesso ai terzi come espressione di un duty to serve.
In definitiva, esiste una relazione direttamente proporzionale tra valore dell'opera e diffusione della stessa in un'economia dell'informazione dematerializzata: l'Open Source avrà un effetto dirompente in un mercato già caratterizzato da forti esternalità.
La combinazione tra i network e i costi irrisori della produzione fanno sì che le imprese della new economy, a differenza di quelle dell'economia tradizionale, siano incentivate ad aumentare la produzione anziché a ridurla: più utenti usano un software maggiore è l'incentivo per i produttori allo sviluppo di nuove applicazioni, e quindi anche l'interesse di altri utenti ad acquistarlo.
Così, quando nasce la domanda crescono anche i rendimenti, apportando maggior efficienza e prezzi più bassi, e stimolando una domanda ancora più estesa. Da un punto di vista economico la produzione dell'informazione si caratterizza per avere alti costi fissi iniziali e costi marginali trascurabili: il costo è concentrato sulla prima copia, che avrà poi costi di riproduzione molto ridotti, permettendo forti economie di scala.
E allora i rendimenti di questo tipo sono tipici di un'economia della conoscenza, che sta progressivamente sostituendo la "bulk production" che prevede la trasformazione delle materie prime in prodotti finiti ed è caratterizzata dai rendimenti decrescenti teorizzati negli scritti di Marshall).
2.2. La tutela del software: dal diritto d'autore al brevetto
Azzardo per concludere una mia impressione, che in verità costituisce una vexata quaestio: che le difficoltà di tutelare il software - fino al punto dell'esplosione dell'opposta filosofia dell'Open Source - risieda in un vizio originario, anche se di autorevole matrice comunitaria, dato dalla forzata inquadratura del software in un campo di tutela, il diritto d'autore, che non gli si addice.
L'inadeguatezza del diritto d'autore per la tutela del software, oltre alle evidenti differenze sostanziali con le opere esteticamente fruibili tra le quali viene annoverato, derivano dalla semplice constatazione che i programmi per elaboratore risolvono e contengono aspetti funzionali la cui tutela sarebbe meglio inquadrata in un'ottica brevettuale. Il software si pone inoltre in una linea di progresso e di sviluppo tecnologico continuo, tanto che ogni nuova opera costituisce evoluzione di quella che l'aveva preceduta (colgo anche qui l'analogia con la modularità dello sviluppo cooperativo e di innovazione sequenziale di cui si è parlato nell'epistemologia dell'open source).
Questo non accade per le opere tradizionalmente protette dal diritto d'autore, in quanto ogni opera è in sé protetta come autonoma rispetto a quelle precedenti, e difficilmente inquadrabile in una linea di evoluzione. Si spiegano le necessarie eccezioni che si sono dovute configurare per ottenere le informazioni necessarie all'interoperabilità con altri programmi: la copia back-up e il reverse engineering (art. 64-ter l.d.a.).
Forse si era dimenticato di considerare che il software circola sotto forma di programma, dal quale non è immediato ricavare alcuna indicazione circa il codice sorgente in cui il programma è originariamente scritto: ne consegue la non immediata intelligibilità (possibile solo con la non facile operazione di decompilazione) del programma da parte dell'utente, e quindi, più in generale, la non completa conoscenza dell'opera che viene fornita al patrimonio dell'umanità.
Un simile inconveniente avrebbe potuto essere evitato attraverso un inquadramento nella tutela brevettale, che richiede ai fini della concessione della tutela una descrizione chiara e completa dell'invenzione.
La tutela brevettale, permettendo l'individuazione e la conoscibilità del codice sorgente, basterebbe a proteggere l'inventore nei confronti di chi sviluppi autonomamente propri programmi facendo uso di tecniche e algoritmi da altri creati.
E tale descrizione consentirebbe anche una diffusione degli insegnamenti tecnici posti alla base dei programmi, presupposto del progresso nell'informatica, la quale può evolversi tanto più efficacemente quanto più rapida è la divulgazione tra gli esperti della conoscenza delle altrui realizzazioni.
Il dibattito sull'inadeguatezza della scelta del diritto d'autore, rispetto al sistema brevettale, della protezione del software, non è ancora sopito. Esso ruota intorno alla merger doctrine per la quale il ricorso al copyright è precluso quando l'idea e l'espressione siano intimamente collegate (della quale è esponente Spivock, Does form follow function? The Idea/Expression dichotomy in Copyright Protection of Computer Software, UCLA L. R., 1988, 723) e al pensiero, di parte della nostra dottrina, per la quale è fuori luogo la protezione del diritto d'autore in settori tecnologici essentially utilitarum (vedasi, per citarne solo alcuni, V. Franceschelli, La direttiva CEE sulla tutela del software: trionfo e snaturamento del diritto d'autore, in Riv. Dir. Ind., 1991, I, 169; R. Pardolesi, Software, "property rights" e diritto d'autore. Il ritorno al paese delle meraviglie, in Foro it., 1987, II, c. 293; AA.VV., La tutela giuridica del software, a cura di Alpa, Milano, 1984,).
D'altra parte non bisogna ignorare le ragioni di opportunità della scelta del nostro legislatore in ragione dell'armonizzazione delle tutele a livello internazionale e comunitario. Infatti il diritto d'autore conferisce protezione al bene senza necessità di formalità legali costitutive di diritti, il che rende agevole la tutela nella nazione di origine dell'opera e consente una facile estensione della stessa tutela a livello mondiale, mediante le regole internazionali date dalle Convenzioni e dai Trattati in materia che 'globalizzano' efficacemente la protezione.
La breccia per la tutela nell'ambito del diritto d'autore è stata aperta dagli Stati Uniti nel 1980, con il Computer Software Amendment Act, che ha condizionato le altre normative nazionali. Poi, come sappiamo, la Comunità Economica Europea ha anch'essa optato per il diritto d'autore in materia di programmi per elaboratore con la Direttiva 91/250/CEE, il cui articolato normativo è stato recepito nel nostro ordinamento con il D. lgs. 518 del 29 dicembre 1992, che ha novellato la legge sul diritto d'autore n. 633/41.
Un diverso assetto, quale poteva essere quello di indirizzare la tutela verso il brevetto, avrebbe posto barriere alla libera circolazione internazionale del software, per la necessità della formalità della brevettazione, da reiterare nei tempi e nei modi previsti da ciascuna nazione.
La questione si è tuttavia acuita quando ci si è resi conto, in Europa, che il divieto di brevettabilità dei programmi software "in quanto tali" sancito dalla Convenzione di Monaco sul Brevetto Europeo (CBE) del 5 ottobre 1973 (art. 52, comma 2 lett. c) rende i produttori europei di software alquanto vulnerabili nella competizione con la concorrenza extra UE, soprattutto nei confronti degli USA e del Giappone, dove il software può essere brevettato senza alcun limite oltre i requisiti di utilità e novità.
Solamente di recente (in data 20 febbraio 2002) la Commissione Europea, sulla base di appositi studi ed una consultazione aperta ai diversi soggetti del settore informatico, ha presentato, all'esito di detti studi e della consultazione, una Proposta di Direttiva relativa alla "brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici" (http://europa.eu.int/smartapi/cgi/sga_doc?smartapi!celexapi!prod!CELEXnumdoc&lg=IT&numdoc=52002PC0092&model=guichett) Rimando, per i vari aspetti del problema all'esauriente volume di Giustino Fumagalli, La tutela del software nell'Unione Europea, in Le Guide di dirittodautore.it, Milano, 2003, e in particolare al cap. III su "L'evoluzione della tutela del software: dal diritto d'autore al brevetto".
3. Osservazioni conclusive
L'Open Source è un'estrema espressione del pensiero circa l'inadeguatezza della tutela proprietaria del software, frutto sia di creatività intellettuale che di inventiva tecnologica, ma sempre più proteso verso quest'ultima, in quanto tralucentesi in uno strumento di lavoro ormai presente in modo essenziale nelle attività quotidiane.
Osservo infine che le implicazioni dell'uso del software libero non sono soltanto tecniche ed economiche, perché il software da tempo ormai è avviato ad occupare un ruolo di primo piano nella nostra vita quotidiana, ed è destinato a cambiare in maniera profonda la società. Condividiamo pertanto le conclusioni di Angelo Raffaele Meo, Software libero e "Open Source", in http://www.osservatoriotecnologico.net/software/opensource.htm
Credo che grazie a Internet e alle tecnologie telematiche la produttività economica sarà amplificata dalla conoscenza, perché le disuguaglianze nella produzione saranno livellate, e che la nostra libertà futura dipenderà anche dall'uso di software libero.
Giovanni Bonomo
Avvocato in Milano
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