Tutela della proprietà intellettuale e democrazia della conoscenza
Master Scienza Tecnologia e Innovazione
Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione
Lidia Giannotti
Tesi
Dal pensiero strade per innovare
Software e comunicazione digitale, circolazione della conoscenza ed esigenze di tutela della proprietà intellettuale
Le finalità della tesi
La questione della tutela della proprietà intellettuale nell’era di Internet è complessa. E’ infatti necessario contemperare diritti privati degli autori e diritti di condivisione sociale del sapere. La tesi parte da questa problematicità e presenta la questione in termini di “problem solving”.
La sua articolazione
La tesi si compone di tre parti. La prima (“Creatività, conoscenza e innovazione”) si occupa di quei processi di conoscenza che possono “riformulare un problema in termini nuovi e darvi una soluzione che nessuno prima era riuscito a intravedere”. E’ quindi una parte “cognitiva”che si sofferma in particolare su quel “pensiero trasformativo” che affronta problemi inediti riformulando le strategie e gli approcci mentali.
La seconda parte (“Tutela della proprietà intellettuale, tutela del software”) scende nel vivo dei problemi legati al diritto d’autore. Viene esposta nelle sue parti essenziali la normativa sul copyright e sui brevetti. Infine è descritto il sistema operativo Linux e il software open source, con riferimenti alle loro novità sia sotto il profilo tecnico sia sotto il profilo della ridefinizione del concetto di “proprietà intellettuale”.
La terza parte (“Prospettive e problemi nella circolazione di contenuti digitali”) è tesa a considerare quelle soluzioni che rappresentino l’interesse sociale dato che “la diffusione più facile e veloce di contenuti (testi, immagini, suoni e contenuti multimediali in genere) rappresenta una grande opportunità di aumento della conoscenza”. I bisogni collettivi di condivisione dei contenuti digitali sono posti al centro dell'attenzione e, tuttavia, viene valutata possibile una tutela della proprietà intellettuale che non entri in contrasto con la tutela dell’interesse sociale.
La caratteristica interdisciplinare
La tesi non è uno studio di approfondimento specialistico su una sola ristretta questione. E’ invece un reticolo interdisciplinare e multidisciplinare. Punta a tenere assieme in un unico spazio concettuale aspetti riconducibili a tre dimensioni: quella tecnologica, quella giuridica e quella cognitiva. Da questo punto di vista è una ricerca insolita e originale fra gli studi in lingua italiana che trattano il diritto d’autore.
La caratteristica pedagogica
La tesi sottende una dimensione pedagogica e una particolare attenzione al sistema formativo che potrà realmente fare un salto di qualità se saprà sfruttare le immense potenzialità della rete, se saprà favorire la capacità di “imparare a condividere”, se coltiverà nuove competenze: “imparare a ricercare” e “imparare a creare” soluzioni. In buona sostanza la tesi esplora quelle competenze fondamentali per “imparare a imparare”. Questa è una prospettiva di particolare interesse per la scuola e l’università. Prepara infatti i soggetti sociali (bambini, giovani, adulti) a quei processi di apprendimento permanente che creano discontinuità. In definitiva si occupa di un problema strategico: quello della trasformazione del “capitale umano”, fattore di importanza fondamentale per le società attuali. Tale “capitale umano” non potrà crescere e migliorare se i contenuti digitali verranno frenati nella loro circolazione erigendo mura sempre meno efficaci e convincenti attorno alla proprietà intellettuale tradizionalmente intesa. La novità di questa tesi sta proprio nella capacità di disegnare un ricco e originale percorso in cui cambiamenti tecnologici, norme giuridiche e capacità euristiche entrano in relazione, in sinergia, progettando e condividendo soluzioni innovative.
La caratteristica dialogica
La tesi favorisce il confronto fra punti di vista differenti e anche antitetici. Dopo una argomentata comparazione si giunge a esaminare soluzioni innovative e aperte. E’ un modo di procedere scevro da dogmatismi. E’ attento e rispettoso di ogni punto di vista. Non è basato su scelte precostituite. E’ il confronto dialogico, maieutico, fatto di conoscenza delle opzioni diverse. Una volta individuate le criticità dell’assetto esistente, la tesi invita a delineare scenari nuovi.
La prima parte: complessità tecnica e sociale, scienze cognitive e pensiero creativo
La prima parte della tesi è assolutamente inusuale per studi che in genere puntano allo specialismo spinto in materie ostiche come il diritto, il software, ecc. In questa prima parte, invece, si parte inaspettatamente dal pensiero divergente e creativo. Vengono presentati gli studi più avanzati delle scienze cognitive, dall’intelligenza artificiale alle strategie euristiche, dando conto e sulla scorta dei tentativi di un matematico e attento conoscitore dei processi d’apprendimento, qual è David Perkins, di individuare una possibile struttura e capacità di sviluppo del pensiero trasformativo. Il tutto è ricomposto in un quadro unitario che accosta concetti e settori disciplinari molto distanti fra loro. Emerge una non comune capacità di raccordo fra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica. Leggendo ci si forma una migliore consapevolezza delle possibili interconnessioni fra psicologia, logica, formalismo giuridico (le norme), linguaggi formali (software), infrastrutture tecniche (hardware), intelligenza artificiale, modelli di rete, ecc.
Una volta afferrato saldamente questo filo conduttore, allora la tesi è compresa nel suo complesso. E così questa prima parte, dedicata alle scienze cognitive, diviene una piacevole e feconda introduzione a tutto ciò che segue. E’ infatti una “finestra di curiosità” per esplorare quella che potremmo definire la “pedagogia della complessità”, in questo caso la complessità derivante dalla necessità di contemperare condivisione del sapere e tutela della proprietà intellettuale.
Vi sono passaggi di particolare originalità, dedicati alla necessità di "combattere le abitudini mentali". Viene criticata la serialità delle soluzioni preconfezionale. La tesi opta per una formazione aperta e a “basso contenuto” di stereotipi, frutto spesso di pigrizia e conformismo. Ma tutto ciò viene proposto non in chiave di esortazione morale ma in chiave di analisi scientifica facendo spesso riferimento proprio al quel cognitivismo che ha fornito le basi per la psicopedagogia del problem solving.
“Negli ultimi anni – si legge nella tesi - le scienze cognitive hanno intrapreso percorsi nuovi e affascinanti. Uno degli oggetti di studio di maggiore interesse è il pensiero creativo. In particolare si cerca di individuare quella forma di creatività che consente di rompere con il passato e di fare un balzo in avanti imprevedibile, indicata per l’appunto, da coloro che tentano di individuare e comprendere il meccanismo che la genera ed il modo in cui si manifesta, come pensiero “trasformativo” ”.
Sono le novità, che spesso si palesano in forma di gioco, che creano la “capacità di pensare” e di apprendere, e lungo la strada di una ricerca chi ha meno “barriere mentali” è avvantaggiato nel conseguire le soluzioni.
Interessante è l’approccio “emozionale” al problem solving che fa ricorso anche all’ironia come strategia “divergente” di confronto e analisi, invitando a pensare all’esperienza che tutti abbiamo dell’umorismo “e a ciò che in alcuni casi fa scattare in noi una reazione divertita con quello che ne segue: una rappresentazione umoristica, un gioco di parole, un’immagine inconsueta o la presenza di un dettaglio “fuori centro” fanno riorganizzare il nostro modo di vedere un evento o una persona”.
Pur senza dirlo è a questa società “divertente”, “solidale” e “amichevole” – basata sulla qualità dei rapporti umani e che favorisce con la cooperazione una soluzione innovativa dei problemi – che l’autrice guarda. Una società ironica e divertente è infatti un “ambiente cognitivo” ideale in cui poter sviluppare fin da bambini quello “scatto cognitivo” maturato anche attraverso la curiosità verso l’imprevisto.
Questa prima parte della tesi – all’inizio “lontana” dalla questione del diritto d’autore – diventa via via più orientata all’analisi di quel problema. Si comprende che è cioè la premessa “cognitiva” per sottoporre a critica le strategie (mentali e politiche) di retrospettiva che tendono solo a inasprire le pene per chi copia. La tesi è finalizzata a favorire quel cambio di prospettiva che contemperi in termini innovativi l’interesse privato della tutela dei diritti dell’autore con l’interesse pubblico della condivisione moltiplicativa del sapere resa possibile da Internet e dalle tecnologie di rete.
Non a caso vengono sottoposte a critica le “abitudini mentali” intese come particolari “modelli cognitivi” seriali che può rivelarsi utile abituarsi a mettere in discussione; ci aiutano normalmente a saltare dei passaggi e sono ”vantaggiose nel corso di molte delle nostre esperienze, ma in presenza di situazioni o esigenze nuove manifestano una particolare forza nel bloccarci la strada”.
Non è difficile capire che questa critica alle “abitudini mentali” in termini cognitivi è in buona sostanza una critica al conformismo e alla sua capacità di influenzare i comportamenti e gli schemi mentali, dall’educazione scolastica alle scelte politiche fino alle norme approvate in sede legislativa. La tutela della proprietà intellettuale, la condivisione del sapere e le tecnologie di diffusione digitale possono convivere senza confliggere se “si evade” dalla prigione delle abitudini mentali acquisite in un’epoca in cui Internet semplicemente non esisteva.
Se nel trattare alcuni temi tutti gli spazi vengono occupati da un approccio consueto o tradizionalmente diffidente non guarderemo mai aprirsi l’orizzonte e non troveremo nuove prospettive e strumenti. E’ possibile invece aprire un’altra strada, partire dall’esigenza e dal valore di una "gestione strategica della conoscenza" che faccia leva sulla comunicazione tra competenze ed esperienze diverse, dare priorità a nuove "grandi opportunità di inclusione sociale per tanti individui", costruire un clima sociale e culturale in cui siano valorizzati, nella loro trama, “tecnologia, talento e tolleranza” e puntare a sperimentazioni e politiche che intercettino forze e intelligenze capaci di cambiamento e soluzioni creative.
All’inizio contava soprattutto il computer, mentre il programma era quasi un accessorio. Più tardi è iniziata la commercializzazione del software, con la modifica di sistemi liberi (come MS-Dos) e l’oscuramento del codice sorgente – la parte leggibile - rispetto al codice usabile.
Richard Stallman, studioso di intelligenza artificiale nel Massachussets Institute of Tecnhology (il MIT) fondò negli anni ’80 la Free Software Foundation e contrappose il concetto di “copyleft” a quello di copyright, insieme a Eric Raymond. Per proteggere da ogni chiusura tecnica o legale i programmi che si stavano sviluppando fu ideata la General Public License (GPL). Si è dato così vita ad un sistema aperto sul quale lavorano sviluppatori che collaborano in più parti del mondo, persone che sostengono che il cliente non è un antagonista di cui diffidare, ma una risorsa da valorizzare, e che preferiscono essere remunerati per le loro conoscenze e per le prestazioni che possono offrire.
Tutti hanno sentito parlare di GNU/Linux, ideato nel 1991 dallo studente finlandese Linus Torvalds e utilizzato da milioni di utenti, non un semplice sistema operativo, ma una parte (Kernel) su cui si basano molte applicazioni open source (è invalso l’uso di questo termine in una parte della comunità degli sviluppatori per ovviare al disagio percepito nelle aziende all’uso della parola “freeedom”, pensando anche a una coesistenza più organica con il software proprietario, scelta quest’ultima non condivisa da Stallman).
La qualità è assicurata dal lavoro comune per eliminare i difetti; nel mercato dei web server, ad esempio, dove sono presenti ottime competenze, viene preferito l’impiego di Apache, di matrice open source.
In Italia le amministrazioni pubbliche sono state invitate a considerare le offerte e le potenzialità del mercato open source, in particolare con una direttiva dell’allora Ministro per l’Innovazione e le tecnologie Lucio Stanca (19 dicembre 2003..).
Brano estratto dalla seconda parte della tesi ("TUTELA DELLA PROPRIETA’ INTELLETTUALE. TUTELA DEL SOFTWARE")
La seconda parte: le norme sulla proprietà intellettuale e il movimento free software
Nella seconda parte della tesi si analizzano nel dettaglio gli aspetti giuridici e sono descritte le due distinte discipline del “diritto d’autore” e dei “diritti di brevetto industriale” fino a toccare la Direttiva 91/250/CEE (sulla tutela giuridica dei programmi per elaboratori recepita con il decreto legislativo n. 518 del 29 dicembre 1992) e il decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005 (Codice della proprietà industriale).
Viene citato il movimento del free-software evidenziandone gli aspetti di novità: “Il free software – si legge - può essere studiato e sviluppato da chiunque. Alla base del movimento omonimo vi è la convinzione che il codice sorgente debba essere accessibile e modificabile, che sia possibile studiarne i problemi di funzionamento e le soluzioni per migliorarlo e adattarlo alle proprie esigenze”.
Si fa esplicito riferimento alla filosofia “open source” e al movimento di Stallman: “Richard Stallman, studioso di intelligenza artificiale nel Massachussets Institute of Tecnhology (il MIT) fondò negli anni ’80 la Free Software Foundation e contrappose il concetto di “copyleft” a quello di copyright, insieme a Eric Raymond”.
La terza parte: alla ricerca delle soluzioni
La tesi rivolge, nella terza parte, lo sguardo al futuro. Considera gli interessi collettivi come punto di riferimento privilegiato della propria attenzione. Valuta le convenienze reciproche fra vantaggio pubblico e vantaggio privato. E si sofferma sul mondo-Linux e sulla sua “filosofia”.
Linux viene esaminato non solo come software ma come una soluzione creativa e innovativa. Una soluzione che si presenta “robusta” ed efficiente tecnicamente e che ha segnato una svolta nel modo di intendere la proprietà intellettuale. Linux rappresenta una svolta nella ricerca del difficile equilibrio fra il diritto d’autore e la logica del vantaggio sociale della condivisione. Linux è il “progetto cognitivo” in cui la “comunità” si trasforma da minaccia a risorsa, da impoverimento (la “pirateria”) ad arricchimento (la creatività degli hacker e degli smanettoni). La comunità che condivide senza gelosie e senza segreti diventa in questo modo un punto di forza dei sistemi informatici. Il “cooperative learning” dei forum diviene la strategia cognitiva di rete che conferisce “robustezza” a Linux. In tal modo un software cresce e si afferma su logiche “divergenti” rispetto a quanto immaginato e auspicato dai sacerdoti del copyright tradizionale. Linux si avvale proprio della comunità per la condivisione delle conoscenze e delle soluzioni per risolvere le criticità. La “virtual community” diventa in tal modo un paradigma cognitivo-partecipativo talmente interessante da essere adottato anche in altri ambiti (si pensi alla community del Tom Tom che coopera per segnalare le strade interrotte o per creare le mappe dei punti di interesse).
Nella tesi si da conto delle perplessità esistenti sia sulla scelta sia sull’efficacia di alcuni strumenti di protezione, come la tecnologia DMR (Digital Management Rights) basata su sistemi di protezione finalizzati a impedire l’uso illegittimo di contenuti; vincoli troppo stringenti “rischiano di limitare e inibire la diffusione della conoscenza attraverso i nuovi strumenti tecnologici” e “diventa sempre più vero l’assunto che un bene immateriale può essere condiviso senza che ne derivi una diminuizione intrinseca di valore; e anzi, aumentandone la fruizione, possono aumentarne la capacità di circolazione nel mercato, l’efficacia comunicativa e innovativa e la possibilità di inserimento in processi produttivi che hanno sede in altri ambiti geografici o circuiti economici”.
La tesi ci introduce a concetti innovativi: “Creative Commons” e “Science Commons”. Sono soluzioni che hanno innovato il modo di definire e proteggere la proprietà intellettuale.
L’analisi tuttavia ha il merito di non limitarsi al solo “mondo occidentale”. Infatti collega la questione della proprietà intellettuale ai processi di globalizzazione e al Sud del mondo. La parte finale tocca quindi il tema del diritto di accesso alle risorse informative, e in tale ambito si collega a movimenti di telematica sociale che creano network di condivisione informativa solidale con le aree più povere del pianeta, come ad esempio APC (Association for Progressive Communication).
Non è un caso che la tesi si concluda proprio accennando al fatto che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha affermato "la necessità di rivedere la normativa sul diritto d’autore, tenuto conto di tutti i diritti della persona (Risoluzioni 2000/7 e 2001/21 della Sottocommissione per la promozione e protezione dei Diritti Umani)".
Imparare a uscire dai labirinti
“Quello che oggi ci serve è la mappa del labirinto, la più particolareggiata possibile”, scriveva Italo Calvino. E quello che questa tesi ci offre è proprio una mappa complessiva particolareggiata di un labirinto. Assieme alla mappa del labirinto c’è tuttavia la mappa delle vie d’uscita e delle competenze cognitive per uscirne. Le future società verso cui siamo proiettati avranno bisogno di studi come questo per disegnare nuove mappe e cercare nuove strade.
Lidia Giannotti è laureata in giurisprudenza e ha al suo attivo, oltre al master in Scienza Tecnologia e Innovazione per il quale ha elaborato questa tesi, un master in Diritto dell'Informatica e teoria e tecnica della normazione conseguito a Roma presso l'Università "La Sapienza". Funzionario pubblico, si è occupata di gestione e riorganizzazione di enti locali, di privacy e di problemi connessi all’uso dei nuovi strumenti di comunicazione. E’ redattrice di PeaceLink. La tesi in questione è stata realizzata nell'anno 2006.
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