E' l'ora del trionfo, Pinguino
Ieri, nel mondo, è stato celebrato il «Linux day». Stati e big companies adottano l'open source, facendo un dispetto a Bill Gates
30 novembre 2003
Franco Carlini
Fonte: Il Manifesto - 30 Novembre 2003
Ancora pochi giorni e sarà disponibile la nuova versione
di Linux, il software del pinguino, indicata con il numero 2.6. Offre prestazioni
più ricche e in particolare permetterà di usare questo sistema operativo
anche in computer organizzati a grappoli (cluster) di processori: 4, 8, anche
32. La svolta è importante perché proietta il pinguino verso le grandi
macchine e anche questa è una piccola grande meraviglia se si pensa che quando
il finlandese Linus Torvalds si mise a lavorare alla prima versione di questo
sistema, esso venne progettato solo per i personal computer tipo Ibm Pc-At; era
il 1991. Da allora questo software è stato adottato da 18 milioni di persone;
che possono sembrare poche se confrontate con i grandi numeri di Microsoft, ma
sono tantissime se si pensa che il tutto è avvenuto senza marketing e «dal
basso».
Almeno fino all'arrivo dell'altro grande gigante dell'informatica, Ibm, che ha abbracciato Linux come un'arma poderosa contro Bill Gates, spingendolo, adottandolo e commercializzando. Insomma un grande successo che, come era inevitabile, ha generato anche diversi miti e distorsioni.
Uno di questi l'abbiamo letto nei giorni scorsi sulle pagine di Repubblica Affari e Finanza, dove si è sostenuto che Linux è «una rivoluzione dall'alto». L'affermazione è sbagliata due volte, intanto perché Linux è certo un forte scossone, ma chiamarlo rivoluzione sembra eccessivo davvero. Quanto al fatto che sia guidata dall'alto, ci si riferiva al fatto che molti governi del mondo lo stanno adottando entusiasticamente: al solito Brasile si sono aggiunti più di recente, per esempio, pezzi dell'amministrazione tedesca e ora anche del governo israeliano. Anche in Italia il ministro dell'innovazione Lucio Stanca ha aperto più che uno spiraglio al software a sorgente aperta nella pubblica amministrazione.
C'è comunque una domanda da porsi: perché Linux esplode solo dopo 10 anni? Che cosa è successo? Le cause sono diverse e certamente al primo posto va messa la validità tecnica del sistema. Un secondo fattore di potenziamento è venuto dall'esistenza dell'Internet: senza gli scambi collaborativi in rete i programmatori sparsi che hanno realizzato le diverse versioni di Linux non avrebbero nemmeno potuto entrare in contatto tra di loro e poi l'Internet stessa è stato un eccezionale canale di distribuzione della «nuova cosa». A rendere popolari i software Open Source c'è anche il fatto che a questa categoria appartengono i principali programmi con cui la rete viene gestita: Apache per i server, Sendmail per la posta, Perl come agile linguaggio di programmazione.
Ma c'è anche un altro fattore che ha giocato a favore di Linux in questa fase ed è la (relativa) difficoltà in cui si è venuta a trovare la Microsoft. Il semplice fatto di essere messa sotto accusa per abuso di monopolio, negli Stati Uniti e in Europa, ha tolto il tappo alla concorrenza. Contemporaneamente la gestione aggressiva di quelle cause legali da parte di Bill Gates ha trasformato la sua immagine da quella di un innovatore geniale a quell'altra di un monopolista arrogante.
Se oggi Linux è così popolare tra i giovani, nei licei e nelle università, è anche per questo.
Dopo di che Microsoft, che i conti economici li sa fare, ha capito che doveva almeno correggere rotta e lo sta facendo: se prima Linux veniva insieme snobbato e aggredito come un «cancro», ora viene considerato un serio concorrente con cui cimentarsi sul mercato. I costi di certi software Microsoft sono stati abbassati e agli sviluppatori, ma anche ai governi, viene offerta la possibilità di vedere come sono «fatti dentro» i programmi della famiglia Windows e Office, di modo che possano più agevolmente adattarli alle loro esigenze. Ma più di tanto Bill Gates non può fare né cambiare, anche se lo volesse, perché l'intero modello dell'industria del software, dagli anni `80 a oggi, è stato costruito con grande successo sul presupposto assoluto che il software è «proprietario»: appartiene a chi lo ha realizzato, ed è chiuso. Al massimo lo si può usare in licenza, senza modificarlo, senza poter sapere come funziona e senza poterlo copiare e distribuire. Questo non è un dogma ideologico, anche se talora si è vestito di ideologia, ma è un vincolo pratico ineliminabile di quel modello.
E' per questo che la competizione è impari e comunque si svolge su piani diversi: nessuna azienda che operi nel mercato del software aperto potrà mai mettere insieme i fatturati della Microsoft, perché le regole del gioco sono diverse e quei programmi per loro definizione sono «bene comune» liberamente conoscibile e fruibile.
In pratica occorre rinunciare a diventare miliardari in dollari, la qual cosa sembra un paradosso per un'economia globale guidata dall'ossessione della profittabilità a alto margine. Eppure - qui sta l'incredibile - una fetta consistente del mondo dell'informatica e delle telecomunicazioni, oggi opera con quei software, un tempo disprezzati come amatoriali.
Almeno fino all'arrivo dell'altro grande gigante dell'informatica, Ibm, che ha abbracciato Linux come un'arma poderosa contro Bill Gates, spingendolo, adottandolo e commercializzando. Insomma un grande successo che, come era inevitabile, ha generato anche diversi miti e distorsioni.
Uno di questi l'abbiamo letto nei giorni scorsi sulle pagine di Repubblica Affari e Finanza, dove si è sostenuto che Linux è «una rivoluzione dall'alto». L'affermazione è sbagliata due volte, intanto perché Linux è certo un forte scossone, ma chiamarlo rivoluzione sembra eccessivo davvero. Quanto al fatto che sia guidata dall'alto, ci si riferiva al fatto che molti governi del mondo lo stanno adottando entusiasticamente: al solito Brasile si sono aggiunti più di recente, per esempio, pezzi dell'amministrazione tedesca e ora anche del governo israeliano. Anche in Italia il ministro dell'innovazione Lucio Stanca ha aperto più che uno spiraglio al software a sorgente aperta nella pubblica amministrazione.
C'è comunque una domanda da porsi: perché Linux esplode solo dopo 10 anni? Che cosa è successo? Le cause sono diverse e certamente al primo posto va messa la validità tecnica del sistema. Un secondo fattore di potenziamento è venuto dall'esistenza dell'Internet: senza gli scambi collaborativi in rete i programmatori sparsi che hanno realizzato le diverse versioni di Linux non avrebbero nemmeno potuto entrare in contatto tra di loro e poi l'Internet stessa è stato un eccezionale canale di distribuzione della «nuova cosa». A rendere popolari i software Open Source c'è anche il fatto che a questa categoria appartengono i principali programmi con cui la rete viene gestita: Apache per i server, Sendmail per la posta, Perl come agile linguaggio di programmazione.
Ma c'è anche un altro fattore che ha giocato a favore di Linux in questa fase ed è la (relativa) difficoltà in cui si è venuta a trovare la Microsoft. Il semplice fatto di essere messa sotto accusa per abuso di monopolio, negli Stati Uniti e in Europa, ha tolto il tappo alla concorrenza. Contemporaneamente la gestione aggressiva di quelle cause legali da parte di Bill Gates ha trasformato la sua immagine da quella di un innovatore geniale a quell'altra di un monopolista arrogante.
Se oggi Linux è così popolare tra i giovani, nei licei e nelle università, è anche per questo.
Dopo di che Microsoft, che i conti economici li sa fare, ha capito che doveva almeno correggere rotta e lo sta facendo: se prima Linux veniva insieme snobbato e aggredito come un «cancro», ora viene considerato un serio concorrente con cui cimentarsi sul mercato. I costi di certi software Microsoft sono stati abbassati e agli sviluppatori, ma anche ai governi, viene offerta la possibilità di vedere come sono «fatti dentro» i programmi della famiglia Windows e Office, di modo che possano più agevolmente adattarli alle loro esigenze. Ma più di tanto Bill Gates non può fare né cambiare, anche se lo volesse, perché l'intero modello dell'industria del software, dagli anni `80 a oggi, è stato costruito con grande successo sul presupposto assoluto che il software è «proprietario»: appartiene a chi lo ha realizzato, ed è chiuso. Al massimo lo si può usare in licenza, senza modificarlo, senza poter sapere come funziona e senza poterlo copiare e distribuire. Questo non è un dogma ideologico, anche se talora si è vestito di ideologia, ma è un vincolo pratico ineliminabile di quel modello.
E' per questo che la competizione è impari e comunque si svolge su piani diversi: nessuna azienda che operi nel mercato del software aperto potrà mai mettere insieme i fatturati della Microsoft, perché le regole del gioco sono diverse e quei programmi per loro definizione sono «bene comune» liberamente conoscibile e fruibile.
In pratica occorre rinunciare a diventare miliardari in dollari, la qual cosa sembra un paradosso per un'economia globale guidata dall'ossessione della profittabilità a alto margine. Eppure - qui sta l'incredibile - una fetta consistente del mondo dell'informatica e delle telecomunicazioni, oggi opera con quei software, un tempo disprezzati come amatoriali.
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