NELL'ERA DI INTERNET, LA BATTAGLIA PER PROTEGGERE IL MERCATO SENZA CALPESTARE IL VALORE DI CREATIVITA' E LIBERTA

La privatizzazione delle idee

La fine del bene pubblico tra proprietà intellettuale e copyright
24 novembre 2003
Anna Masera
Fonte: La Stampa
Internet è il più strepitoso mezzo di comunicazione che sia mai esistito e oggi la legge sulla proprietà intellettuale è la più restrittiva che sia mai esistita. Chi ha paura delle idee in circolazione? Chi sono i nuovi nemici della libertà?

Ne ha parlato per la prima volta in Italia - invitato al Lingotto di Torino al convegno sulla «Conoscenza come bene pubblico comune» organizzato settimana scorsa dal Csi Piemonte - Lawrence Lessig, autore di «The future of ideas» (il futuro delle idee), professore di legge alla Stanford University, massimo esperto mondiale per gli aspetti giuridici della tutela e della condivisione della conoscenza in Rete: cioè gli aspetti giuridici che definiscono la nostra libertà, la nostra democrazia e, soprattutto, la libera circolazione delle idee.

«Siamo passati da una società libera a una società feudale, c’è un allarmante ritorno al maccartismo in America» è l’allarme di Lessig. «Così come McCarthy negli anni ‘50 - sostenuto dal clima internazionale di guerra fredda tra Usa e Urss - condusse una assurda guerra terroristica contro le streghe comuniste negli Usa, oggi McCarthy è tal Lois Boland che - sostenuto dagli interessi di potenti lobby multinazionali (gli imperi dei media guidati da Hollywood e dalle major discografiche) che si sentono minacciate da Internet - conduce una guerra a tutto campo in nome della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, regolamentando tutto oltre ogni limite di ragionevolezza.

Un esempio paradossale? Un ragazzo ha pubblicato su Internet le istruzioni per insegnare ad Aibo, il cagnolino-robot della Sony, a ballare il jazz (il sito è www.aibopet.com). Ora: nella vita civile di un paese libero e democratico, non è vietato ballare e non è vietato il jazz. Eppure, grazie alle nuove leggi restrittive passate dagli Usa, che - ricordiamolo! - furono fondati da pirati che cercavano la libertà, il ragazzo è stato diffidato dalla Sony per pirateria.

Ha senso vietare di modificare una tecnologia di per sé, anche se non si danneggia nessuno? Ha senso che qualsiasi utilizzo di «proprietà intellettuale» sia illegale, che sia sempre necessario chiedere il permesso? La società libera è basata sull'idea esattamente opposta: che tutto è permesso, tranne ciò che è proibito. Il pubblico dominio è un patrimonio comune da difendere e il bene pubblico dovrebbe essere una risorsa a disposizione di tutti, purchè nessuno la consumi privandone gli altri.

Certo, il valore del «copyright» è cambiato con l'arrivo del Web. Nell’era digitale, autori ed editori vogliono difendersi da un incubo: che il numero delle copie delle loro opere vendute o cedute sotto licenza su Internet sia uno. Il loro problema è economico, di modello di business che viene messo in discussione con le nuove tecnologie. La guerra scatenata dalle nuove leggi restrittive, d’altro canto, sta diventando l’incubo degli utenti-consumatori: che il tentativo di preservare il mercato conduca a protezioni tecniche e legali tali da ridurre drammaticamente l’accesso al patrimonio intellettuale e culturale della società. Altro che beni pubblici: qui è in atto la privatizzazione delle idee.

«Ci deve essere nella nostra vita culturale una zona libera dai cavilli legali che, alla fine, riempiono solo le tasche degli avvocati» sostiene Lessig, che è - peraltro - un avvocato (opera con la Electronic Frontiers Foundation, eff.org, che difende i diritti degli utenti elettronici). L’ultima sua causa, quella del caso noto come «Eldred vs. Hashcroft», in cui difendeva il programmatore Eric Eldred contro la Walt Disney, l’ha persa. «Abbiamo perso perché la Corte ha giudicato non a favore dei princìpi costituzionali, ma a favore di chi aveva più soldi» accusa. McCarthy non ha mai avuto i finanziamenti che hanno i difensori della proprietà intellettuale, sottolinea Lessig: per questo è difficile battere il nuovo maccartismo americano.

L’ultima estensione della legge americana sul copyright, nota con il nome di Sonny Bono Copyright Extension Act o con il nomignolo di Mickey Mouse Law, è stata approvata da Clinton per estendere il copyright a Topolino che stava per diventare di dominio pubblico come lo sono le opere di Shakespeare. Secondo Eldred, il Sonny Bono Act viola i diritti sanciti dalla Costituzione Usa nell’articolo 1 della sezione 8, in cui si dice che i diritti d’autore vanno tutelati per un «periodo limitato» per garantire il progresso dell’arte e dalla scienza. Il nodo è il «periodo limitato»: se il Congresso continua a rinnovare periodicamente l’estensione dei termini temporali dei diritti del copyright il periodo non è più «limitato», ma tende a divenire di fatto «illimitato».

I teorici del capitalismo sanno che George Eastmann Kodak fece fortuna con le fotografie perché visse in un’era in cui la circolazione delle immagini era libera: perché nel 1888 non c'erano leggi che imponevano la necessità di chiedere il permesso di pubblicazione o ri-pubblicazione, rischiando altrimenti di essere tacciati per pirati/ladri. Oggi invece con il Digital Millennium Copyright Act (Dmca), firmato dal democratico Clinton «per compiacere la lobby di Hollywood» sottolinea Lessig, la protezione è automatica e garantita per legge su qualsiasi produzione creativa: al di fuori dell’uso lecito, il cosiddetto «fair use», tutte le copie di qualsiasi creazione sono illegali.

Come uscirne? Lessig è convinto che l’Europa, dove il movimento Open Source (che non è contro il copyright, tutt'altro: è il copyright che rende possibile a programmi come Linux di restare aperti, e non è gratis, anzi: la Ibm guadagna con i software Open Source) per la libera diffusione della conoscenza è più politicizzato che negli Usa e c’è più speranza di riuscire nella battaglia contro multinazionali proprietarie come la Microsoft, possa avere un ruolo di stimolo per far tornare gli Usa sulla strada equilibrata della ragionevolezza. Ma le nuove leggi sul tavolo a Bruxelles per la brevettabilità del software non alimentano queste speranze. La battaglia è appena cominciata.
Intanto, c’è già un sistema globale di copyright più semplice, che elimina gli intermediari e mette in contatto l'utente con l'autore/creatore: si chiama Creative Commons (www.creativecommons.org), punta alla collaborazione, al permesso d'uso. Al «valore delle idee».

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