In condizioni proibitive, mai sperimentate e mai immaginate prima

La mia esperienza con la didattica a distanza

Dopo la prima settimana ero diventato afono. Sembrava tutto finito. E invece no. Allora sono stati i miei studenti a sostituirmi, hanno fatto loro lezione. E' stato bellissimo. Alla fine i risultati sono arrivati: li ho recuperati tutti. Collaboravano fra loro, si aiutavano per imparare assieme.
15 maggio 2020

Appena è scoppiato il coronavirus la preside mi ha chiamato e mi ha affidato il compito di elaborare un piano perché la scuola non si fermasse. Sono infatti l'animatore digitale del mio istituto. E così ho lavorato per la scuola dalla mattina presto alla notte tardi, senza soste e senza risparmio alcuno, con la coscienza di chi voleva fare il proprio dovere di cittandino, prima ancora che isegnante, per sopperire con la didattica a distanza a quello che non si poteva più fare.
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Ho una lunga esperienza nel campo del software didattico. A metà degli anni ottanta cominciai a interessarmi alla pedagogia di Seymour Papert, esperto di intelligenza artificiale e ideatore di un linguaggio didattico per bambini, il LOGO (derivato dal linguaggio di programmazione LISP). Il metodo di Papert era orientato ai bambini, si chiamava "linguaggio della tartaruga" e serviva a insegnare a una tartaruga virtuale a orientarsi nel suo ambiente, schivando gli ostacoli, costruendo figure geometriche, programmando schemi logici via via più articolati, secondo una struttura modulare della conoscenza, costruendo parole che attivassero azioni che facevano partire a loro volta procedure più semplici. Una visione più articolata della mente poteva prendere forma immergendo il bambino in un ambiente di esperienza inedito. Il LOGO era basato su un mix fra la psicologia costruttivista di Piaget e l'intelligenza artificiale. I bambini potevano costruire da sé i loro schemi logici astratti sulla base della propria esperienza concreta attiva ("costruttivismo"), con un approccio ludico ai computer che non fosse quello dei videogame. Ho in seguito trasferito lo spirito di quell'esperienza sui software che consentono un approccio attivo e collaborativo.
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Quando mi è stato affidato il compito di provare a far funzionare la didattica in condizioni proibitive, mai sperimentate e mai immaginate prima, ho pensato che bisognava dare il meglio e dare il massimo. E soprattutto ho pensato che bisognasse dare l'esempio. Non solo ho cercato di fare scuola al meglio per i miei ragazzi ma ho condotto anche la formazione dei miei colleghi in quanto - come ho scritto - sono animatore digitale di una scuola molto grande e popolosa. Ho lavorato il doppio, con lo stesso stipendio. Perché ho una coscienza, perché in quel preciso momento c'era chi faceva molto più di me negli ospedali, anche sacrificando la vita. E lavorando il doppio i risultati sono venuti, perché i ragazzi seguono, non si sono annoiati, per nulla. Anzi, alcuni miei ragazzi li ho formati a fare i formatori dei miei colleghi nell'ambito della didattica a distanza, hanno ad esempio spiegato come si organizza un quaderno digitale, come si creano slides che incorporano filmati, che hanno un link e diventano piccoli siti web per l'educazione.
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Dopo la prima settimana ero diventato afono. Sembrava tutto finito. E invece no. Allora sono stati i miei studenti a sostituirmi, hanno fatto loro lezione. E' stato bellissimo. Alla fine i risultati ci sono stati: li ho recuperati tutti. Collaboravano fra loro, si aiutavano per imparare assieme ad affrontare le difficoltà tecniche piccole e grandi. Il risultato? Tutti connessi, con files, immagini e voce in condivisione, nonostante la scarsa collaborazione di alcune famiglie. Abbiamo toccato con mano come si possono creare ambienti di didattica collaborativa con gli strumenti più avanzati dell'e-learning. Parlo di ambienti di apprendimento e non di trasmissione del sapere, della solita lezione dalla cattedra. Sono formatore in questo settore, da tre anni ho abituato i miei studenti a creare il loro quaderno digitale. Sanno mettere in condivisione testi, slides e mappe concettuali, sanno fare scrittura collaborativa o per lo meno sanno come si può fare. Hanno imparato a usare il software di videoconferenza, ad alcuni di loro passo il controllo del software perché i webinar vanno gestiti con un piccolo staff per tenere la regia del seminario, leggendo e rispondendo a chi alza virtualmente la mano per porre domande. I ragazzi più bravi li ho fatti lavorare in condivisione sugli stessi files perché non facessero a gara fra loro ma cooperassero, e in tal modo hanno creato migliori percorsi didattici in forma collaborativa, sommando le loro competenze e andando più veloci, tutti assieme.
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Recentemente stiamo ragionando a scuola, ma è solo un inizio, su come trasformare l'emergenza del coronavirus in una esperienza di lifelong learning rivolta anche ai genitori, in modo da condividere con loro un percorso che vada dall'alfaberizzazione informatica alla cittadinanza digitale.
Avremmo dovuto coinvolgere di più i genitori nel progetto educativo-digitale, e questo limite va superato.
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Ho la soddisfazione di poter dire di aver fatto la mia parte in questo difficile momento. Con molti sacrifici e tante soddisfazioni, sono riuscito a mantenere in piedi un percorso educativo in condizioni a volte molto complicate. Come del resto hanno fatto i genitori più coscienziosi. Didattica a distanza

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