Un pericolo pubblico numero uno è on line

Condanna esemplare negli Usa per violazione del diritto d'autore in nome della sicurezza nazionale
7 settembre 2007
BenOld
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Trenta mesi di carcere e tre anni di libertà vigilata per aver scaricato e inviato a siti Internet software duplicato illegalmente. È questa la sentenza emessa da un tribunale del Connecticut nei confronti di Eli El, un internauta residente nell'Illinois accusato di aver «diffuso illegalmente oltre 20 mila opere sotto diritto d'autore».
Eli El è stato condannato in base a una norma del Digital Millennium Copyright Act che prevede l'equivalente italiano dell'associazione a delinquere nel caso che la violazione del copyright sia continuativa nel tempo. Il primo commento positivo alla sentenza è venuto dal Dipartimento della Giustizia statunitense, che in un comunicato ha ricordato come il nome di Eli El fosse stato inserito tra la lista di ricercati per violazione delle norme sulla proprietà intellettuale stilata al temine di un'operazione chiamata Safehaven.
Eli El è stato tenuto sotto sorveglianza dalle unità contro il cybercrime per mesi dopo che i cyberpoliziotti hanno «scoperto» che il suo indirizzo elettronico ricorreva più volte nei siti dove è possibile caricare o scaricare programmi informatici, file musicali o video senza nessun filtro. In termine tecnico questi siti sono chiamati warez per la loro «essenzialità»: pagine web con un lungo elenco di materiale da poter scaricare e che consentano di poter compiere solo due operazione (il download e l'upload, cioè caricare e scaricare dati).
Nella sentenza non è specificato se Eli El abbia venduto il software duplicato illegalmente. D'altronde, il Digital Millennium Copyright Act non prevede una differenza tra duplicazione illecita per uso personale o a fini commerciali. Lo spirito della legge, si legge nel comunicato del Dipartimento della Giustizia, è la difesa a oltranza del copyright, che, va ricordato, è un diritto proprietario delle imprese.
Ma quello che emerge dalla sentenza non è tanto l'applicazione di una legge da più parti criticata perche risponde alle richieste delle multinazionali discografiche, cinematografiche e del software in materia di difesa della proprietà intellettuale, quanto per i retroscena resi pubblici sulle varie operazioni condotte dal governo statunitense contro la violazione del copyright che confermano molte delle denunce sulle ripetute violazioni dei diritti civili compiuti in nome della sicurezza nazionale.
Safehaven, infatti, fu lanciata nell'Aprile del 2003. Per quindici mesi Internet è stata setacciata in lungo e largo dagli «esperti» del Cybercrime Center, una sezione dell'Immigration and Customs Enforcement. E visto che erano tutte operazioni in nome della sicurezza nazionale si sono avvalse della recenti norme contro il terrorismo più volte giudicate «liberticide» dalle associazioni per i diritti civili statunitensi. In altri termini, la rete è stata messa sotto controllo ignorando qualsiasi rispetto della privacy e in barba ai diritti civili. Al termine del periodo, Il Cybercrime Center ha stilato una lista di venti ricercati su tutto il territorio nazionale (i famigerati «nemico pubblico numero uno») e un altro elenco di migliaia di internauti che hanno violato la legge sul diritto d'autore saltuariamente.
Oltre a Safehaven, il dipartimento della giustizia ha condotto altre operazioni di monitoraggio della rete. Operazioni dai nomi fantasiosi (Site Down, Buccaneer, Fastlink, Digital Gridlock, Higher Education) che hanno portato molte persone davanti al giudice. Spesso, però, erano uomini o donne che scaricavano materiale per «uso personale» o per condividerlo con amici o amiche. Ma secondo la logica securitaria del Dipartimento della Giustizia anche la convivialità e il divertimento possono diventare terribili attacchi alla sicurezza nazionale.

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