Il mondo diviso da un computer
A Natale la bontà è contagiosa come l’influenza, ma passate le feste i barboni ridiventeranno tappezzerie nella notte dei marciapiedi. E l’adozione di un bambino a distanza - mosche sugli occhi, pance gonfie, case di cartone nell’interminabile favela dall'Argentina al Bangladesh - si chiuderà nei pensieri dei vagabondi della solidarietà. Non sarà facile ricordarsi delle anime morte africane: milioni di piccoli stremati dall’Aids senza un dollaro per la pillola della speranza. A proposito, in Iraq cosa succede?
Ottanta per cento delle scuole sbriciolate dalle bombe, oppure occupate da chi ha perso casa. E la strada torna ad essere la maestra infame che insegna agli iracheni di domani come sopravvivere alla guerra. Sciuscià di Napoli, bambole nei postriboli del Vietnam, profughe albanesi e ragazzi trasformati in serial killer dal Burundi alla Cecenia. I fabbricanti di armi possono esserne orgogliosi. Malgrado luci e regali sparsi nell’allegria dei Tg, anche per i nostri giovani il futuro non sembra allegro.
Uno su quattro sta per diventare povero mentre i pensionati invecchiano con un assegno ogni mese più leggero. È solo il flash dei giorni che attraversiamo, il peggio deve ancora venire oltre i confini che ci assediano con le loro angosce.
Nel mondo che si annuncia la muraglia di Sharon avrà l’aria di un reperto cinese: saremo divisi, ma davvero, da un computer. Sembra un’inezia se il miliardo e mezzo di affamati riuscisse almeno a mangiare, ma non è così. Mangiare non basta. Capire e parlare con gli altri segna la differenza tra le società civili e chi sprofonda nel medioevo dei mugugni e delle rabbie con poche parole e la violenza alla quale si aggrappa nell’illusione dell’andare avanti con le scorciatoie. Nessun dialogo: terrorismo contro superbombardieri.
Abbiamo scavalcato il secolo con un miliardo e qualche milione di analfabeti, tre quarti donne. Altri 700 milioni tremano con la penna in mano.
Nella definizione delle Nazioni Unite, «analfabeta» è chi non frequenta la scuola almeno tre anni e non sa leggere, né firmare. Una croce basta. L’Italia era uscita dal fascismo con due milioni di analfabeti. Altri nove milioni compitavano appena il nome. Le persone che guardavano un giornale senza sillabarne le parole sono quasi sparite, ma il semianalfabetismo gonfiato dall’inerzia televisiva rivela consistenze sorprendenti. Censimento 1999: fra i 4 milioni di abitanti del Piemonte, 611mila balbettavano male; 280mila in Campania; 14.800 in Val d’Aosta. Eppure l’Onu promette che nel 2005 buona parte di loro saprà scrivere e sillabare davanti a un foglio, e il silenzio profondo che divide due miliardi di diseredati dalle informazioni del nostro benessere, risulterà quasi dimezzato. Ma le previsioni misurano vecchie tabelle e prime necessità di un universo ormai lontano. Se povertà voleva dire non saper sfogliare i libri, quindi disperdere la memoria e non programmare la vita, l’avvilimento della nuova povertà è l’aver perso l'appuntamento con la comunicazione elettronica. Dopo secoli «loro» cominciano a riempire quaderni (finalmente ) mentre i quaderni diventano reperti di una comunicazione che si allontana. Computer cannibali li stanno mangiando. Come arrivare in stazione quando il treno è partito. L’inseguimento può continuare ma a velocità disuguali. Fra un po’ «loro» spariranno ai nostri occhi per affondare nelle prediche di ogni fondamentalismo. Stiamo coscientemente fabbricando le così dette forze del male e le tempestiamo con bombe intelligenti anziché distribuire quei computer che aprono rapide prospettive al dialogo.
Misurando il costo giornaliero della guerra preventiva contro l’Iraq sui soldi che Bush ha speso e sta spendendo per «imporre la democrazia» (finora 500 miliardi di dollari senza tener conto dei contributi di Spagna, Italia, Giappone, eccetera), si scopre che per dar da mangiare un anno intero al mondo che non mangia, basterebbero due giorni di pace. Ne servono nove se l’impegno diventa un numero ragionevole di computer in modo da collegare masse sbandate a idee, scoperte, proposte solidali che le anime attente disperdono nei media. Per il momento non sappiamo nulla dei loro pensieri e delle loro speranze. Sappiamo quanti morti, prigionieri, attentati. E loro continuano a non saper niente di noi. Solo perquisizioni, check point, sospetti o prigioni alla Guantanamo. È l’inizio della catastrofe annunciata. A meno che la prevenzione armata dei falchi si liberi della violenza tecnologica per affidarsi alla comunicazione elettronica da distribuire a tutti. Ma il computer è l’ultimo anello della civiltà indispensabile alla promozione della democrazia. Facile capire che chi muore di stenti non potrà mai comprarne uno. Chi non accende una lampada o non apre un rubinetto non sa cosa farsene. Vivere a cento chilometri da ospedali fatiscenti non garantisce la salute e non stimola la convivenza. Isole feroci. Non sanno nemmeno cosa chiedere se non la sopravvivenza.
Se ne è parlato a Ginevra in una conferenza disattesa da noi, Paesi del nord. Cinquanta capi di governo, in maggioranza neri o marron arrivati da lontano: solo il francese Raffarin rappresentava una certa Europa con qualche parola di circostanza. Nessun ministro Usa, giapponese, spagnolo o del Canada. L’Italia ha mandato comparse non abilitate a decidere e proporre. Conclusione amara: la terza rivoluzione industriale, e l’evoluzione del sapere e della conoscenza, stanno per isolare tre quarti dell'umanità. La Banca Mondiale lancia l’allarme: ogni anno il gap digitale si allarga in modo spaventoso incrementando differenze abissali nella Comunicazione. L'anno scorso - non vent’anni fa - in Eritrea mille persone potevano disporre di mezzo televisore. 64 in Costa d’Avorio, 469 nella Repubblica Ceca, 805 negli Stati Uniti. Ma se la Tv, così come è concepita nei posti in via di sviluppo (ma anche in Italia) serve, soprattutto, a nutrire gli egoismi del potere; internet, strumento di dialogo, svanisce in numeri ancora minori. Un computer ogni mille abitanti in Burkina Faso, 27 nel Sudafrica civile, 38 in quel Cile che la leggenda dei Chicago’s Boys declama Paese d’avanguardia dopo la cura Pinochet. 172 a Singapore, 348 in Svizzera. Il 91 per cento di chi scrive e si informa elettronicamente, vive nelle regioni industrializzate che ospitano il 19 per cento della popolazione mondiale. Il continente africano (13 per cento di abitanti del pianeta) resta fermo all'1 per cento, mentre Europa e Nord America vedono all’opera un navigatore su sei. È solo la ricerca di un anno fa. Previsioni nere per il bilancio 2003 e la dichiarazione formale degli esperti precipita nel pessimismo: ogni anno le differenze quasi raddoppiano. Ecco il futuro che stiamo disegnando con beata indifferenza.
Non è una consolazione, ma le tecnologie non fanno preferenze. O si impara o si è fuori. Un Sud affranto si mescola al Nord che deve dimagrire perché nel computer le latitudini contano teoricamente meno, anche se è facile capire che chi muore di fame viene escluso da internet. Eppure due o tre generazioni del mondo obeso sembrano destinate all’esilio. Un numero ridotto di loro raggiungerà il paradiso on line dopo studi massacranti e viaggi in regioni sconosciute. Non essere nati col computer come i ragazzi che lo succhiano assieme al biberon fa scoprire ad ogni bianco, magari barca e casa al mare, l’orrore emarginante dell’extracomunitario: fuori dalla comunità degli schermi dove volano i pensieri. Chi ha più di 40 anni naviga nella terra di confine. Chi più di 50 è in pericolo: solo la volontà testarda può salvarlo. Sopra i 60, servono miracoli. Metà dei nostri parlamentari hanno rinunciato ad invocare il cielo. Non sanno accendere un tasto, ecco spiegata la lentezza di certe combriccole Montecitorio - Palazzo Madama, sempre in ritardo nel decifrare la realtà aspettando i riassunti dei portaborse. Se gli esclusi, quelli veri, covano rabbie, i privilegiati pigri invecchiano come merli isolati sulle piante. Continuano a fischiare, ma i nuovi hanno fretta e non riescono a sentirli.
(da L’Unità - 22 dicembre 2003)
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