Codici aperti con licenza da uccidere
Preparata in circa tre anni di lavoro, l'ultima versione della General Public Licence non ha avuto certo un'accoglienza calorosa quando è stata «lanciata» a fine giugno. «Farraginosa, di difficile comprensione»; «contraddittoria», i commenti più diffusi su molti blog. Ma c'è anche chi non ha esitato a bollarla come «pericolosa, ideologica, illiberale», con una escalation di termini spregiativi che difficilmente sono rimasti senza risposta. Infatti, su altrettanti siti dedicati allo sviluppo di programmi informatici non sottoposti alle leggi sulla proprietà intellettuale i difensori della nuova General Public Licence non hanno lesinato termini al vetriolo verso i suoi detrattori. Tutto potrebbe apparire come una querelle tra esponenti di ininfluenti «sottoculture» informatiche, ma non è così.
Il codice conteso
Da una parte c'è la Free Software Foundation, braccio legale di Richard Stallman, cioè del carismatico informatico che ha posto le basi dello sviluppo di software libero, nonché ideatore della prima licenza che consente di poter liberamente usare e modificare programmi informatici a patto che tali cambiamenti siano resi pubblici. Dall'altra parte c'è l'open source che con Stallman condivide la necessità di condividere la conoscenza contro la voracità di chi (imprese e governi) vorrebbe privatizzarla. Ma a differenza del free software, Linus Torvald, Eric Raymond e molti altri esponenti di punta dell'open source ritengono che i programmi informatici non proprietari possono diventare competitivi con quelli proprietari non solo dal punto di vista tecnico, ma anche sotto il profilo economico.
I due mondi, il free software e l'open source, hanno avuto finora una convivenza pacifica. Anzi, spesso chi partecipa a progetti della Free Software Foundation lavora in imprese che producono programmi informatici open source. Ad esempio, Linus Torvald, cioè colui che ha sviluppato il kernel (il cuore) del sistema operativo Linux, ha adottato sia la prima che la seconda versione della General Public Licence, rilasciando spesso dichiarazioni di stima verso Stallman: apprezzamenti che qust'ultimo non ha però ricambiato.
Questa sovrapposizione o contaminazione tra le due «attitudini» non ha però cancellato le differenti concezioni che sono alla base delle due esperienze. E se Stallman sottolinea la critica alla proprietà intellettuale come obiettivo prioritario del software libero, i gruppi legati all'open source hanno messo l'accento sulla maggiore qualità dei programmi informatici nati dalla condivisione e dalla cooperazione e di come tale superiorità tecnica rappresenti un vantaggio competitivo da sfruttare sul mercato dell'high-tech.
La «convivenza pacifica» fin qui perseguita ha però dovuto fare i conti con gli effetti dovuti alla diffusione del software non proprietario. È cosa nota che Apache, cioè i programmi che gestiscono gran parte dei server di Internet, sono nocopyright. E altrettanto conosciuta è la costante erosione di mercato del sistema operativo Windows di Microsoft operata dalla diffusione di Linux.
Ciò che ha determinato, nell'ultimo lustro, una prima e niente affatto sottovalutabile incrinatura nei rapporti tra free software e open source è il cambiamento delle strategie imprenditoriali di gran parte delle imprese high-tech nei confronti dei programmi informatici non proprietari. Da nemici con cui non si dialoga, il free software e l'open source sono diventati mondi con cui stabilire rapporti e partnership stabili. Anche in questo caso è noto che Novell e Ibm si siano convertiti all'open source, meno conosciuto è il fatto che esistono decine di progetti che vedono impegnati assieme imprese che producono software proprietario, compresa la Microsoft, e quelle che producono software non proprietario.
Esplode il conflitto
Il cambiamento più significativo riguarda tuttavia la questione del digital right management e la possibilità di usare liberamente brevetti sul software da parte di imprese open source impegnate in partnership con imprese proprietarie di qui brevetti. Il digital right management è una tecnica che impedisce la duplicazione del software. Quando Richard Stallman ha tuonato contro il digital right management nessuno si è tanto meravigliato. Ma quando ha aggiunto che tutti i software che avevano adottato la General Public Licence dovevano interrompere ogni collaborazione con imprese che usano tecniche di digital right management la reazione della Open Source Initiative, una sorta di associazione dell'open source, è stata negativa.
A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato Linus Torvald, che nel sito più istituzione dell'open source - quello per intenderci dove si discute dello sviluppo di Linux - ha affermato che la collaborazione tra open source e imprese che usano tecniche di digital management è possibile, per poi aggiungere che chi pensa il contrario vuol limitare la libertà personale.
Lo scenario non è cambiato quando il tema del contendere sono diventati i brevetti. Stallman, anche in questo caso, ha sostenuto l'incompatibilità tra chi usa la «sua» licenza e chi invece sfrutta commercialmente i brevetti sul software. Questo significa che molti progetti tra imprese open source e imprese che detengono molti brevetti sul software sono, secondo Stallman, una realtà da avversare. Ed è per questo che ha pensato che la nuova versione della licenza dovesse contenere clausole rigide che impedisse tale collaborazione.
Scambio di accuse
Linus Torvald ha risposto seraficamente, in una intervista on line (www.oneopensource.it), che lui sponsorizza le due versioni precedenti e che non è certo interessato a perdere tempo a studiare la nuova. Diversi sono state invece le reazioni dei vari gruppi che lavorano alla diffusione di Linux. A luglio è apparsa, sul migliore sito italiano che si occupa di questi temi (punto-informatico.it), un'intervista a Patrizio Tassone, direttore di «Linux&C», che non ha certo lesinato le critiche alla nuova versione della General Public Licence, arrivando a definirla «pericolosa».
Oltreoceano le cose non sono diverse. I blog sono pieni di scambi di messaggi al vetriolo. L'accusa è di tradimento da parte di chi considera la nuova versione un buon strumento per contrastare i rentier del software. Idealismo e ideologismo sono invece i termini frequentemente usati da chi la considera un limite posto allo sviluppo economico dell'open source. «Volete far tornare il software non proprietario a un gioco di geek (i virtuosi della programmazione informatica, n.d.r.)». La rottura sembra così consumata. Ma per averne conferma occorrerà aspettare, perché non è detto che quella sovrapposizione tra free software e open source così diffusa non consenta la ricucitura dello strappo.
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