Si manifesterà per Julian Assange davanti alle ambasciate e ai consolati australiani. Ecco perché
Ma notate la scelta delle parole. Blinken non ha affermato che Assange abbia effettivamente causato un danno (come si sosteneva all'epoca delle rivelazioni); ha semplicemente affermato che Assange ha rischiato – ipoteticamente – di causare un danno, il che è ben diverso. Infatti, il 16 agosto 2010, l'allora Segretario alla Difesa Robert Gates ha inviato una testimonianza scritta a una commissione del Senato negando che le rivelazioni di WikiLeaks avessero compromesso in qualche modo la sicurezza nazionale. Lo stesso vale per l'affermazione di aver effettivamente causato morti e lesioni: per Gates tale affermazione è infondate.
Come possono quindi gli Stati Uniti giustificare la persecuzione implacabile di Assange per quasi 13 anni e la volontà di imprigionarlo per altri 175, solo perché avrebbe causato un ipotetico rischio anni fa? La sproporzione non è forse eccessiva?
Questa è l'ovvia domanda che, tuttavia, gli interlocutori australiani di Blinken non gli hanno posto in risposta al suo tentativo di giustificare la persecuzione giudiziaria di Assange.
Né gli interlocutori di Blinken gli hanno fatto presente che i quattro anni trascorsi da Assange in isolamento in un carcere di massima sicurezza britannico sono più che sufficienti a compensare l'ipotetico rischio da lui causato anni fa e che, pertanto,, gli Stati Uniti dovrebbero ritirare la loro richiesta di estradizione.
Invece, il Ministro degli Affari Esteri Penny Wong e gli altri dignitari australiani presenti all'incontro con Biden sembravano non avere niente da ridire.
Eppure, è evidente che nelle attuali relazioni bilaterali, l'Australia ha il coltello dalla parte del manico! Blinken era venuto in Australia per chiedere la creazione di nuove basi militari per contenere la Cina; i politici australiani avrebbero potuto certamente porre la liberazione di Assange come condizione preliminare ai negoziati. Invece, non hanno detto nulla.
Questa capitolazione da parte dell'Australia deve finire!
Come attivisti per Assange, vogliamo quindi che le autorità australiane sappiano che, a nostro avviso, è giunto il momento di assumere un atteggiamento più assertivo nei confronti degli Stati Uniti. L'Australia ha ora la possibilità di costringere il suo alleato a porre fine alla persecuzione giudiziaria di Julian Assange. Che l'Australia usi questa leva!
Noi attivisti non siamo i soli a volere che Canberra si muova; possiamo contare sul sostegno di gran parte della popolazione australiana e di una significativa coalizione trasversale in Parlamento.
A Roma, sabato il 2 settembre alle ore 17.00, gli attivisti di Free Assange Roma si riuniranno davanti all'Ambasciata australiana in via Antonio Bosio 5, all'angolo con via Nomentana. Tra gli ospiti che prenderanno la parola sono Beppe Giulietti, già presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana, Davide Dormino, lo scultore che ha creato la monumentale statua “Anything to Say?” raffigurante Assange accanto a Chelsea Manning ed Edward Snowden, e un esponente del movimento giovanile Cambiar Rotta.
Contemporaneamente si terrà un sit-in a Milano davanti al Consolato australiano in piazza San Babila, organizzato dal Comitato per la liberazione di Julian Assange - Italia. I due eventi saranno collegati telefonicamente. Azioni simili si terranno a Wellington (Nuova Zelanda), Londra, Paris, Berlino, Monaco di Baviera, Tulsa (USA), oltre che in Svezia e Messico.
Per ulteriori informazioni contattare info@freeassangeroma.it
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