Virtuale: ciò che non è attuale, potenza e forza sospesi nelle infinite possibilità della loro realizzazione.

L'Utopia e la Rete

Ignazio Licata*
5 febbraio 2004

Aristotele, e poi i filosofi della Scolastica, come San Tommaso D’Aquino, avevano ben chiaro il senso preciso di un concetto che oggi si tende a tradurre come realtà "fittizia", parallela, se non alternativa, al mondo "concreto". Il termine "virtuale" ha subito nell’uso comune una parabola semantica discendente, analoga a quella accaduta alla nozione di "amore platonico", che è passato dall’iniziale ricchezza filosofica ad indicare il desiderio senza "consumazione" sessuale. Qualcosa, insomma, che poco o nulla ha a che fare con la capacità di mostrare ed attuare le nostre intenzioni nel tessuto dei rapporti di forza individuali e sociali. Se questo accade, naturalmente, è possibile perché corrisponde al modo di proporre ed usare la Rete che oggi si vorrebbe dominante. Usiamo dunque l’etimologia come strumento per ridefinire e riaprire la questione delle possibilità "politiche" della Rete. Il polo dialettico del virtualis non è la realtà materiale, ma l’attuazione materiale dell’imminente e del possibile a partire dalla dimensione estrema dell’esplorazione concettuale dei modelli e degli schemi del gioco.
Il virtuale emerge dalle strutture di energia- materia dello spazio- tempo, l’hardware del mondo, non per costituirne un simulacro alternativo , ma per dare voce e vita moltiplicata ed interattiva al pensiero del mondo.
Il processo di virtualizzazione ha accompagnato ogni passo significativo dell’umanità. Il linguaggio, la cultura, la tecnologia ed i rapporti sociali sono tutti esempi di entità virtuali. Ad esempio, quando un rapporto sociale è codificato in qualche modo, esso funziona da norma astratta , da regolatore di tutte quelle circostanze in cui è
necessario disporre di una formula definita da "implementare" in una situazione concreta.Il linguaggio è una risorsa collettiva a cui tutti possiamo attingere per comunicare e che, allo stesso tempo, definisce la nostra "sostanza" sociale.Un libro è una narrazione in grado implementarsi continuamente. Anche un manufatto "materiale" ha una componente di "virtualità". L’atto del dissetarsi o del bere è virtualmente fissato nella forma di un bicchiere, ad esempio. Possiamo dunque definire il processo di virtualizzazione come quel processo che
sottrae all’ "ora" ed all’ "adesso" un evento per renderlo disponibile ad ogni "ora" ed ogni "adesso" possibile: possibilità permanente.

La Rete oggi è il più potente strumento di virtualizzazione che l’umanità abbia mai conosciuto.

Il Cyberspazio permette una condivisione dell’informazione decentrata con tempi di trasferimento trascurabili, praticamente vicini allo zero dal punto di vista dell’utente. Se immaginiamo una topologia dello spazio delle comunicazioni, la Rete realizza qualcosa di differente dagli altri media, perché la sua natura tecnologica tende a modellarsi in relazione alla propria vocazione di area attivamente condivisa. Pur con tutti i suoi problemi irrisolti, l’Open Source ed il peer-to-peer di Richard Stallman e Linus Torwald fanno parte della fisionomia genetica della Rete. La televisione, ad esempio, è un attrattore a punto-fisso che chiama gli utenti, passivamente, ad un’ interfaccia cognitiva unica, che al limite può offrire soltanto la possibilità del rifiuto. Essa è ancora l’espressione di una forma centralizzata dell’autorità e dell’autorevolezza, che si diffonde verso i recettori, per il resto frammentati ed isolati. Non è un caso se i "salotti dalla politica" sono televisivi per natura ed hanno un pessimo rapporto con Internet. La Rete esprime invece la tendenza ad un sistema complesso di auto-organizzazione dinamica centrata su nuove possibilità di relazioni partecipatorie tra gli utenti.
Questa Mente Globale lavora incessantemente e vive una propria vita grazie all’attività interattiva dei milioni di neuroni-utenti che la costituiscono. L’Essere Collettivo che così viene ad esistere, "vive", "ricorda", "pensa", "immagina" e "sogna", mostra "comportamenti" e "tendenze",esprime allo stesso tempo le regole,i codici e la loro violazione, intelligenza e banalità. E’ mercato ed agorà assieme. Non esistono "cinture di sicurezza" che non siano quelle dell’interesse, dell’affinità e dell’accesso. Il modello centralizzato è superato da una decentralizzazione dinamica, dunque non-frammentaria, non identificabile con "particelle" dal ruolo predefinito nel gioco dei flussi informativi. Il punto essenziale qui è comprendere che il modello mediatico centralizzato è un modello ad alta prevedibilità asintotica: l’informazione viene creata alla sorgente per passare ad un livello massimo di distribuzione, dove alla fine si logora e si degrada.La Rete è un sistema amplificatore di lnformazioni, dove il "messaggio" si modifica e si accresce ad ogni passaggio, ritorna continuamente in circolo arricchito di connessioni che rappresentano tanti modi di intenderlo e svilupparlo.E’ possibile un effetto farfalla: l’informazione può esplodere esponenzialmente in un modo incontrollato e sconosciuto agli altri media. Questo fatto è connesso direttamente alla possibilità di mettere in gioco più interfacce cognitive contemporaneamente, portando dentro la Rete la pluralità di connotazioni culturali, estetiche ed emotive che prima erano proprie soltanto della contiguità "reale" tra le persone, e quello che può andare perduto in termini di comunicazione biologica diretta, può essere ritrovato come capacità di liberazione dal proprio ruolo sociale immediato. Il Cyberspazio non è popolato da persone unidimensionalmente "reali", confinate nello spazio-tempo che fu già di Newton e di Einstein, ma è piuttosto attraversato da nuvole cangianti di significati viventi. Come un astronauta, un guerriero o un clown, il cybernauta deve indossare un abito-maschera per le alte virtualità, il suo avatar, (nota mia: la rappresentazione virtuale della fisicita' umana, un pupazzo marionetta, per intenderci, mosso e animato dall'utente) la sua proiezione nel regno del possibile. Si tratta di creature pluridimensionali, polimorfe, asessuate ed eroticamente pervasive, capaci di ripensare e moltiplicare la loro comunicazione sociale e sessuale in una
molteplicità di ruoli che ribalta ogni categoria tradizionale in uno spazio senza luoghi ed in un tempo senza limiti. E proprio come l’identità personale, anche il concetto di "privato" è destinato a subire in Rete delle profonde modificazioni ed un’erosione dei significati tradizionali.

Alan Turing aveva definito il suo modello di computazione universale, la Macchina di Turing, come automa polivalente su un nastro infinito di memoria. Spazio e tempo infiniti, eterni, non-viventi dunque.
Possibilità seducente ed estrema, dunque pericolo : assenza di confini, di attriti, esasperazione puramente mentale di ogni sensazione, assenza di dolore concreto e diretto. Il problema dell’incorporeità del cybernauta è anche il suo pericolo maggiore durante la navigazione. Il filosofo Robert Nozick ha ipotizzato la "macchina dei desideri", che può aiutarci a capire questo punto. Immaginiamo di poter entrare in una macchina che crea la realtà come noi la vorremmo. Come potremmo capire che questa "realtà" non è la Realtà? Semplice, risponde Nozick: l’assenza di ogni tipo di "attrito" o "resistenza" nelle situazioni, negli interlocutori, nei fatti. Mancherebbe non soltanto la contraddizione, ma persino la sfortuna, le malheur, il segno tangibile che ogni nostro piano deve fare i conti con i piani degli altri, ed il loro intersecarsi in un mondo complesso.
La Rete è sospesa oggi tra due scenari in equilibrio instabile: da una parte la vitalità della risorsa collettiva, la virtualità "virtuosa", la condivisione e lo sviluppo delle conoscenze e dei progetti; dall’altra il "congelamento" della virtualità come vita "artificiale", parallela, alternativa ed in sé conclusa, la virtualità senza vitalità della macchina dei desideri. Il futuro politico della Rete si decide proprio in rapporto al prevalere o meno di una di queste due possibilità. O comunque dalla misura in cui almeno una di esse riuscirà a restare una pratica possibile. L’identità di un individuo, la sua possibilità di realizzarsi come persona, dipende interamente dalle risorse sociali da cui traiamo non soltanto nutrimento fisico ma soprattutto culturale. Dobbiamo chiederci allora quale significato dare alla dimensione "altra" e "parallela" del virtuale, ben sapendo che questo processo non può avere più regole di quanto non ne tolleri l’attività immaginativa stessa, ma consapevoli che bisognerebbe almeno tentare la coniugazione disperata dell’immaginazione con il progetto, e di questo con la realtà. Il Cyberspazio si pone in modo naturale con le caratteristiche dell’ Utopia, il non-luogo da cui osservare criticamente il mondo, parlarne per metafore e modelli nella fiducia essenziale della nostra capacità di volerlo cambiare. Ma tutte le utopie fino ad oggi concepite, dalla Repubblica di Platone alla Città del Sole di Campanella, dall’isola omonima di T. More alla Nuova Atlantide di F. Bacon, fino ai progetti del socialismo "utopistico" dei primi dell’800, contengono un rischio che potremmo definire strutturale: quello di cristallizzare la visione critica ed il progetto in sogno, fuga o prigione ideologica. E’ accaduto così che le geniali intuizioni romantiche sulla "modernità" di Blake e di Shelley, ricche di intenzionalità di cambiamento sociale, si trasformassero nei compiacimenti egocentrici del dandismo; è accaduto che progetti per nuovi modi di pensare il mondo si tramutassero in gomitoli di filo spinato. La Parola del Libro si fissava in un Progetto, mediato da esegeti e catalizzato da realizzatori. Il risultato finale veniva poi confrontato con il modello originario. Era sempre possibile un’interpretazione a posteriori in grado di garantire la concordanza tra modello ed implementazione. Lo schema hegeliano-marxista dell’utopia presuppone infatti la "scientificità" del modello, stabilita una volta per tutte attraverso un’epistemologia massimalista e totalitaria che definisce i problemi e suggerisce le soluzioni con uno schema fisso e lineare. In questo modo la conoscenza appare come una produzione a-storica ed univoca, ed i modelli del mondo come immagini perfette, scientifiche ed impossibili di un mondo ineluttabilmente "imperfetto". Nel pensiero moderno l’utopia ha conosciuto una nuova e più fertile accezione, legata all’eredità di J.J.Rosseau e di I.Kant, e sviluppata, tra gli altri, dalla dialettica negativa di T.Adorno, e dal "principio speranza" di E. Bloch. Secondo questa concezione, la forza dell’utopia non consiste nella sua "scientificità" ideale, ma piuttosto nella capacità di suggerire contrasti ed assenze, desideri e bisogni, stimolando l’attitudine critica e proponendo continuamente la necessità di nuovi criteri di lettura del reale, secondo un’epistemologia della complessità in grado di costruire proposte intorno alla natura specifica del problema, utilizzando in modo disinvolto una pluralità dinamica di modelli e prospettive. L’utopia non è dunque qualcosa di definito una volta per tutte, ma piuttosto un’attitudine del pensiero. La grande opportunità della Rete consiste proprio in questa sua capacità di essere strumento permanente di elaborazione utopica collettiva e condivisa, in grado di rispondere in modo mirato ad un problema in tempo "reale", che è poi l’unico tempo possibile per la libertà e per la pace.
L’attuale colonizzazione del Cyberspazio procede però a grandi passi in direzione esattamente opposta, verso la realizzazione dell’Impero Perfetto e Globale, un sistema dove chi regola i parametri promette come bene supremo il soddisfacimento virtuale dei bisogni immateriali dell’espansione non della coscienza ma dell’Ego infinito dell’utente-consumatore. Fatevi il vostro mondo parallelo, e dimenticate il reale, sostituitelo con una realtà indolore e senza limiti. Nessuno si accorgerà di niente, non ci sono effetti collaterali. In questo modo l’utopia si trasforma nella più pura e raffinata droga mentale, la droga totale invano cercata nei laboratori di chimica criminale. Paradisi artificiali digitali come simulazioni della macchina dei desideri.In questo scenario si punta sulla dicotomia reale/virtuale, e si tenta di canalizzare in un collettore-lager fantastico le risorse creative ed i bisogni della gente. La logica di "simpatica" ed efficiente tecnologia "friendly" dei grandi portali, il calderone "spirituale" della new-age ed il paradiso perverso del pedofilo vengono così a costituire le molte facce di una stessa medaglia, quella della nuova "normalità" virtuale, la grande fiera di pubbliche mediatiche virtù e dei vizi privati con codice d’accesso.
Secondo questa visione, naturalmente, la differenza tra pirateria informatica, attentato all’ordine costituito, e movimento hacker è praticamente nulla, e da qui al rifiuto di tutto ciò che non è regolato dagli ordinatori globali c’è soltanto un piccolo passo. Si tratta, in pratica, di una riproposizione del modello televisivo culturalmente centralizzato, ma opportunamente "adattato" all’utente. Gran parte della Rete, oggi, è già immobile e passiva, arto paralizzato e possibilità perduta.
Non è questo che vogliamo. Non creazione di mondi immaginari, nuvole distopiche di mondi dai ruoli "concretamente" ancora più rigidi, ma immaginazione e simulazione di possibilità per il mondo reale, crescita
delle anomalie e della coscienza, lotta creativa all’appiattimento della comunicazione, laboratorio di progetti che attendono un fare politico. Già oggi sappiamo che il tam-tam della Rete contiene in nuce un diverso modello di lotta politica e di contro-informazione, come hanno dimostrato le esperienze del movimento no-global ed i fatti dell’ 11 settembre e di Genova. Nell’ ex-URSS ed oggi in Cina, la diffusione del personal computer e del numero di connessioni livella reticolarmente la struttura del potere, rendendo impotenti le vecchie architetture piramidali. Il "gruppo di affinità" anarchico trova in Rete la sua espressione più naturale, favorendo la nascita di spazi di interesse e d’intento al di là delle barriere geografiche e dei rapporti di forza materiali. In questo senso, ancora tutto da esplorare, l’utopia emerge dalla Rete per la natura stessa del suo essere collettivo. La Rete è vocazionalmente luogo di produzione utopica ed insieme di costante verifica, laboratorio di democrazia
connettiva in tempo reale. Ed il gesto hacker è pratica zen di utopia connettiva, manifestazione di una diversa percezione del potere. La Rete promuove la Parola ed il Libro, ma gli toglie ogni inutile orpello di sacralità: nella progettualità della Rete siamo tutti chiamati ad essere teorici e sperimentatori, critici e partecipi assieme.
Complessità ed Utopia sono caratteristiche essenziali della Rete, ne costituiscono rispettivamente la vita reale ed il destino naturale. Non possono essere rimosse senza modificarne la natura profonda. Per troppo tempo i cibernauti hanno navigato rotte per mondi illusori. E’ tempo che portino il loro bagaglio e le loro conoscenze verso approdi concreti di cambiamento reale. L’Utopia Virtuale può essere, dunque deve essere, la creazione di nuove strade neurali dove corrono le idee di quelle comunità che, dentro e fuori la rete, cercano un modo diverso di produrre la conoscenza, di superare le barriere, di partecipare al gioco delle regole del mondo.

Note: * fisico teorico ed epistemologo, si occupa di Sistemi Complessi ed Intelligenza Artificiale.

APPROFONDIMENTI


Internet: dalla guerra (fredda) alla condivisione dei saperi e della comunicazione
Breve
cronologia della Rete


Il
mondo secondo Google
– di PIERRE LAZULY

Le
scelte silenziose dei motori di ricerca


Privacy
ed anonimato in rete
– di MARCO A. CALAMARI

e-privacy:
riservatezza e diritti individuali in rete (PDF, 44 Kb)





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