Google, dove sono i miei dati?
Google Apps e' la suite di prodotti online che offre posta elettronica, calendario, chat e gestione di documenti online.
Non occorre pagare una licenza costosa e il pacchetto di base, gratuito, offre tutto quello di cui si puo' aver bisogno, con spazio in abbondanza (piu' di 6 GB). Non c'e' bisogno di un computer potente, basta un browser e una connessione internet, volendo anche un cellulare.
Con i dati su Google Apps, vi si puo' accedere e lavorare da qualsiasi postazione, e condividere i documenti con amici o colleghi per lavorarci in maniera partecipativa e distribuita.
Un'offerta molto vantaggiosa e interessante, non solo per i privati ma anche per scuole, gruppi, associazioni e aziende, che possono cosi' abbattere i costi di gestione di un'infrastruttura dedicata.
C'e' pero' un inghippo. Dove sono memorizzati questi dati?
"Tutto è ospitato sui server di Google", dichiara l'homepage di Google Apps, con l'intento di farci dormire sonni tranquilli: i server di Google sono probabilmente piu' affidabili del nostro PC e quindi i nostri dati sono al sicuro.
Ma sono anche al sicuro da occhi indiscreti?
Il Patriot Act e' entrato in vigore il 26 ottobre 2001, con la firma di George W. Bush, nelle settimane successive all'attentato alle Torri Gemelle.
Senza entrare nel merito degli immensi poteri che questa legge fornisce agli investigatori dell'antiterrorismo, dovrebbe comunque essere applicabile solo a chi vive o transita per gli Stati Uniti.
Il problema e' che questa normativa riguarda anche l'infrastruttura tecnologica presente sul territorio degli Stati Uniti, e le aziende che li' operano.
Dove sono i server di Google?
Provando a leggere i Termini di servizio, si trova un cenno al fatto che "I dati personali raccolti da Google possono essere archiviati ed elaborati negli Stati Uniti d'America o in qualsiasi altro Paese in cui Google è presente attraverso proprie strutture o propri agenti.".
Non solo, "Un Cliente residente in un Paese al di fuori degli Stati Uniti accetta inoltre di rispettare tutte le normative locali in materia di condotta online e contenuti accettabili, incluse le leggi che disciplinano l'esportazione e la riesportazione di dati verso o dagli Stati Uniti e il Paese in questione."
Quindi i nostri dati e messaggi, diligentemente memorizzati nei server di Google, vengono filtrati e analizzati secondo le leggi statunitensi, Patriot Act incluso, senza ovviamente l'obbligo di informarci a riguardo.
Per completezza, e' importante aggiungere che Google non e' la sola azienda statunitense ad offrire questi servizi online. Ad esempio, c'e' anche Microsoft Live@Edu, con termini di servizio equivalenti a quelli di Google.
Perche' preoccuparsi? In fondo non abbiamo niente da nascondere. Occorre pero' tenere in considerazione che questi filtri sono anch'essi software, con difetti e interpretazioni parziali, ispirati dalla parzialita' di chi ne ha definito i requisiti (segreti, of course) e comunque inadeguati di fronte al compito di comprendere veramente il contenuto dei nostri documenti. E quando il danno e' fatto, con la "marchiatura" di sospetto per via di chissa' quale algoritmo, puo' essere troppo tardi per tornare indietro.
Di fronte all'affermarsi di questi servizi online, e' comprensibile quindi che cresca la preoccupazione sul trattamento dei dati non solo da parte dei loro fornitori, ma anche da parte degli enti governativi che ne hanno accesso.
Chi controlla infatti i controllori? Tanto piu' in un sistema, come quello della "sicurezza" moderna, sempre piu' privatizzato e col rischio quindi di rispondere piu' a logiche di profitto che alle reali ragioni che lo impongono.
Siamo di fronte a un problema che investe non solo la privacy individuale, ma anche ambiti come quello della competizione industriale e della liberta' accademica.
Un caso recente e' l'Universita' di Lakehead, in Canada, che da un anno ha trasferito la gestione della posta elettronica a Gmail per tutti i suoi 38.000 utenti, risparmiando circa 250.000 dollari nei costi di gestione annuali.
L'applicazione di posta elettronica offerta da Google ha permesso all'Universita' di mantenere il proprio stile grafico e il proprio nome di dominio, e di offire ai propri utenti un account Gmail senza pubblicita'.
Il sindacato della facolta' ha pero' denunciato che il nuovo sistema di posta elettronica, basato su Gmail e quindi monitorato da enti governativi statunitensi, lede la privacy e la liberta' accademica del personale canadese dell'Universita'. Ora sono stati avviati passi formali, con un arbitrato esterno che dovrebbe pronunciarsi sulla controversia nei prossimi mesi.
L'esempio canadese potrebbe essere seguito da altre universita', creando non pochi problemi a Google, Microsoft e altre compagnie statunitensi che puntano decisamente al mercato accademico, con offerte molto allettanti, allo scopo di fidelizzare i professionisti del futuro.
Dalle nostre parti il processo di outsourcing in ambito accademico e' appena cominciato: Google non pubblica informazioni sui propri clienti, Microsoft invece mette in risalto il caso dell'Universita' della Calabria. E' prevedibile che altri seguiranno, vista la convenienza economica dell'offerta.
Resta comunque desolante vedere che proprio in ambito universitario si deleghi la soluzione delle proprie necessita' tecnologiche in base a criteri prevalentemente commerciali, cercando di limitare i costi di gestione nel breve termine, invece che sviluppare soluzioni ad-hoc con software libero che rappresenterebbero un'esperienza formativa importante per i propri studenti, oltre a garantire sicurezza e indipendenza da aziende esterne.
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