Il futuro del web è scritto nelle nuvole
Centri di calcolo. Migliaia di pc interconnessi che lavorano come un supercomputer. Il «cloud computing» è l'altra faccia - materiale e ingombrante - dei virtualissimi e intangibili servizi web.
Virtuale, immateriale, digitale. Il mondo dell'informatica ha una passione per le immagini che richiamano leggerezza. La diffusione dell'internet, poi, con la sua promessa di trasportare il software sempre più lontano dai Pc per sistemarlo laggiù da qualche parte nel cyberspazio ha reso questa tendenza ancora più marcata. Ultimo esempio dell'ideologia della levità è una delle espressioni più di moda del momento nell'universo hi-tech e fa riferimento all'inconsistenza del vapore: cloud computing, letteralmente «calcolo a nuvola».
E' grazie a questa soluzione che Google ci permette, con Google Docs, di scrivere, modificare, salvare e condividere un documento online, senza bisogno di scaricare alcun software sul nostro Pc. Non diversamente fa Microsoft, che ha imboccato anch'essa, con Windows Live, la strada virtuale: applicazioni offerte direttamente online e non più, come Office, depositate nel computer dell'utente.
E' sempre il «calcolo a nuvola» che consente ad Amazon, rivenditore di libri online ma anche - sempre di più - fornitore di servizi, di lanciare il suo Elastic Compute Cloud, un programma che consente a piccole società produttrici di software di prendere in affitto un po' della potenza di calcolo del gigante del web. Mentre Ibm, da parte sua, ha appena annunciato Blue Cloud: 200 ricercatori al servizio di quei clienti (banche o grandi distributori, per esempio, ma anche università e centri di ricerca) che vogliano fare un po' come i colossi della rete e offrire applicazioni complesse agli utenti o ai propri dipendenti senza che questi abbiano bisogno di scaricare programmi sulle proprie macchine.
Nuvole e ancora nuvole dunque. Meglio però non lasciarsi irretire troppo dalle sirene della leggerezza evocate da queste immagini. Dietro il racconto di un mondo sempre più virtuale, fatto di applicazioni e servizi offerti via web c'è infatti anche una realtà più nascosta, molto concreta e pesante. La via verso il «tutto online» richiede infatti potenza, erogata nel posto giusto, al momento giusto, a seconda dei picchi di richiesta. E questa potenza può arrivare solo da processori, dischi fissi e cavi: vale a dire migliaia di computer stipati all'interno di stabilimenti che spesso coprono superfici pari a centinaia di campi da calcio.
Di questa infrastruttura, maledettamente materiale e ingombrante, hanno bisogno i servizi online del presente come quelli futuro: dall'analisi in tempo quasi reale dei rischi connessi agli investimenti finanziari alle informazioni personalizzate sul proprio stato di salute. E sono queste le nuvole, tutt'altro che acquee, che i grandi colossi del web stanno voracemente ammassando in chilometri e chilometri quadrati di centri di elaborazione complice l'aumento di potenza dei chip e la caduta dei prezzi delle memorie.
Ecco allora che, oltre alla virtualissima gara per offrire applicazioni web innovative, c'è un'altra competizione parallela e materialissima, quella per accaparrarsi terreni su cui edificare enormi data center. Microsoft, per esempio, investirà 500 milioni in una struttura grande come 8 campi da calcio a Northlake, non lontano da Chicago. E questo dopo averne inaugurare di simili (43mila metri quadrati) a Quincy, nello stato di Washington, e avere in programma per il 2009 l'apertura di un centro di elaborazione dati al Grange Castle Business Park, presso Dublino: 51 mila metri quadrati per offrire servizi web in Europa, Medio Oriente e Africa. Tutta questa messe di server e spazio per stare alla pari con Google che, non contenta di avere già disseminato l'America di strutture in grado di supportare i suoi servizi online, continua a espandersi.
Una corsa alla ricerca della potenza a cui corrisponde una gara fra i territori per offrire ai grandi del web incentivi per ospitare le loro fabbriche calcolanti. Sì, perché oltre ad essere maledettamente ingombranti, queste nuvole consumano: 10 mila server hanno lo stesso bisogno di energia di un Comune di mille abitanti. Anche questo è il prezzo, molto concreto, del virtuale.
raffaele@totem.to
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