Lanciato un canale YouTube con oltre 70 video di personalità di spicco che sostengono Julian Assange
Una compagine di giornalisti italiani hanno fatto proprio l’appello del Premio Nobel della Pace Adolfo Maria Pérez Esquivel creando, in meno di quattro mesi, un canale YouTube che già vanta una settantina di video a favore di Assange, realizzati sia dai loro colleghi giornalisti, sia da personalità celebri: attori, artisti, scrittori, registi, attivisti per i diritti umani e figure istituzionali. Il canale s’intitola “La mia voce per Assange” ed è visibile qui.
Giovedì scorso, 30 ottobre, la campagna “La mia voce per Assange” è stata presentata ufficialmente al pubblico presso la sede della Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI). Presiedevano Vincenzo Vita di Articolo 21 e, da remoto, Grazia Tuzi, coordinatrice della campagna.
Il coraggio di denunciare crimini – anche se coperti da Segreto di Stato al solo scopo di tenerli nascosti e lasciar impuniti i colpevoli – dovrebbe essere un imperativo categorico per ogni giornalista, recita il comunicato distribuito alla presentazione. Perché ne dipende la libertà di stampa e, di conseguenza, il nostro #DirittoDiSapere ciò che fanno realmente i nostri governanti in nostro nome.
Assange ha avuto quel coraggio – e per questo è finito in prigione, mentre coloro che hanno commesso i crimini da lui denunciati rimangono liberi come fringuelli. Bisogna invertire questa scandalosa anomalia e il primo passo consiste nel farla conoscere al grande pubblico. “Per questo”, ha detto da remoto l’opinionista Gianni Barbacetto, bisogna superare la “timidezza dei giornalisti – anzi, forse si tratta di qualcosa di più della timidezza”. Per Vincenzo Vita si tratta di “silenzio omertoso”, un silenzio che rende il giornalista complice dei crimini che egli tace volutamente.
“Certo, sono i caporedattori e soprattutto le proprietà delle testate che decidono, in fin dei conti, ciò che viene pubblicato; ma sono i giornalisti che lo producono”, ha sottolineato Patrick Boylan, presente per conto di PeaceLink, a margine della conferenza. “Pertanto, essendo la forza produttiva, i giornalisti possono e devono avere più voce nell’attribuzione degli spazi – sulle pagine di un giornale o in un telegiornale – così da poter informare adeguatamente il pubblico su casi importanti ma trascurati, come quello di Julian Assange. Tutto sta nella loro capacità di auto-organizzarsi e di rivendicare, anche a muso duro, maggiori poteri decisionali nelle loro redazioni.”
Nel suo intervento Stefania Maurizi, la nota giornalista investigativa de Il Fatto Quotidiano e, in precedenza, de La Repubblica e L’Espresso, ha ricordato alla platea come “Julian Assange ha perso la libertà nel dicembre del 2010, da allora non l'ha mai riacquistata e rischia 175 anni di prigione in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti”. L’imputazione? “Aver pubblicato [documenti] ... che hanno permesso di rivelare crimini di guerra, torture, uccisioni stragiudiziali. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono responsabili di questo trattamento che il grande regista britannico Ken Loach ha definito ‘una mostruosa ingiustizia’.” A ciò si aggiunge la ugualmente mostruosa “campagna di demonizzazione, a partire dalle accuse del governo degli Stati Uniti secondo cui WikiLeaks aveva messo a rischio vite umane: eppure, nel corso degli ultimi 12 anni, non è emerso un solo esempio di persona uccisa, ferita o anche imprigionata a causa di quelle pubblicazioni.”
Oggi abbiamo bisogno, non soltanto di un Julian Assange che sia libero di rimettere in moto il suo sito WikiLeaks, ma anche di 10, 100, 1000 Julian Assange per tenerci ben informati in tutti i settori. Perché i misfatti da scoprire e denunciare non sono soltanto quelli governativi, ma anche quelli che avvengono nelle aziende (per esempio le frodi alimentari), nelle caserme (come il nonnismo che uccide), nelle università (ad esempio i concorsi truccati) e persino nella Chiesa (vedi la pedofilia diffusa). Chi viene a conoscenza di questi misfatti e non li denuncia, li farà subire ad altri. Ma per poterli denunciare pubblicamente e non rischiare il posto di lavoro, o peggio, ci vuole un sito che permetta di inviare comunicazioni crittografate che conservino l’anonimato di chi fa la denuncia. “WikiLeaks è stato il primo – e rimane il principale – sito di questo tipo”, ha concluso Maurizi; “ecco perché va difeso, insieme a chi l’ha creato”.
Alberto Negri è poi intervenuto per sottolineare, anche lui, quanto avremmo bisogno oggi dell’attività investigativa di Julian Assange e del suo sito WikiLeaks (il quale, dopo l’incarcerazione del suo co-fondatore va purtroppo a rilento).
Per dare un esempio delle informazioni che sono di pubblico interesse ma alle quali non abbiamo accesso, Negri ha paragonato l’attuale invasione e occupazione russa del Sud Est dell’Ucraina, all’invasione e occupazione statunitense (e italiana) dell’intero Iraq nel 2003. In entrambi i casi, senza autorizzazione ONU.
Dell’Ucraina di oggi e del conflitto in corso, i nostri giornalisti ci informano puntigliosamente, giorno dopo giorno, descrivendo tutti i crimini commessi dalle truppe occupanti russe – e anche quelli che non hanno commesso ma che sono stati attribuiti loro dal Presidente ucraino Zelensky.
Mentre nel secondo caso, cioè la guerra in Iraq consumatasi tra 2003 e 2011, i giornalisti hanno taciuto quasi completamente gli orrori commessi dalle truppe occupanti occidentali – come l’uso del vietatissimo fosforo bianco per bruciare vivi i ribelli e i civili rintanati nella città di Fallujah, assediata dai marines. Solo gli Iraq War Logs, rivelati da Julian Assange nel 2010 sul sito WikiLeaks, hanno fatto capire ai cittadini statunitensi e italiani quanto la nostra occupazione dell’Iraq non era una semplice missione di mantenimento della pace, bensì una guerra sporca, ancora più crudele e più violenta di quella attuale nell’Ucraina orientale.
Questa repentina presa di coscienza ha capovolto l’opinione pubblica rispetto alla presenza di truppe di occupazione in Iraq, da nettamente favorevole a nettamente contraria, e ciò ha accelerato il loro ritiro.
Il Pentagono non ha mai perdonato ad Assange questo umiliante smacco ed ora cerca vendetta.
Senza WikiLeaks o siti simili, ha concluso Negri, oggi come oggi rimaniamo all’oscuro di tante verità inconfessate riguardanti il conflitto in Ucraina e i retroscena nascosti, esattamente come eravamo all’oscuro di ciò che avveniva realmente in Iraq durante i primi sette lunghi anni di guerra, cioè prima dell'arrivo sulla scena di Julian Assange. Oggi a Kiev e a Washington, ci sono i whistleblower (le gole profonde all’interno dei centri di potere) che sarebbero disposti a rivelarci quelle verità inconfessate, se fosse garantito loro l’anonimato attraverso un sito che li protegga per davvero. Ma oggi quel sito non esiste più, o meglio, esiste solo limitatamente. Di conseguenza la nostra comprensione degli avvenimenti rimane limitata e non ci permette di agire come cittadini ben informati.
E’ forse questo il vero scopo della persecuzione di Julian Assange e dei tentativi di ridurre l’operatività del suo sito?
Oltre agli interventi di Maurizi e Negri, hanno preso la parola durante il lancio del canale YouTube “La mia voce per Assange”, l’ex Procuratore di Torino Armando Spataro, il segretario della Federazione della stampa Raffaele Lorusso, il Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli, il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury e, tramite videoregistrazione, il Presidente della FNSI Giuseppe Giulietti.
La campagna “La mia voce per Assange” viene sostenuta, oltre che dalla FNSI, dall’ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), da Articolo 21, da AAMOD (Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico) e dal gruppo FREE ASSANGE Italia.
E’ una delle numerose iniziative lanciate quest’autunno per rompere il silenzio intorno al caso Assange, tra cui:
– quella dello scorso 29 settembre al Nuovo Cinema Aquila di Roma, ovvero la serata “Il giornalismo non è un crimine: voci libere per Julian Assange”, organizzata da FREE ASSANGE Italia e moderata da Vincenzo Vita, con la partecipazione di una galassia di personalità celebri; si può rivedere la serata qui;
– quella dello scorso 8 ottobre a Londra, ossia una “catena umana” formata da oltre 10 mille attivisti venuti da tutto il mondo – tra cui Stella Assange e i suoi due bambini avuti con Julian – per circondare il Parlamento britannico e gridare che Julian Assange è un prigioniero politico e va pertanto liberato subito. Per un video dell’evento, cliccare qui. Contemporaneamente, altri attivisti hanno formato catene umane davanti alla Casa Bianca a Washington e, in Australia, davanti alla casa del Primo Ministro Anthony Albanese;
– quella dello scorso 15 ottobre, cioè la maratona mondiale 24hAssange: 50 città in tutto il mondo collegate in streaming sul canale YouTube dell’agenzia di stampa Pressenza, per testimoniare la loro vicinanza a Julian Assange con discorsi appassionati, canti, balli, poesie, videoclip, sketch. Si può rivedere la maratona qui e le foto di molti singoli eventi tenutasi il 15 ottobre qui;
– e infine ci sono le iniziative tenutesi da attivisti locali in tantissime città lungo tutta la penisola e non soltanto in occasione della 24hAssange: si tratta di comizi e sit-in e conferenze e proiezioni di film a Cuneo, Padova (Ponte San Nicolò), Brescia, Firenze, Milano, Torino, Trieste, Treviso, Varese, Reggio Emilia, Roma, Livorno, Puianello, Como, Novara, Bologna, Napoli, Cagliari, Val di Susa, Faenza, Luino, Montebelluna, Venezia, Rovato, Trapani e, in programma per novembre-dicembre, in molte altre località come Perugia, Ostia, Reggio Calabria.
Come Stefania Maurizi ama ripetere, per salvare Julian Assange “l’unico margine che esiste è quello di una forte pressione dell’opinione pubblica affinché le autorità americane e inglesi capiscano quanto impopolare sia questa decisione di estradarlo negli Stati Uniti e chiuderlo per sempre in una prigione. Una briciola ancora conta l’opinione pubblica.”
L’esplosione quest’autunno di iniziative popolari a sostegno di Julian, tra cui la campagna “La mia voce per Assange” lanciata giovedì scorso presso la FNSI, rappresenta forse l’inizio di quella vasta mobilitazione dell’opinione pubblica che Maurizi ha più volte auspicata.
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