Open source, un risparmio per Stato e enti locali
PICCHI. Credo che la provincia di Pisa sia sufficientemente all'avanguardia sul tema dell’open source. Infatti con due atti significativi che precorrono e anticipano la direttiva ministeriale, abbiamo diffuso su tutti i nostri Comuni delle linee di indirizzo per il riuso del software, e abbiamo poi stabilito, sempre con delibera di giunta, delle linee di indirizzo per l'adozione dei formati aperti.
Concretamente noi facciamo una scelta preferenziale di open source in gare e appalti, migriamo e convertiamo tutti i nostri software verso l'ambiente open source. E per il sistema dei Comuni cosa facciamo? Facciamo soprattutto supporto, assistenza e formazione e, cediamo gratuitamente i codici sorgenti, tutti sappiamo che open source non necessariamente vuol dire free, gratuito. Ecco noi invece abbiamo adottato la tecnica, la scelta di fornire in modo gratuito sia i codici sorgenti e anche il supporto e l'installazione dei relativi pacchetti.
BOGI: Il tema che mi piacerebbe toccare è quello che va sotto il nome di competitività del sistema Italia e open source: come questi due aspetti vanno di pari passo. Poi possiamo cercare di capire per la gente, per chi compra e spende soldi che cosa vuol dire poi alla fine open source. E quindi che cosa vuol dire per questo paese avere anche atteggiamenti coerenti con l'open source.
Stavo leggendo, venendo in aereo qua, giusto Affari e Finanza. C'è un articolo sul declino italiano e sui "segnali di vita della nuova Italia che verrà", un messaggio positivo. Poi leggo, trovando la convinzione per le mie idee, una serie di interviste agli imprenditori del classico made in Italy: scarpe, borse, abbigliamento e così via. Allora, la domanda è una sola: se l'Italia decide di essere il numero 25 dei paesi al mondo, tutto questo non fa una piega, è perfetto. Ma se qualcuno continua a dire che questo paese vuole stare nei primi dieci, allora sarà bene cercare di capire che qui stiamo semplicemente gettando le basi, non tanto per stare al venticinquesimo posto, ma per finire al cinquantesimo.
Non c'è niente che riguardi l’alta tecnologia in questi settori. Ma voi pensate che un paese possa stare nei primi dieci senza elettronica, senza informatica, senza genetica, senza farmaceutica? Abbiamo due multinazionali nell'ordine dei 50 miliardi di euro di fatturato, Fiat e gruppo ENI, dopo c'è il vuoto.
Ora, io penso che open source abbia molto a che fare con cose che si chiamano passione per la tecnologia, vedere la tecnologia davvero come un abilitatore per il nuovo, per creare valore aggiunto, per fare sistema. Io ricordo sempre, quando mi capita di fare discorsi di questo tipo, la storia dei distretti italiani. Ma i distretti hanno vissuto un'epoca particolare, negli anni '80 arrivavano i giapponesi a studiarli, perché dicevano: una capacità tutta italiana di fare sistema, e si faceva sistema tra l'altro in una maniera che era la quintessenza dei valori della vita. Nel nord est si faceva sistema, bevendo un'ombra di vino insieme e scoprendo, in trattoria o all'osteria, che c'era una possibilità di costruire una filiera, e si poteva fare sistema, tizio aiutava l'altro, e c'erano delle complementarità aziendali, industriali.
Poi noi, al solito, siamo bravi a scoprire e poi ci fermiamo, come sistema paese. Dagli anni '80 agli anni 2000 abbiamo pensato che il mondo si fosse fermato, che niente doveva cambiare. Peccato che nell'epoca della globalizzazione fare sistema è un po’ diverso. Allora, le tecnologie alla Internet, open e via dicendo, servono o dovrebbero servire a fare sistema, ad unire comunità, a far capire le sinergie, i gruppi di acquisto, le capacità di andare a fare marketing in comune, ecc. Ma questo finora non è accaduto.
Con l’open source la pubblica amministrazione può anche risparmiare. Secondo quanto c'è scritto sul sito Consip, una licenza di Microsoft costa circa 300 e passa euro, Star office costa 40 euro. Se voi mi mettete, su un sito ufficiale, che io cittadino ho la libertà di scegliere tra una cosa che costa 400 e una cosa che costa 40, io non capisco. Perché delle due l'una: o sono uguali, allora qualcuno sta facendo una frode, oppure non sono uguali. Allora l'unica cosa da fare è di certificare in che cosa sono uguali e in che cosa eventualmente sono diverse.
AUGUSTO LINO: Io ho provato, proprio nell'ARIT, a imporre il discorso di "open office", in modalità molto tranquille. Riconosco che è stato complicato. E a oggi mi trovo in una condizione in cui alcuni addetti lavorano con open office, altri lavorano con office. Ma i veri problemi iniziano in realtà quando ci sono interazioni con l'esterno, e si hanno problematiche di trasferimento di file in modalità diverse; e quindi dall'altra parte abbiamo un utente che non sa cosa riceve, perché chi ha spedito si è dimenticato di trasformare il file in altro modo. Allora sarebbe importante andare a fare un’operazione di sensibilizzazione sul territorio.
Confesso che non abbiamo fatto la scelta unica dell'open source, però noi due anni fa una cosa innovativa l'abbiamo messa nei bandi di gara, quando abbiamo messo a bando il centro servizi territoriali, il portale integrato multi canale, il Suap e il centro servizi sul turismo culturale. Abbiamo imposto nel bando di gara che la regione Abruzzo sarebbe diventata proprietaria del software, realizzato dalle imprese.
Abbiamo avuto all'epoca un po' di riluttanza da parte dei partecipanti, però diciamo che siamo arrivati prima di Stanca, che poi ha fatto la sua direttiva, in cui diceva che la pubblica amministrazione doveva essere proprietaria del software. Ora è anche evidente che noi non è che dobbiamo fare marketing o rivendere questi software, però è evidente che nel caso in cui ci fossero enti regionali che avessero bisogno di queste attività, si potrebbe comunque trovare una soluzione per il tanto decantato riuso. Forse il riuso è l'aspetto che più si avvicina molto all'open source, perché permette comunque il trasferimento della conoscenza. E ci permette di andare avanti.
La mia visione del mondo è questa, che a parità di costi di una qualsiasi attività, personalmente preferisco l'open source. Dico: a parità di costi, però così mi restano sul territorio delle professionalità che diversamente, pagando licenze a qualcun altro, non so dove vanno a finire. E siccome io, come ente regionale, ho la necessità di far crescere il territorio, di fare restare professionalità in loco, la scelta è obbligata.
AFFARI & FINANZA. Presidente Martini, sembra che i prodotti non Microsoft costino anche un decimo; ciò significa che la pubblica amministrazione potrebbe fare grandi risparmi con l’open source. Che ne pensa?
MARTINI: Sì, questo del risparmio sicuramente è uno dei temi forti della vita delle amministrazioni pubbliche: praticamente buona parte della nostra giornata la passiamo a cercare di trovare soluzioni meno costose per il funzionamento dei servizi.
Diciamo però che quando parliamo di risparmio, bisognerebbe includere in questo concetto non solo la dimensione puramente finanziaria. Noi abbiamo anche bisogno di risparmiare complicazioni, abbiamo bisogno di risparmiare inefficienze, abbiamo bisogno anche di risparmiare la scarsa qualità.
Da questo punto di vista, per rispondere un po' a quella che mi sembra sia la domanda di fondo, noi siamo orientati ad aprire spazi alla possibilità che l'open source sia riconosciuto, sia valorizzato, soprattutto per una questione generale di risposta ad una domanda sempre più articolata e sempre più qualitativa che viene dal sistema sociale, economico e produttivo.
Devo dire che esiste, sullo sfondo, anche la questione di non favorire la costruzione di posizioni monopolistiche o di totale controllo o dominio del mercato, perché questo è sempre un elemento di rigidità. Questo però non significa che nei confronti delle grandi sigle, delle grandi firme del mondo informatico, noi siamo in una posizione di antagonismo o di ostracismo. Assolutamente no. Io ho avuto recentemente, come Presidente della Regione, un incontro con la rappresentanza di Microsoft in Italia, e stiamo anche ragionando su possibili collaborazioni, cooperazioni; quindi non c'è una scelta, come dire, ideologica, di contrapposizione, anche perché questo credo non sia compito nostro, ci sono delle legislazioni nazionali che devono pensare a questo.
Però al tempo stesso abbiamo bisogno di corrispondere ad una domanda che incontriamo, ed è una domanda di pluralità di occasioni, di flessibilità di strumenti, appunto di minor costo dei servizi, di possibilità di riuso del software e di adattamento alle specifiche esperienze.
Questo corrisponde anche ad una particolarità del nostro sistema, che non vorrei considerare una particolarità assoluta, però il nostro è un sistema davvero articolatissimo, in miriadi e miriadi di imprese, di piccolissime imprese, di micro imprese, ma anche persino a livello istituzionale, di tante esperienze, di consorzi, di aggregazioni. Talvolta i software proprietari, che sono costruiti un po' su delle soluzioni molto standardizzate, anche se poi via via stanno cercando di flessibilizzarli, non sempre riescono a rispondere a queste esigenze. Ecco, poter soddisfare il bisogno anche della micro particolarità, diventa un elemento di qualità, oltre che di minor costo, là dove ci sia. Ora io non sono un grande esperto di costi, però risulta anche a me ovviamente che molto spesso le soluzioni open source hanno anche un costo molto più basso.
Se questo costo più basso si accoppia anche ad una qualità, ad una qualità intesa in senso lato, cioè adattabilità, flessibilità, aggiornamento, perché poi questo è un mondo dove le esigenze cambiano ogni mese, bisogna prendere questo software e aggiustarlo, bisogna modificarlo, bisogna renderlo più compatibile.
E infine vi è da considerare che intorno a queste esperienze di costruzione di software, open source, di software più libero, più adattabile, esiste anche un sistema economico toscano che ci lavora, cioè ci sono imprese, ci sono ingegneri, ci sono informatici, ci sono spin off delle università che nascono, e questo può dare occupazione, può dare una nuova linfa allo sviluppo qualitativo della nostra regione. Quindi le opportunità sono diverse, il che ci porta a dire che ovviamente la regione, non è che fa appunto una campagna contro e un giuramento per, questo credo non sarebbe nemmeno molto elegante, e tutto sommato noi siamo la regione dell'estetica, le cose vanno fatte anche con un po' di stile. Non campagne contro e non giuramenti per, però al tempo stesso fare in modo che queste soluzioni siano possibili, praticabili, disponibili; e quindi per far questo un pochino bisogna anche aiutarle, perché se non si aiutano, nel mercato così come è combinato oggi, queste possibilità non ci sono, sono soffocate. Però ecco, secondo me poi molto davvero conta, quello che poi decide davvero è il combinato disposto, come sempre, fra qualità e costo.
@AR~RIC: <\#119> a cura di ADRIANO BONAFEDE
AFFARI & FINANZA. La palla viene un po' rimandata ai produttori di software. Giustamente il presidente Martini fa notare che non basta risparmiare tout court, ma bisogna che questi software abbiano un’adattabilità nel corso del tempo, e una facilità di uso.
NUNES: L'adesione all’open source è nata da parte mia il giorno in cui si tentò di cambiare il software della Ragioneria, perché doveva legarsi a un altro software acquisito. Occorse quasi un anno di guerre, di liti e di minacce di azioni legali, per avere codici sorgente del software della Ragioneria.
Io mi permetterei però di avere un minore ottimismo sulle differenze di costo: non credo in un rapporto di uno a dieci.
C'è sicuramente una differenza sostanziale di adattabilità, flessibilità, utilizzabilità, trasformabilità a favore dei software open source in senso lato, rispetto ai software proprietari. Questo è il primo elemento a loro favore.
Il secondo elemento riguarda il fatto che noi abbiamo pensato all'utilizzo delle tecnologie dell'informazione, della comunicazione, come sistema, nell’ambito almeno dell'intera provincia, almeno in forma comprensiva di tutti i comuni della provincia; e quindi con un rapporto con tutti i distretti produttivi della provincia. La questione del riuso delle tecnologie diventava un elemento fondamentale.
La terza ragione riguarda un'idea del rapporto con le imprese. Per anni le grandi imprese informatiche hanno considerato la pubblica amministrazione una specie di "servo sciocco". Questo tipo di rapporto sbilanciato ci ha fatto spostare l'attenzione verso forme di relazione col sistema delle imprese che fossero meno marcate in termini monopolistici, nel senso che fornissero un aspetto più ampio di interlocutori. E che consentissero di passare da un sistema a un altro.
L'ultima questione. Il modello open source non è una questione ideologica, però nasce, contiene e suggerisce un modello di sviluppo diverso da quello dei software proprietari. E fra l'altro è più consono ai modelli di sviluppo della nostra provincia della Toscana e persino dell'Europa. Il grande modello monopolistico ha un'idea di una forte concentrazione di una risposta basata su un'altissima capacità di utilizzare risorse e di imporsi sul mercato. Il nostro modello è diverso, è basato sul sistema di piccola e media impresa, e ha l'idea che l'open source possa non solo far sviluppare le nostre imprese, ma possa fornire un percorso di moltiplicazione dei servizi, che a sua volta è un percorso di moltiplicazione delle possibili attività imprenditoriali. È un'idea che a me pare più congeniale, più corrispondente al nostro modello di sviluppo.
GALOPPINI: Perché nasce l’idea di un consorzio di piccole imprese per l’open source? Nasce per dare alcune risposte a problemi che abbiamo identificato sul territorio, sia questo poi il mercato delle pubbliche amministrazioni che quello delle imprese. Penso che una delle esigenze più importanti sia quella del "riuso". Noi parliamo di riuso in termini tecnologici sempre, cioè pensiamo al fatto che un software acquisito da una branca pubblica possa essere riutilizzato tout court da un'altra branca.
In realtà c'è un altro aspetto che è molto importante, che è il riuso dell'esperienza, cioè della modalità di utilizzare quell'elemento tecnologico altrove, in un'altra realtà. E per questo è importante chiaramente che la pubblica amministrazione o l'impresa siano assistite, cioè che trovino un partner in grado di seguirle.
Il rapporto tra chi acquisisce una soluzione basata su soluzioni software open source e il territorio è fondamentale. Quindi accade che esistono pubbliche amministrazioni, la Toscana è un caso di eccellenza, ma ce ne sono altre, c'è la regione Abruzzo, esiste la Liguria, la Lombardia, ci sono realtà dove il rapporto tra le istituzioni e il territorio è molto stretto. E sono, guarda caso, le realtà dove le comunità cosiddette, cioè i gruppi di utenti Linux, e in generale i programmatori open source sono molto diffusi.
Per questo nasce l'idea di un consorzio di piccole imprese che, distribuite sul territorio, stanno collezionando esperienze molto diverse, nelle pubbliche amministrazioni locali, negli ospedali, presso i vigili e altre strutture ed enti, e sono tutte esperienze che di solito rimangono circoscritte all'area territoriale dove opera quella determinata azienda. Quindi l'idea del consorzio è replicare, non soltanto l'utilizzo di una determinata tecnologia, ripeto, ma anche proprio dell'esperienza; e quindi riuscire in qualche modo, con un soggetto consortile, a portare questa esperienza anche altrove.
BONGIOVANNI: Noi siamo partiti, come tutti quanti, utilizzando software libero, senza nemmeno accorgercene, nel senso che era una scelta tecnologica, fatta dai nostri informatici, che per tutta una serie di applicazioni e di funzioni, hanno autonomamente individuato soluzioni open e free, come preferibili rispetto a quella parallele "proprietarie", in un ambiente assolutamente misto; quindi in un ambiente che prevedeva la convivenza e prevede tuttora la convivenza, a volte facile a volte spigolosa, fra standard diversi, e appunto filosofie di produzione del software diverse.
Il nostro è un territorio che ha una concentrazione di intelligenze e di capacità produttive, nel mondo del software, che è particolare in Italia. La presenza di tre università sul territorio di Pisa, di un dipartimento di informatica che ha fatto la storia dell'informatica in questo paese; e quindi di tutta una serie di persone che hanno messo al lavoro intelligenze, competenze e capacità, fanno di Pisa un laboratorio e un serbatoio di capacità e di conoscenze, e anche di piccola imprenditoria locale, che in una filosofia di software proprietario, è mortificata e ridotta sostanzialmente al rango di venditore.
Mentre può assumere, anzi assume naturalmente, un protagonismo ben maggiore nel momento in cui diventa sviluppatore o integratore di sistemi nel mondo del software open e free. Noi abbiamo identificato la scelta di favorire soluzioni open e free nell'ambito del software come un pezzo di una politica che serve appunto a questi scopi. Il che non significa, sicuramente, la chiusura ideologica rispetto a qualunque altro tipo di sistemi.
CRESCI: Sicuramente Novell è più conosciuta, essendo una delle grandissime multinazionali americane presenti sul mercato, come leader nell'information technology da più di venti anni. Il fatto che siamo qui oggi è dovuto a un cambiamento di rotta o perlomeno a una volontà, a una strategia di andare in un senso diverso da quello del passato.
Le ultime previsioni di trend di spesa a livello mondiale dicono che nel 2007 i budget di spesa per l’information technology saranno equivalenti al 75% di quelli che sono in generale i budget attuali. Il che significa che ci saranno meno soldi di oggi da spendere in It. E qui arriviamo al problema dei costi, e all'aspettativa che il mercato in questo momento ha, relativamente alla evidente riduzione dei costi che l'offerta dell'open source di Linux sta portando al mercato.
Ci si aspetta che non solamente l'open source sia la strada da percorrere per riuscire a gestire, da qui ai prossimi anni, un sistema informativo già esistente, e la sua evoluzione. Ma sicuramente ci sarà la necessità di fare sempre di più efficienza per riuscire a tenere sotto controllo il budget complessivo.
L'onorevole Martini ha citato più di una volta la libertà di scelta, che è proprio l'elemento fondamentale intorno al quale ruota la nuova strategia di Novell di proporsi non tanto come leader quanto come partner, come fornitore di un mercato che ha prima di tutto la necessità di dover essere libero di scegliere.
Perché una grande azienda come la nostra supporta un mercato come l'open source? Perché le vere esigenze, che ancora non sono state soddisfatte, sono relative alla possibilità di fornire supporto; quindi l'adattabilità, la capacità di fornire servizi a valore aggiunto, di aiutare gli enti e le aziende a riutilizzare quello che hanno, ad aggiornarlo con maggiore flessibilità e affidabilità.
BOGI: Quando si diceva: non ci deve essere ideologia nella scelta tra software proprietari e software aperti, è giustissimo. Il problema è se la soluzione adottata inneschi o meno un circolo vizioso di costi.
Ho sentito dire cose giuste. Certe caratteristiche di fondo del sistema paese, o del sistema provincia, del sistema regione e tutto, come dire, per certi versi, in particolare il sistema italiano, possono far pendere la bilancia più su un approccio open source.
Però ci sono delle difficoltà, è vero, non è mica semplice poi far digerire l'idea di soluzioni che si muovono un po' controcorrente, ci sono problemi sia culturali che problemi, non direi tanto tecnici ma proprio, se volete, di interfacciamento, di collegamento ecc. ecc.
Tuttavia è impossibile chiedere a chi ha costruito la sua fortuna su una logica invece di sistema chiuso, di sistema monopolistico, di essere poi quello che guida chissà quale strana rivoluzione o alternativa per cambiare le regole del gioco.
Sì, è vero, è complicato. Però permettetemi una battuta, ma è la democrazia che è complicata. E' molto più facile seguire uno che ti dice cosa fare, ti dà tutto, dalla culla alla tomba, che non fare scelte tutti i giorni. L'open source è una visione di questo tipo: io faccio crescere l'imprenditoria, io mi confronto tutti i momenti, io so che non sono mai sicuro di avere una situazione egemone, perché qualcuno mi può sempre mettere in discussione ecc. ecc., e questo è più difficile rispetto ad andare in un negozio che mi dà tutto, dalla consulenza direzionale al toner della stampante, certo che è più difficile.
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