I "Cattivi della Rete" e la nuova censura elettronica - Cronaca dei sequestri dal 1994 ad oggi
Richiedendo il sequestro di due computer e la consegna di due dischi, con una operazione che ha portato all'oscuramento dell'edizione italiana italy.indymedia.org e di molti altri siti del network Indymedia, tra cui quello Palestinese, Belga, Africano, Brasiliano e Tedesco.
Dopo un convulso e frenetico rincorrersi di voci, ipotesi, allarmi e interrogazioni parlamentari, finalmente arriva qualche certezza: il sequestro non e' stato disposto su iniziativa delle autorita' statunitensi o britanniche, ma dal pm di Bologna Morena Plazzi, che tuttavia non aveva disposto un oscuramento, ma una semplice "acquisizione" di informazioni nell'ambito dell'indagine sulla cosiddetta "Federazione Anarchica Informale", e sui pacchi bomba recapitati a Romano Prodi. Con un "eccesso di zelo" l'ordine e' stato tradotto dall'FBI in un sequestro che non e' stato convalidato proprio perche' ha oltrepassato le richieste della magistratura.
A tutt'oggi i soggetti coinvolti non hanno potuto sapere quali sono le motivazioni ufficiali che hanno portato al sequestro degli hard disk con il conseguente oscuramento dei siti. Sono molte le preoccupazioni che nascono da questa vicenda, e tutte riportano ad un'altra stagione dei sequestri, quell'"Italian Crackdown" che nel 1994 ha portato alla chiusura di moltissime realta' attive nella comunicazione sociale dell'epoca, con decine di raid della guardia di Finanza e il sequestro di prese multiple di corrente, monitor, tappetini per il mouse, stampanti e altro materiale assolutamente inutile per le indagini, che si sono comunque risolte con un nulla di fatto, lasciando integri e inviolati i veri circuiti sotterranei della pirateria informatica attivi all'epoca.
Si credeva, e a torto, che la stagione dell'ignoranza fosse ormai tramontata, e che oggi anche il piu' sprovveduto dei funzionari fosse in grado di comprendere che per indagare sulle attivita' elettroniche di un soggetto comunicativo basta effettuare una semplice copia dei dati contenuti in un computer.
Purtroppo anche nel terzo millennio gli elefanti camminano ancora nel negozio di cristalli, e per acquisire informazioni su un sito non si usano metodi efficaci e discreti, ma si e' deciso di colpire tutti i siti del network indymedia per controllarne uno, calpestando il diritto alla comunicazione e all'informazione di tutte le migliaia di persone che utilizzano quotidianamente i servizi informativi offerti dal network, sparso nei cinque continenti.
La storia dei sequestri elettronici nel nostro paese ha antiche radici, e dopo il crackdown italiano, che e' stata la piu' grande operazione di polizia informatica nella storia dell'umanita', le autorita' hanno compiuto altre azioni grossolane, che hanno lanciato messaggi intimidatori a tutti i cittadini che praticano su internet il diritto al dissenso attraverso la produzione dal basso di informazioni estranee ai circuiti commerciali.
L'8 maggio 1997 parte l'operazione "Gift Sex", una retata antipedofilia elettronica che stravolge la vita di molte persone, compresi capi scout e pediatri totalmente estranei ai fatti contestati, che vengono riconosciuti innocenti solo quando era ormai troppo tardi, e le accuse tanto infamanti quanto infondate avevano gia' devastato la vita di queste persone. Nessuno dei giornalisti responsabili di questa "pubblica gogna" sembra accorgersi che l'8 agosto dello stesso anno è lo stesso procuratore Italo Ormanni a sollecitare l'archiviazione dell'istruttoria, che non e' una notizia ghiotta quanto l'apertura di una indagine infondata.
Nel giugno dell'anno seguente il server della associazione per la libertà telematica Isole nella Rete viene messo sotto sequestro in seguito alla denuncia di una agenzia di viaggi, la Turban Italia, che aveva ritenuto inopportuno un messaggio elettronico dal titolo "Solidarieta' al popolo kurdo. Boicottiamo il turismo in Turchia", nel quale si segnalava che "i paradisi turistici decantati da Turban Italia sono soltanto oasi blindate. Tra l'altro è risaputo che agli affari della Turban è direttamente interessata l'ex premier Ciller, ispiratrice degli squadroni della morte che hanno provocato la morte di centinaia di oppositori, kurdi e turchi".
Tutto questo e' sufficiente per oscurare un intero server bloccando tutti i servizi di posta e i siti web ospitati dall'associazione "Isole Nella Rete", come se la pubblicazione di un presunto articolo diffamatorio fosse sufficiente per disporre il sequestro delle rotative di un quotidiano e bloccarne l'uscita in edicola.
Il 9 luglio 1998 sono le associazioni di Roma a subire le conseguenze dell'ignoranza telematica dei funzionari del comune: l'assessore alle reti civiche Mariella Gramaglia, che attualmente ricopre il ruolo di assessore alla comunicazione, chiude d'autorità e senza preavviso tutti gli spazi internet delle associazioni, assegnati all'interno dei progetti sperimentali. Il motivo della chiusura è una denuncia relativa ai presunti contenuti satanisti di alcune pagine ospitate dal comune di Roma, che porta all'oscuramento di tutti i siti delle associazioni ospitate dal comune: WWF, LIPU, Libera, Croce Rossa, Cgil università, Associazione per la Pace, Telefono Azzurro, Associazione italiana Carabinieri, Associazione italiana diritti dei bambini, Coro universitario di Roma e il Cipax, Centro Interconfessionale per la Pace.
Da un giorno all'altro tutte le pagine di queste e molte altre associazioni vengono oscurate senza nessuna spiegazione o preavviso da parte dei responsabili della rete civica romana.
Nel 2001 tocca al deputato Giulio Caradonna invocare l'oscuramento di un sito web. Caradonna, dirigente nazionale del MSI cita per diffamazione l'associazione "Isole nella Rete" con una richiesta di risarcimento danni di 125.000 euro a causa di un dossier antifascista pubblicato sul sito web del centro sociale romano La Strada, ospitato sul server della associazione.
Dopo una lunga battaglia legale, nella quale Caradonna invocava il "diritto all'oblio" del proprio passato politico, il 9 marzo 2004 e' arrivata la vittoria in primo grado: l'associazione vince, Caradonna perde ed e' costretto a pagare le spese processuali.
Dopo la censura politica, arriva anche quella militare: nel 2003 un consulente della Nato decide di citare in giudizio l'Associazione PeaceLink (www.peacelink.it) chiedendo 50.000 euro di danni per la pubblicazione integrale con citazione della fonte di un appello ecologista e antimilitarista gia' pubblicato su altri siti che il consulente in questione, segretario dell'associazione ecologista "Pro Natura", sostiene di non avere mai firmato, scegliendo stranamente di rivalersi in giudizio solo sull'associazione PeaceLink e non su altri siti che avevano pubblicato lo stesso documento.
L'esito di questa vicenda e' ancora da determinare. La cronaca dei bavagli elettronici prosegue fino ai giorni nostri, con le denuncie ai siti di movimento autistici.org/inventati.org, che nei giorni dei bombardamenti sull'Iraq avevano pubblicato sulle loro pagine un logo di Trenitalia con i carrarmati al posto dei trenini, per evidenziare il ruolo del trasporto ferroviario nelle azioni belliche.
Fortunatamente il 13 settembre 2004 il tribunale di Milano ha accolto il reclamo presentato dai mediattivisti, e tutte le accuse di Trenitalia sono state respinte al mittente. I giudici hanno riconosciuto ai responsabili dei siti il diritto "di manifestare in chiave satirica un evidente e severo giudizio critico sul contributo posto in essere dalla societa' alla movimentazione di mezzi militari e dunque all'indebita partecipazione del nostro Paese ad eventi bellici in ossequio a direttive politiche di parte".
Perche' le azioni giudiziarie per la tutela dell'onore e della reputazione hanno le conseguenze piu' gravi sui soggetti piu' deboli? Perche' le varie denunce per diffamazione che colpiscono quotidiani e televisioni non fermano rotative e antenne, e non hanno lo stesso potere invalidante e oscurante che invece colpisce i piccoli centri di comunicazione online?
Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi anche se internet e' davvero uno spazio libero di comunicazione o controinformazione o e' solamente uno spazio "tollerato", dove si puo' essere critici quanto si vuole, a patto di non dare troppo fastidio.
La liberta' di espressione in rete e tutti i diritti garantiti dall'articolo 21 della costituzione non sono dati acquisiti e immutabili, ma vanno declinati e difesi quotidianamente, ricordando l'attualissimo motto di Voltaire: "anche se non sono d'accordo con le tue idee, darò la vita affinchè tu possa esprimerle".
Carlo Gubitosa
Sociale.network