Ricordare Julian Assange nella giornata ONU dei diritti umani: perché è importante
Da tre anni e sette mesi, Julian Assange, giornalista investigativo australiano, viene sottoposto ad un regime di carcere duro nella prigione britannica di massima sicurezza di “Belmarsh” – senza processo e quindi senza aver ricevuto una sentenza che possa giustificare una pena che anche il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria biasima come “sproporzionata.” La sua detenzione costituisce, dunque, una palese negazione del suo diritto alla giustizia.
E ciò nonostante, perdura. L’isolamento totale inflitto ad Assange dal Regno Unito – e quello che gli Stati Uniti vorrebbero infliggergli a vita in un loro carcere di massima sicurezza, qualora riuscissero ad estradarlo – dimostrano quanto i due governi anglosassoni temono Assange e ciò che egli potrebbe ancora rivelare dei loro crimini e illeciti, qualora egli fosse libero o, perlomeno, qualora egli avesse accesso ad un computer o ad altri strumenti di comunicazione. Donde il bavaglio, fino alla morte.
Ma se la severa e ingiusta prigionia di Julian viola il suo diritto alla libertà e alla parola, al contempo viola anche i nostri diritti umani, a partire dal nostro #DirittoDiSapere ciò che i nostri governanti fanno realmente nel nostro nome. Non solo, ma l’esempio di quella prigionia serve chiaramente ad intimidire tutti i giornalisti investigativi: “Se cercate di smascherarci,” dicono in sostanza i due paesi anglosassoni a costoro, “finirete come Assange”. Perciò, la prigionia di Julian rappresenta anche un attacco alla libertà di stampa, di cui all’articolo 19 nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Ma i diritti umani negati dalla persecuzione giudiziaria di Julian Assange comprendono anche molti altri.
Negli anni precedenti alla sua incarcerazione, infatti, Assange è stato perseguito con inaudita ferocia e accanimento dai servizi segreti USA/UK, che hanno fatto scempio totale della Dichiarazione Universale. Infatti, i due paesi anglosassoni (1.) hanno spiato Assange, senza autorizzazione, per sette anni, 24/7, e persino durante le sue conversazioni privilegiate con i suoi avvocati. (2.) L’hanno privato del suo diritto alla salute durante il suo asilo politico. (3.) L’hanno calunniato a mezzo stampa. (4.) Con la complicità delle autorità svedesi, hanno messo in opera una montatura giudiziaria diffamante. (5.) Hanno corrotto un testimone per screditare (falsamente) la figura professionale di Assange quale giornalista investigativo. (6.) Hanno bloccato, senza ordinanza giudiziaria, tutti i canali di finanziamento del sito WikiLeaks per farlo fallire e così fermare le rivelazioni. (7.) Infine, stanno commettendo, proprio ora, un palese sviamento di potere imputando a Julian atti di spionaggio in base ad una legge statunitense che si applica solo a chi risiede negli USA nonché ai cittadini statunitensi residenti all’estero, ma che gli USA vorrebbero ora, creando un precedente con la complicità dei tribunali britannici, estendere unilateralmente ai giornalisti e ai privati cittadini di qualsiasi nazionalità in tutto il mondo.
Un bel po’ di diritti calpestati, non c’è che dire.
Certo, ci sono nel mondo molti altri casi di diritti umani sistematicamente negati. E difatti, i nostri governanti e i nostri mass media amano puntare il dito continuamente contro i diritti negati a giornalisti e ad attivisti in Russia, in Iran e in Cina, vuoi per assolversi (“Vedete? C’è di peggio altrove.”), vuoi per creare steccati e polarizzare il mondo in due campi, noi i buoni e loro i cattivi.
Non c’è dubbio: tutti i perseguitati politici (che non siano agents provocateurs) meritano la nostra solidarietà, perciò anche quelli in Russia, in Iran e in Cina.
Ma puntare il dito di continuo contro i tre paesi appena elencati e soltanto loro, spesso esagerando le loro colpe o addirittura inventandone, sa di strumentale ed è chiaramente in malafede.
E’ significativo, per esempio, che i nostri governanti e i nostri mass media non puntino il dito continuamente contro i diritti negati da Israele ai propri cittadini arabofoni, per non parlare dei palestinesi. Nè puntano il dito contro i diritti negati dal “governo amico” di Kiev ai propri cittadini: sono 80 i giornalisti e blogger ucraini fatti sparire perché dissidenti dal 2014, cioè ben prima dell’attuale conflitto, ma di loro abbiamo notizie solo dagli ucraini fuggiti all’estero, non dai nostri media. E, neanche a dirlo, non puntano il dito contro i diritti negati dagli Stati Uniti ai propri cittadini. Infatti, oltre a incarcerare o comunque perseguitare sistematicamente i tanti whistleblower che hanno osato denunciare il governo statunitense (oltre a Assange e Manning, ricordiamo Snowden, Hale, Drake, Jin-Woo Kim, Kiriakou, Leibowitz, Sterling e Winner tra i casi più recenti), gli USA hanno anche il primato poco invidiabile di tenere in galera la più alta percentuale della propria popolazione rispetto a qualsiasi altro paese nel mondo, dittature comprese. Più della Corea del Nord. Più dell’Arabia Saudita. In certi Stati, i carcerati, che sono soprattutto di colore, vengono fatti lavorare da schiavi nei campi di cotone gestiti dalle prigioni – a vederli sembra di tornare nuovamente all’epoca dello Zio Tom. Tra questi prigionieri-schiavi spiccano molti attivisti e dissidenti neri che sono stati condannati per qualche inesistente reato comune, per toglierli di torno senza che risultino “prigionieri politici”.
Due torti non fanno una ragione. Perciò, le violazioni dei diritti umani da parte dei paesi appena elencati certamente non assolvono le violazioni in Russia, in Iran o in Cina. Tuttavia va contestata l’ipocrisia dei nostri politici e dei nostri media nel condannare esclusivamente i paesi da loro considerati “avversari”. Soprattutto perché questo continuo martellamento ha uno scopo preciso: mira a inculcare in noi una insofferenza verso la Russia, l’Iran e la Cina. In pratica, veniamo mobilitati contro, sin da ora. Ciò tornerà utile ai nostri governanti un domani in vista del sostegno popolare di cui avranno bisogno per le loro prossime guerre – peraltro già allo studio – contro questi tre paesi. Si passa dall’attuale guerra fredda con loro ad una guerra guerreggiata in un istante e perciò i nostri governanti hanno bisogno di tenerci pronti.
Per dire “Basta!” a queste invocazioni ipocrite dei diritti umani negati altrove, invocazioni peraltro strumentali per prepararci alle guerre, abbiamo una arma molto potente: esigere che i nostri governanti mettano in ordine la propria casa, prima di pronunciare anatemi contro gli altri.
Ciò significa necessariamente, dunque, porre fine alla persecuzione di Julian Assange, vittima di una serie di abusi che il relatore ONU sulla tortura, Nils Melzer, ha qualificato in questi termini (maggio 2019): "In 20 anni di lavoro con vittime di guerra, violenza e persecuzioni politiche non ho mai visto un gruppo di Stati democratici riunirsi per isolare, demonizzare e abusare deliberatamente di un singolo individuo per così tanto tempo e con così poca considerazione per la dignità umana e lo stato di diritto."
Ripetiamolo ancora una volta, a scanso di equivoci: tutti i perseguitati politici (che non siano agents provocateurs, anche involontariamente) meritano senz’alcun dubbio la nostra solidarietà. Tuttavia è giusto e opportuno che il caso Assange rimanga comunque la nostra priorità, proprio perché, come si è appena detto, abbiamo il precipuo dovere di mettere in ordine dapprima casa nostra e, inoltre, perché il caso Assange è la quintessenza dei diritti negati.
Ma il co-fondatore di WikiLeaks non è soltanto il simbolo in Occidente del giornalista/attivista privato dei suoi diritti umani.
Egli è anche il simbolo in Occidente del giornalista/attivista che, più che qualsiasi altro, ha lottato contro la privazione dei nostri diritti umani, calpestati così spesso dai nostri governanti e dalle multinazionali che li sorreggono.
Per esempio, attraverso il suo lavoro di giornalismo investigativo, Assange ha difeso il nostro diritto alla salute rivelando le pratiche irregolari dei due colossi dell’agribusiness, Bayer e Monsanto, che volevano commercializzare prodotti nocivi. Ha difeso il nostro diritto alla privacy rivelando come la CIA e la NSA – ma anche un qualsiasi nostro rivale in affari che possiede il loro spyware che una ditta israeliana commercializza – possono leggere persino i dati riservati che conserviamo nei nostri cellulari, se non adoperiamo contromisure. Ha difeso il nostro diritto alla sicurezza di fronte ai cambiamenti climatici, rivelando le pratiche illecite usate dai paesi più inquinanti per svuotare gli accordi COP. Ha difeso il nostro diritto alla pace smascherando i tentativi dei nostri governanti a “venderci” le loro guerre con falsi pretesti. E via discorrendo.
La giornata che celebra i diritti umani, dunque, deve essere soprattutto una giornata che ricorda:
– sia i diritti negati a Julian Assange,
– sia i diritti negati a tutti noi e che Assange ha cercato di difendere.
A Roma, ad esempio, gli attivisti di FREE ASSANGE Italia stanno preparando, in vista del 10 dicembre, una festa natalizia in piazza per Julian, per ringraziarlo di tutti i doni che ci ha fatto, ovvero le sue rivelazioni che hanno inchiodato il potere. Creeranno una pila di scatole-regalo, leggendo nel microfono le relative etichette, ognuna delle quali menzionerà una rivelazione di WikiLeaks e il corrispondente diritto umano che è stato così tutelato – come nei quattro esempi appena elencati. Durante questa attività, altri attivisti ricreeranno la statua di Davide Dormino, "Anything to say?", per celebrare non solo Assange ma anche Manning e Snowden, ricordando il loro coraggio nel denunciare i nostri diritti umani negati. Questo sit-in originale, aperto a tutti, si terrà a Porta Pia, davanti all’Ambasciata britannica, dalle 15 alle 18. Per saperne di più, consultare i social media del gruppo: https://www.facebook.com/FreeAssangeITA, https://www.twitter.com/Assange_Italia, https://www.t.me/FreeAssangeItalia, https://www.freeassangeitalia.it/.
Sempre a Roma la sezione ANPI del quartiere San Lorenzo commemorerà la giornata dei diritti umani con un incontro il giorno prima, 9 dicembre, così da consentire ai sanlorenzini di partecipare l’indomani alla manifestazione in piazza del gruppo FREE ASSANGE Italia. Durante l’incontro alle ore 18 presso la Casa della Partecipazione, si parlerà dei diritti negati nel quartiere a causa della gentrificazione in atto e a causa dei continui tagli alle finanze locali, proponendo come azione rivendicativa l’adesione alla campagna nazionale "Riprendiamoci il Comune" lanciata da ATTAC Italia. E poi, naturalmente, si parlerà di Julian Assange e, in particolare, della sua lotta per una informazione libera, capace di contrastare il Pensiero Unico dei mass media mainstream. A titolo di esempio verrà illustrato come viene raccontata la guerra in corsa in Ucraina oggi, con Assange impossibilitato a rivelarci i retroscena nascosti, e, in retrospettiva, com’è stata raccontata all’epoca la guerra in Iraq, con le clamorose smentite, poi, del sito WikiLeaks. Al termine, i partecipanti avranno l’occasione sia di iscriversi alla campagna “Riprendiamoci il Comune”, sia di acquistare il libro “Free Assange” (edizioni Left) e di aderire al gruppo FREE ASSANGE Italia.
Così a Roma. Ma la Giornata dei Diritti Umani verrà celebrata ricordando Julian Assange in molte altre città d’Italia e nel mondo. Il comitato 24hAssange ha creato una mappa in via di completamento sulla quale, cliccando sui vari numeri, si potrà leggere i nomi delle diverse città e gli eventi previsti per il 10 dicembre. Anzi, i promotori invitano tutti coloro che vorranno organizzare un evento, grande o piccolo, di inviare una mail a 24hAssange@proton.me per segnalare l’attività prevista, indicando luogo, titolo, orario e mail di un responsabile. L’attività verrà inserita nella mappa. Un’attività che sta riscuotendo molto interesse è il flashmob proposto dal gruppo internazionale Free Assange Wave e Davide Dormino, intitolato “Bring Your Chair”; per sapere come realizzarlo: https://twitter.com/FreeAssangeWave/status/1594604155032801280
La “Giornata Mondiale dei Diritti Umani” viene promosso il 10 dicembre di ogni anno dall’ONU con un determinato tema; quest’anno esso sarà “Dignità, Libertà e Giustizia per Tutti”.
I gruppi Assange nel mondo hanno semplicemente colto questa occasione per ribadire i contenuti proposti dall’ONU, ma focalizzandosi sul caso Assange in quanto particolarmente esemplificativo.
https://ilmanifesto.it/ricordare-julian-assange-nella-giornata-onu-dei-diritti-umani-perche-e-importante
Articoli correlati
- Albert, il bollettino quotidiano pacifista
Minacce di morte a chi difende i diritti dei migranti
Il monitoraggio del Consiglio d'Europa il 22 ottobre ha segnalato il clima di odio verso i migranti. A conferma di ciò sono oggi giunte le minacce di morte alla giudice Silvia Albano, presidente di Magistratura Democratica, contraria al trattenimento dei migranti in Albania.24 ottobre 2024 - Redazione PeaceLink - Quattro peacemaker, israeliani e palestinesi, portano in Italia un messaggio di pace
Dal pacifismo israelo-palestinese un’emozionante iniezione di speranza
Si chiamano Sofia Orr e Daniel Mizrahi, obiettori di coscienza israeliani della rete di sostegno Mesarvot e, affiliata alla stessa rete, c’è anche la palestinese Aisha Omar, mentre Tarteel Al-Junaidi fa parte di Community Peacemaker Teams.17 ottobre 2024 - Daniela Bezzi - Albert, il bollettino quotidiano pacifista
Chiediamo al presidente della Repubblica di sostenere l'ONU mentre i caschi blu sono sotto attacco
Il silenzio rischia di essere interpretato come un segno di debolezza o, peggio, di complicità tacita. Il nostro Paese non può permettersi di essere complice del fallimento della missione UNIFIL. Se qualcuno deve lasciare la Blue Line, non sono certo i caschi blu: devono essere le forze israeliane.10 ottobre 2024 - Redazione PeaceLink - Da settembre di quest’anno
Da Roma a Parigi, nasce in Europa la Rete ebraica per la Palestina
A Parigi, nel marzo 2024, 20 gruppi ebraici provenienti da 14 Paesi europei si sono incontrati per la prima volta durante un convegno internazionale in solidarietà alla Palestina. Da lì è iniziato un percorso comune, sotto l’ombrello di European Jewish for Palestine (Ejp).9 ottobre 2024 - Redazione Pressenza Italia
Sociale.network