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Perche' gli U.S.A. non firmano il trattato sulle armi batteriologiche

Francesco Iannuzzelli27 luglio 2001

Nel 1972 fu firmato e poi ratificato da 141 paesi il trattato contro le armi batteriologiche; si trattava di un accordo comunque incompleto, perche' non prevedeva meccanismi di applicazione e di controllo, e nel corso di tutti questi anni si e' cercato piu' volte di proporre dei protocolli di attuazione che lo rendessero operativo. Proprio durante le recenti trattative a Ginevra per la raggiunta di un accordo sul protocollo di attuazione, gli Stati Uniti si sono rifiutati di firmarlo e sono di fatto usciti dalla trattativa.

Per capire le ragioni di questo rifiuto occorre andare indietro al 1972, quando questo trattato fu accettato, senza particolari obiezioni, da U.S.A., Russia e altri stati che in quel periodo stavano lavorando a progetti di armi batteriologiche. Il motivo per cui questo trattato fu firmato non era certo la tutela della popolazione mondiale; in realta' le armi batteriologiche erano considerate troppo pericolose per essere utilizzate in un conflitto armato, perche' praticamente incontrollabili, al punto da poter essere controproducenti. Se pensiamo al tipico mezzo di diffusione di queste armi, l'aria o i vettori biologici (mosche, zanzare, ecc), e' chiaro che non solo e' facile che non colpiscano il "bersaglio" (che sarebbero i militari dell'esercito nemico) ma e' altamente probabile che abbiano effetti collaterali. Alcuni di questi effetti sono, nella dottrina militare, irrilevanti o addirittura voluti (come colpire anche la popolazione civile o l'ambiente del paese nemico, vedasi Iraq e Jugoslavia), ma altri sono inaccettabili, come danneggiare le proprie truppe.

Piu' in dettaglio, analizzando l'evoluzione della strategia militare di questi ultimi anni, notiamo due aspetti.

Il primo riguarda il considerare l'ambiente e la popolazione civile come obiettivi strategici da colpire. Distruggere le risorse ambientali ed energetiche del paese nemico, contaminare l'ambiente con radionuclidi o inquinanti chimici, introdurre patologie cancerogene nella popolazione civile, non sono uno "spiacevole effetto collaterale", ma sono un obiettivo voluto e ricercato dai militari (e dai loro mandanti). In questo modo si mette in ginocchio il paese nemico a partire dalle sue stesse fondamenta e si avviano i presupposti per un controllo radicale. In pratica prima l'intervento "umanitario", e poi l'aiuto "umanitario" (con l'arrivo delle multinazionali farmaceutiche, degli aiuti economici, delle opere di ricostruzione) per completare l'opera di conquista del paese nemico. Cio' e' apparso con drammatica evidenza nelle ultime guerre che hanno visto impegnata la Nato (Iraq e Jugoslavia), con l'uso esteso di uranio impoverito e il bombardamento intenzionale di industrie chimiche prima, e nel caso jugoslavo con la penetrazione economica del paese da parte delle multinazionali statunitensi, mentre in quello irakeno, non essendo possibile, si e' avviato un feroce embargo economico, sempre con l'intenzione di colpire l'economia e la popolazione civile.

Il secondo aspetto riguarda pero' la massima attenzione al non dover perdere neanche uno dei propri soldati durante questi interventi "umanitari". Avendo la guerra assunto una valenza mediatica enorme, e' inconcepibile che questa struttura militare dall'immagine cosi' pulita, precisa e benevola, possa portare alla tragica morte anche di uno solo dei suoi attori. Spesso si usa il termine "chirurgico", parafrasando ancora l'intervento "umanitario" (in fondo il chirurgo interviene per il bene del paziente) e naturalmente non deve assolutamente succedere che il chirurgo si faccia male durante l'operazione, sarebbe una grave contraddizione. In questo caso vi sono stati alcuni errori di valutazione nell'uso dell'uranio impoverito e altre armi e ora si cerca di rimediare insabbiando la varie sindromi da esso derivate (quella del Golfo e quella dei Balcani), negando anche l'evidenza. Il fatto pero' che le truppe della KFOR statunitensi vengano schierate nella zona meno contaminata e' comunque indicativo.

In questo contesto le armi batteriologiche hanno evidentemente dal punto di vista dei militari grandi potenzialita' per quanto riguarda il primo aspetto, perche' sono in grado di colpire in maniera micidiale l'ambiente e la popolazione civile. D'altra parte sono (anzi, erano) troppo rischiose per il secondo aspetto, perche' la contaminazione potrebbe divenire incontrollabile e ripercuotersi contro gli stessi mandanti dell'attacco militare.

In questo scenario il trattato firmato nel 1972 aveva un senso perche' limitava un tipo di armi verso le quali l'interesse dei militari statunitensi e russi andava scemando. Al tempo stesso grazie a questo trattato si poteva giustificare un meccanismo di controllo (fatto anche con i bombardamenti) verso i cosiddetti "rogue states", gli stati "canaglia", che non potendosi permettere armi nucleari avrebbero potuto minacciare la sicurezza degli U.S.A. e degli altri stati con armi batteriologiche alla loro portata. Queste armi hanno infatti un costo di produzione e mantenimento decisamente inferiore rispetto a quelle nucleari, inoltre non e' necessario avere missili balistici per poterle lanciare, cio' puo' essere fatto anche con un'operazione terroristica difficile da intercettare.

Ora pero' la situazione e' cambiata dal 1972 e di parecchio.

C'e' infatti l'ingegneria genetica che permette di manipolare i virus delle armi batteriologiche e quindi direzionarle e controllarle in maniera molto precisa.
E' possibile creare virus nuovi, sconosciuti al nemico che quindi non sa come difendersi.
E' possibile fare in modo che le armi colpiscano solo determinate etnie.
E' possibile inserire all'interno dei virus dei marcatori genetici che li fanno attivare solo in particolari condizioni (armi batteriologiche a tempo).
E' possibile creare dei vaccini in grado di inibirle quasi completamente, che permettono di proteggere le proprie truppe e ricattare quelle nemiche.
E' possibile direzionarle non solo contro la popolazione, ma anche contro l'ambiente e le risorse alimentari, attuando una specie di embargo biologico impossibile da superare.

Non e' fantascienza, purtroppo. Nonostante l'accordo del 1972 le ricerche sono andate avanti in tutti questi anni: lo ha ammesso lo stesso Eltsin, mentre da parte U.S.A. ci sono miliardi di dollari stanziati dal Pentagono in questo campo (giustificati come prevenzione al possibile utilizzo da parte di terroristi). C'e' un rapporto della BMA (British Medical Association) di piu' di un anno fa, molti segnali inquietanti che giungono non solo dagli Stati Uniti. Infine c'e' un rapporto del Pentagono, del 1986 che dice espressamente: "Il DNA ricombinante e le altre tecniche di ingegneria genetica stanno definitivamente rendendo la guerra biologica una reale alternativa militare". Forse non ha neanche piu' senso continuare a chiamarle armi batteriologiche, oggi dovrebbero essere ridefinite come genetiche o biotecnologiche.

Ci sono poi altri aspetti da considerare, come il vantaggio tecnologico accumulato nel settore biotech da parte degli Stati Uniti e come il vantaggio economico di queste armi. Da un lato hanno costi minori di produzione, mantenimento e utilizzo rispetto all'arsenale nucleare (in piena crisi energetica, queste armi potrebbero quindi essere determinanti); dall'altro gettano le basi per quel controllo economico sul paese nemico che abbiamo descritto in precedenza.

E' in questo contesto che gli Stati Uniti stracciano l'accordo sulle armi batteriologiche, perche' finalmente si sentono in grado di poterle utilizzare.

Note: Per approfondimenti:
University of Bradford, Department of Peace Studies: Preventing Biological Warfare
Joint SIPRI-Bradford Chemical and Biological Warfare Project

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