Gli adolescenti e il social network
Ho chiesto a una ragazzina quanti messaggi invia al giorno. Mi ha risposto: «250 al giorno o giù di lì». Incredibile! Gli adolescenti e la loro vita digitale vengono criticati ogni giorno. In un recente articolo nel The Guardian, lo scrittore Jonathan Franzen condannava i social network, sostenendo che fomentavano la creazione di una cultura superficiale e banale, rendendo i ragazzi incapaci di socializzare. Di seguito Louis CK, un comico americano, ha dichiarato in televisione che non avrebbe permesso alle figlie di avere un cellulare per paura che non sviluppassero empatia.
Anche la scienziata e scrittrice Susan Greenfield ci avverte sui pericoli apocalittici: « Si rischia di crescere una generazione edonistica che vive solo l’emozione immediata creata dal computer e corre seriamente il pericolo di distaccarsi da quello che noi consideriamo la vita reale».
Anch’io, in quanto padre di due ragazzi che frequentano la scuola elementare, non sono immune da queste preoccupazioni. E non serve essere un genitore per preoccuparsi degli effetti che tutta questa tecnologia ha sui giovani. I giornali abbondano di articoli terrificanti sulla dipendenza pornografica e l’aggressività causate, in teoria, dai videogiochi troppo violenti – soprattutto in questo momento che è appena uscito Grand Theft Auto V (un videogioco d'azione). Anche se alcuni di questi articoli toccano una nota dolente, non rispecchiano la stragrande maggioranza dei comportamenti sociali degli adolescenti: chattare online, messaggiarsi, navigare in rete e la nascita di un nuovo mondo adolescenziale digitale.
Questo nuovo trend esiste. Ma è vero che, come Franzen e molti altri temono, sta trasformando i ragazzi in zombi frastornati dagli emoticon, incapaci di comunicare, incapaci di pensare, di formulare un pensiero coerente o addirittura incapaci di guardarsi negli occhi? È tutto vero?
Per me no. Torniamo a quella ragazzina che invia 250 messaggi al giorno. La verità è che ho scelto un caso estremo per spaventarvi.
Quando l’ho intervistata era con un gruppo di amiche che avevano varie e diverse esperienze. Due di loro hanno ammesso di messaggiare solo 10 volte al giorno. Una non ne voleva sapere di Facebook («uso solo Instagram, posto foto di quello che faccio in città, con i miei amici. Siamo più per il visuale»). C’è chi è appassionato di Snapchat, l’app che ti permette di scambiare una foto o un messaggio e poco dopo auto-distruggersi, come una dichiarazione da Guerra fredda. Una aveva il telefono zeppo di emoticon spiritosi, un’altra disapprovava: «io sono brava a scrivere» mi ha detto, « a volte la gente non capisce il tono, così bisogna essere precisi». La varietà di uso dei mezzi tecnologici di questo gruppo rispecchia quanto confermato dalle ricerche: meno del 20% dei ragazzi invia più di 200 messaggi al giorno, il 31% ne invia a malapena una ventina, se non meno.
Le nuove tecnologie seminano sempre un panico generazionale, che ha più a che fare con le paure degli adulti che con la vita degli adolescenti. Negli anni trenta i genitori si preoccupavano che la radio avesse ‘un controllo senza eguali sui ragazzi’. Negli anni ottanta il grande pericolo veniva dal Sony Walkman, che ‘contribuì a creare l’adolescente che dondolava a ritmi orgasmici’, come dichiarò il filosofo Allan Bloom. Se si guarda l’attività digitale attuale, i fatti sono molto più positivi di quello che ci si aspetta.
Gli scienziati sociali hanno osservato gli adolescenti e hanno scoperto che l’uso dei mezzi digitali può essere inventivo e perfino utile. Questo è vero non solo per quanto riguarda la loro vita sociale ma anche per la loro istruzione. Allora, se si usa una marea di social network, si diventa incapaci o restii a comunicare faccia a faccia? Le prove dimostrano il contrario.
Amanda Lenhart, ricercatrice al Pew Research Centre, un gruppo di esperti negli Stati Uniti, ha scoperto che i ragazzi che messaggiano di più sono anche quelli che preferiscono trascorrere più tempo di persona con gli amici. Un modo di socalizzare non sostituisce l’altro, anzi accresce l’altro.
«I ragazzi continuano a trascorrere il tempo di persona» dice Lenhart. Anzi, quando crescono e hanno più libertà, frequentano meno i social network. Quando sono più giovani il web è il loro ‘terzo spazio’, ma verso i ventanni viene sostituito da una maggiore autonomia.
Vogliono andare su Facebook per vedere cosa succede tra gli amici e la famiglia ma hanno un atteggiamento ambivalente, dice Rebecca Eynon, ricercatrice all’ Oxford Internet Institute, dopo aver intervistato più di 200 adolescenti britannici nell’arco di tre anni. Man mano che diventano più esperti a socializzare online, modificano il loro comportamento, confrontandosi con nuove competenze comunicative, come nella vita reale.
I genitori si sbagliano a pensare che i ragazzi non si preoccupano della privacy. A dire il vero, trascorrono ore a modificare il setting su Facebook o a utilizzare strumenti per cancellare velocemente le loro tracce, come Snapchat. Oppure postano una foto su Instagram, chattano con i loro amici e poi eliminano la loro conversazione senza lasciarne traccia.
Questo non vuol dire che i ragazzi hanno sempre buon senso. Come tutti, sbagliano, a volte seriamente. Ma capire come comportarsi online è una nuova competenza sociale. Anche se la rete abbonda di tragedie e incomprensioni, per la maggior parte degli adolescenti non è un ciclo continuo di abusi: uno studio condotto da Pew ha scoperto che solo il 15% degli adolescenti ha dichiarato che qualcuno è stato scortese o crudele nei loro confronti negli ultimi 12 mesi. Sappiamo benissimo quanto sia traumatico il bullismo e l’importanza di un intervento immediato, ma per fortuna non è una cosa che capita tutti i giorni alla maggior parte dei ragazzi.
Anche il sexting (inviare elettronicamente messaggi o foto sessualmente esplicite) è meno frequente di quello che si pensa: Pew ha scoperto che solo il 4% degli adolescenti ha inviato un ‘sext’ e solo il 15% ne ha ricevuto uno; meno virale di quello che ci si immagina.
E questa forma di scrittura breve sta distruggendo la capacità di leggere e scrivere? Certamente, dichiarano gli insegnanti preoccupati. Il Pew Centre ribadisce che gli insegnanti dichiarano che i ragazzi abusano del linguaggio colloquiale e degli sms quando scrivono e non hanno la pazienza d’immergersi nelle letture lunghe e complesse. Tuttavia, un’analisi delle documentazioni del primo anno di università suggerisce che questa preoccupazione potrebbe essere in parte imputabile a una visione fuorviante e nostalgica. Andrea Lunsford, ricercatrice all’Università di Stanford, ha esaminato gli errori nei temi scritti dalle matricole dal 1917 in poi, e ha scoperto che la percentuale era praticamente la stessa di oggi.
Ma, se il tasso di errori è rimasto stabile, gli elaborati degli studenti sono cresciuti in grandezza e complessità. Sono ben sei volte più lunghi di prima e, diversamente dai vecchi temi su ‘ le mie vacanze estive’, hanno argomentazioni sostenute da dimostrazioni. Come mai? Grazie all’uso dei computer, gli studenti sono migliorati nel reperire materiale, nel trovare diversi punti di vista e nello scrivere più fluidamente.
Quando la linguista Naomi Baron analizzò gli sms degli studenti fu sorpresa quando scoprì che l’uso di forme abbreviate di ‘u’ al posto di ‘you’ era alquanto limitato e che, man mano che gli studenti crescevano, iniziavano a scrivere frasi più grammaticali. Questo succede perchè ha un certo status: vogliono sembrare più adulti e sanno come deve scrivere un adulto. Sydney, un adolescente, mi ha confessato: « se vuoi sembrare serio, non usi ‘u’». È chiaro che è essenziale insegnare agli adolescenti la scrittura formale, ma messaggiare probabilmente non intacca la loro capacità di apprenderla.
Forse è vero che meno ragazzi leggono avidamente in confronto a due generazioni fa, quando i tascabili economici fecero salire vertiginosamente le percentuali di lettori. Ma già allora, come nota l’esperta di alfabetizzazione Wendy Griswold, una minoranza di persone, circa il 20%, erano lettori accaniti da una vita e fu la televisione via cavo e non internet a scuotere quella cultura degli anni ottanta. Griswold dichiara che almeno il 15% dei ragazzi legge avidamente. «I ragazzi più ambiziosi. Non vedo il motivo perché questo debba cambiare».
Infatti, la rete offre ai ragazzi incredibili opportunità di acculturarsi e diventare creativi, dando loro la possibilità di pubblicare idee non solo per una stretta cerchia di amici ma a livello mondiale. E si scopre anche che quando scrivono per un pubblico sconosciuto, essendo un pubblico ‘vero’, sono spronati a lavorare più sodo, a spingersi oltre e a creare nuove forme comunicative più potenti.
Prendiamo ad esempio Sam McPherson. A 13 anni diventò ossessionato con uno show televisivo, Lost, e iniziò a contribuire a un fun-run wiki (un sito amichevole e divertente aperto a tutti e dove tutti possono dare il loro contributo e opinioni). «Mi sono lanciato e ho iniziato a pubblicare» racconta Sam. Così ha imparato a cooperare con estranei a distanza e a tenere i nervi saldi mentre mediava le discussioni.
Questo tipo di relazione online con estranei può aiutare i ragazzi a farli sentire parte di una collettività. Joseph Kahne, professore di educazione al Mills College in California, ha osservato 400 studenti nell’arco di tre anni. Kahne ha scoperto che gli adolescenti che facevano parte di siti divertenti o di hobby erano più propensi a fare volontariato nella vita reale rispetto agli altri. E, fatto assai interessante, questo non valeva per chi aveva FaceBook.
Sicuramente si potrebbe argomentare che i genitori devono incoraggiare i figli a trascorrere meno tempo su FaceBook e più tempo su siti in linea con le loro passioni. Prendete Tavi Gevinson, una studentessa di 17 anni che ha fondato e pubblica su Rookie, un sito di articoli per e di ragazze giovani. Tavi ammette che socializzare online è «l’opposto di isolarsi – la cosa essenziale è essere connessi. Mi sono fatta molti cari amici online, soprattutto nelle comunità dei bloggers».
I professori che conoscono questa realtà hanno iniziato a strutturare diversamente le lezioni. Un giorno, andai a una lezione di Lou Lahana, insegnante di informatica in una scuola di una zona molto povera. Ho incontrato uno studente che era sempre nei guai, spesso assente e con voti bassissimi, il classico tipo che molto probabilmente avrebbe abbandonato gli studi. Nella classe di Lahana invece, aveva scoperto di avere del talento con un software di disegno tridimensionale, 3D SketchUp. Lo studente ha iniziato a creare delle meravigliose rappresentazioni di famosi edifici, che Lahana ha pubblicato online per farli vedere a tutto il mondo.
«Potrei diventare architetto» mi ha detto mentre era intento a disegnare sullo schermo una rappresentazione del Guggenheim Museum di New York. «Questa è la prima volta che ho pensato, sì, lo capisco, mi piace da morire - lo potrei fare».
Pochi negherebbero che passare troppo tempo online faccia male. Come ci fa notare Louis CK, i pericoli sono quelli emotivi: ferire uno a distanza non è lo stesso che farlo faccia a faccia. Se siamo fortunati, la legislazione cambierà e renderà la vita online degli adolescenti meno perseguibile. Appena una settimana fa, la California ha varato una legge che consente ai minori di richiedere alle compagnie in rete di poter cancellare il loro passato digitale e anche l’UE sta valutando una simile proposta.
Anche il problema della distrazione è serio. Quando i ragazzi passano da una chat a un video ai compiti, probabilmente non riescono a concentrarsi bene su quello che fanno. E gli studi confermano pure che i ragazzi non controllano la veridicità delle informazioni online – le scuole devono insegnare urgentemente agli studenti lo "smart searching", una guida intelligente su come navigare sul web. Lenhart inoltre ci fa notare che troppo social network e giocare online diminuiscono il tempo dedicato ai compiti e al riposo. Questo è il motivo esatto per cui i genitori devono essere risoluti e porre dei limiti, come per qualsiasi altra distrazione.
Però molti adolescenti riconoscono queste cose. «Forse è un processo naturale di crescita» dichiara una ragazza a proposito del fatto che socializza meno online rispetto a prima. «Cerco di non controllare Face Book finchè non ho finito i compiti».
«Non è vero» ride la sua amica. «Ti ho vista!».
«Beh, è autodisciplina! Ci sto provando!».
Allora qual è il modo miglior per gestire la situazione? Sempre il solito vecchio detto che va bene per qualsiasi genitore. «La moderazione» dice Lenhart. Rebecca Eynon replica che è la chiave per formare una buona educazione. I genitori che non staccano gli occhi dal loro cellulare e non leggono un libro molto probabilmente cresceranno dei figli che faranno lo stesso. Come sempre, dobbiamo osservare il nostro comportamento.
E riguardo i giovani, sono perfettamente in grado di considerare la ricchezza e le contraddizioni della loro esperienza. Tavi Gevinson sa che c’è un lato oscuro nella vita in rete: «Questo mi rende molto triste e vorrei che non fosse vero». Tuttavia vede dei vantaggi potenti. «Non è vero che molti della mia età si trovano online e socializzano solo online. Lo scopo è trovarsi di persona e costruire quella connessione».
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