Risparmiare si può, lo Stato ha scelto
Se i mercati, compresi quelli tecnologici, stentano nel loro complesso a dare chiari segnali di ripresa, c’è una "strana coppia" che, sul terreno informatico, continua a procedere in modo lento ma sicuro: il mondo open source (letteralmente, in inglese, «codice sorgente aperto») e quello delle pubbliche amministrazioni (PA). Un connubio soprattutto d’interesse, perché, nella sostanza, i programmi open source, contrariamente a quelli delle "classiche" software house, non costano nulla. O meglio: la loro "pura acquisizione" è, nella maggior parte dei casi, gratuita o comunque molto conveniente; un fattore che rende questi strumenti appetibili sia per le imprese sia per le PA. Naturalmente non è tutto oro quel che riluce e lo scenario è assai complesso. Com’è noto l’open source è prima di tutto un movimento internazionale di teorici e programmatori (nel mondo se ne contano decine di milioni) che da anni condivide il proprio lavoro su Internet, rendendo liberamente modificabile, copiabile e distribuibile il "cuore" stesso dei software: il codice sorgente, appunto. Il tutto in netta contrapposizione con molte delle case informatiche che, invece, custodiscono gelosamente le "chiavi proprietarie" dei loro prodotti, vendendoli prevalentemente "a pacchetto" (e con licenze d’uso spesso definite nel numero e nel tempo) ai consueti prezzi di mercato.
Le società dell’information technology che fanno business con l’open source, invece, guadagnano applicando "fee", in genere moderati, sulla distribuzione del software, effettuata in unica soluzione e senza limiti d’uso, oppure fornendo servizi aggiuntivi e assistenza tecnica. Le discussioni su quale sia il modello di business migliore sono ovviamente accese. Fra l’altro i detrattori dell’open source sostengono che con questo tipo di programmi l’assistenza è spesso nulla o scadente e che, alla fin fine, i costi di manutenzione possano risultare superiori rispetto a quelli dei software proprietari. Sta di fatto che la PA guarda con interesse crescente alle soluzioni a "codice aperto". Solo nella settimana che si è appena conclusa, sono stati tenuti sull’argomento ben due forum importanti: uno, il "Salpa — Sapere aperto e libero nella pubblica amministrazione" (www. salpa. pisa. it), organizzato dalla provincia di Pisa; l’altro a Padova, denominato "Primo convegno nazionale Open Source 2004 — Benefici per l’impresa e la pubblica amministrazione" (www. laboratorioinnovazione. org/opensource), organizzato dall’Università di Padova e col patrocinio di molte istituzioni. Ad entrambi gli appuntamenti hanno partecipato aziende di primo piano dell’information technology, autorevoli figure delle PA e parecchi addetti ai lavori.
Il ministero dell’Innovazione e le Tecnologie, per parte sua, ha inaugurato da tempo una linea di avvicinamento all’ambito dell’open source: nel novembre del 2002 il dicastero ha incaricato una commissione di effettuare un’indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione. La corposa relazione che ne è conseguita, presentata nel maggio del 2003, riporta fra l’altro come nell’Unione europea vi sia «una buona diffusione di software open source sul lato server, mentre dal lato client se ne fa un uso molto più limitato». Una situazione comune un po’ a tutto il mondo, Italia compresa. L’indagine sottolinea che «aziende leader nell’information technology (Ibm, Sun, Dell) si stanno proponendo al mercato, pubblico e non, in qualità di distributori e specialisti Linux (il noto sistema operativo open source n. d. r.)», e che «alcuni produttori di software proprietario, leader nel proprio settore, come Oracle e Sap, da tempo supportano distribuzioni dei propri prodotti di punta anche sulle piattaforme software open source». L’indagine fa anche notare che il «software open source si è diffuso in alcune specifiche aree applicative (infrastrutture, networking ecc) e nei settori dei sistemi operativi server (su pc e mini), web server, mail server e networking».
Microsoft, capofila dei produttori di software proprietario, è sempre regina assoluta nel software per desktop e "lato client" (i programmi che consentono di usufruire sul pc dei dati e dei servizi forniti dai software e dai computer "lato server"), ma il software a codice aperto continua ad affermarsi nel mondo delle reti e in settori "critici" come, ad esempio, quello dei web server. L’osservatorio Netcraft (www. netcraft. com) rileva che nel mese corrente il 67, 2% dei computer mondiali su cui s’impernia Internet sono dotati di web server Apache. Nel marzo del 2003 erano il 62, 5%. Il 29 ottobre 2003, Stanca, titolare del ministero dell’Innovazione, annuncia l’emanazione di una «Direttiva per l’open source nella PA» che «reca le regole ed i criteri tecnici per l’acquisto ed anche per il riuso del software nella pubblica amministrazione». La direttiva è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio 2004, suscitando però qualche perplessità fra i sostenitori dell’open source che la ritengono più generica e ambigua rispetto ai contenuti originali (si veda in proposito il sito www. softwarelibero. it).
Ma in ogni caso le relazioni della "strana coppia" sono in costante intensificazione. La spesa totale delle PA per il software è in continuo aumento e l’egovernment si diffonde: tutte le regioni e le province italiane, ad esempio, hanno un sito Internet, mentre i servizi on line per il cittadino si moltiplicano e si fanno più sofisticati anche a livello comunale. E proprio il networking, inteso nel senso più ampio del termine è il terreno d’elezione dell’open source. Anche se la penetrazione dei software a codice aperto sui server della PA, sempre in base all’indagine ministeriale, è ancora relativamente bassa (8%), la tendenza generale preme verso un impiego crescente di queste soluzioni nelle reti. Last but not least, società come Sun e Novell hanno messo a punto soluzioni desktop basate su Linux per dare battaglia a Bill Gates anche nel settore dei desktop. Vi sono dunque tutte le premesse perché la contesa di mercato fra sistemi aperti e sistemi proprietari si faccia sempre più aspra anche sul difficile terreno dell’informatizzazione della PA.
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