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Appello per la riconversione dell'industria bellica

Quest'appello lo rivolgiamo in particolare ai lavoratori (ed ex lavoratori), del settore militare ma anche a tutti coloro che rifiutano le politiche espresse dalla maggior parte degli attuali organismi sovranazionali, e che a Genova si ritroveranno ancora una volta a manifestare per la pace e la libertà contro lo sfruttamento e l'esclusione, contro la brevettabilità del vivente per la diversità delle culture e l'universalità dei diritti
18 luglio 2001

"Non è più possibile separare i confini di un'alleanza militare da quelli dell'integrazione economica". Se non fosse già conosciuta, questa dichiarazione potrebbe essere attribuita al presidente Bush all'indomani dell'incontro dei paesi NATO, se non fosse però, l'ammissione di Regan in occasione dell'invasione di Grenada.

Alla luce della guerra celeste ed "umanitaria" scatenata contro la popolazione della Federazione Jugoslava, e della successiva (!!!) modifica del trattato che trasforma l'Alleanza da strumento difensivo ad una macchina bellica offensiva, il significato delle strategie NATO, deve essere compreso sulla base della nuova concezione imperiale che informa la politica dei paesi più industrializzati sotto l'egemonia statunitense, e la minaccia della guerra e il suo esercizio, strumenti sfruttati per fini produttivi, di lotta economica e di controllo sociale.

Ma oggi che il mercato è globale e non conosce frontiere nazionali, la "difesa" degli "interessi" nazionali non ha più limiti territoriali, e il "controllo" dei nuovi "vigilantes" si estende al "villaggio globale. La corsa agli armamenti è presentata come nuovo efficace deterrente contro un nemico evanescente che può essere ovunque e in nessun luogo. Di fatto, chi vuole assumere ignorando la democrazia, il governo giuridico della mondializzazione, vuole assicurare a sé il monopolio economico e culturale attraverso la creazione di meccanismi di inclusione ed esclusione, giustificando la preparazione anticipata della risposta militare alla reazione a questa ingiustizia, mediante lo sbandieramento della minaccia sempre latente di un nuovo nemico.

Questo controllo deve esprimersi anche in senso spaziale. Cos'è diventato infatti lo spazio, campo di battaglia per Star Wars, rete di sorveglianza radar che copre la terra come maglia elettronica (vedi Echelon), o laboratorio di produzione e di trasferimento di conoscenze, flusso organizzato d'informazioni, che opera per il bene comune? Il cosiddetto scudo antimissilistico non ha un significato solo simbolico: vuole intercettare e distruggere i missili balistici lanciati dal nemico prima che essi raggiungano l'obiettivo. Non importa se di nemici veri o presunti si tratti.

Diversi paesi si vanno dotando di armi nucleari e di distruzione di massa, di missili balistici a lunga gittata. Ma cancellando l'accordo Abm, questo scudo antimissilistico diventerà lo strumento che garantisce la superiorità militare assoluta di chi si fa guidare dall'idea di usare la guerra per dirimere i "conflitti di interesse". Essi vogliono poter colpire con i nuovi sistemi d'arma (senza escludere quelli nucleari) capaci di un ampio raggio d'azione (e con le nuove forze "professioniste" di rapido intervento a lunga proiezione), proteggendosi dalle reazioni dell'avversario mediante lo scudo spaziale. Lo sviluppo della difesa antimissilistica è stato definito un imperativo morale, in realtà servirà quanto meno, ad aumentare a dismisura le spese per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie militari, spostando così la sfida in campo tecnologico, servirà per decidere chi deve assumere il controllo dei processi innovativi nei settori d'avanguardia, non esclusivamente militari.

A questa logica che pretende di divenire "illimitata" in senso spaziale e temporale perché vuole dimostrarsi come necessaria ed eterna, è connessa la violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. Il settore delle esportazioni di materiale bellico ne costituisce un esempio eclatante. Questo campo è una giungla dominata esclusivamente dagli interessi economici in cui la corruzione è la regola: Africa e Caucaso sono le prime a subire le conseguenze del traffico delle armi leggere, ormai territori di una guerra civile alleata alla criminalità più ignobile, le loro popolazioni hanno visto la cancellazione dei principi umanitari. Un traffico che non risparmia le armi biologiche vietate da un trattato del 1972 firmato 143 paesi, ma non rispettato come ammesso dallo stesso Boris Eltsin.

Ma attenzione, oggi, nell'epoca della abolizione della guerra e dell'affermarsi della "prevenzione attiva", anche lo sviluppo di nuove armi convenzionali e dei mercati bellici, sono una minaccia. Per garantire una vittoria raggiunta col minimo di perdite amiche occorrono aerei, missili, navi, carri armati, strumenti elettronici ed informatici sempre più sofisticati. E l'esportazione di armi, indifferente alle locali corse agli armamenti, serve a spianare la via a nuove guerre con "funzione legislativa".

Segreto commerciale, segreto d'ufficio e precauzioni diplomatiche, sono alla base del traffico delle armi, gli Stati ne rappresentano tanto i produttori quanto i clienti, ed è per questo che non possiamo affidarci alle campagne anticorruzione di cui si fanno portavoce organismi internazionali quali BM, FMI e OCSE. Il loro obiettivo sembra essere una "buona" gestione della criminalità finanziaria.
In una condizione d'interdipendenza fra le nazioni, la produzione tecnologica applicata al militare avviene non solo attraverso i finanziamenti degli Stati nazionali, ma coinvolge più Stati insieme ai grandi centri di ricerca delle imprese. Questo pone un serio problema per quanto riguarda la possibilità di un controllo pubblico, in quanto aggiunge ai classici meccanismi della "segretezza " quello tipicamente commerciale dei "brevetti". Il controllo pubblico dei poteri di cui dispongono le lobby dei tecnici diviene essenziale per una società democratica. Se un tempo a scuotere le coscienze del mondo scientifico erano intervenuti scienziati riuniti nel Manifesto Russell-Einstein, oggi altri scienziati hanno posto il problema dell'accesso pubblico ai risultati scientifici.

Anche nel recente passato, molte persone di tutto il pianeta si sono opposte a queste logiche. Tra queste persone per noi è importante ricordare i lavoratori che nelle industrie belliche (oggi si deve parlare di produzione militare-civile) hanno, in diversi luoghi del mondo, individualmente o collettivamente, espresso il dissenso contro questa produzione. La loro lotta si è rivolta contro le lobby militari industriali, contro il segreto militare e per il diritto alle informazioni, per il controllo e la limitazione delle esportazioni d'armi, per la riconversione e la diversificazione. Ogni tanto questa lotta riesce ad emergere anche nei circuiti istituzionali, quest'anno un'operaia della Valsella, ha avuto il riconoscimento di Cavaliere da parte del Presidente Carlo Azelio Ciampi come "volontaria della campagna contro le mine antipersona". Ma, come si diceva , altri gruppi di lavoratori e lavoratrici hanno condiviso queste rivendicazioni, hanno sostenuto queste lotte. E' dalla lotta di uno di questi gruppi che nasce l'Agenzia per la riconversione bellica in Lombardia, unica in Italia. Ed anche grazie all'impegno di lavoratori del settore militare che in altri paesi europei ci sono centri di ricerca per la riconversione industriale: l'ACP in Gran Bretagna e lo SCHIFF e BIFF in Germania, il COPRI in Danimarca, il DRPC in Svezia.

COSA VOGLIAMO

I risultati della scienza e la loro applicazione tecnologica sono sempre stati al centro dell'interesse militare, per questo noi vogliamo esercitare un controllo sociale su ciò che avviene nelle industrie, nei centri di ricerca e nei laboratori industriali. La logica della privatizzazione della conoscenza, sottesa alla normativa sui brevetti, mette a repentaglio non solo la salute e la vivibilità dell'ambiente, ma anche la pace e la sicurezza di miliardi d'esseri umani.

Chiediamo l'abolizione del segreto militare e più in generale il rifiuto della segretezza e la diffusione delle notizie scientifiche e tecniche, queste notizie devono essere pubbliche in forma accessibile alla comprensione di tutti.

Chiediamo la drastica riduzione delle spese militari e la demilitarizzazione delle politiche industriali degli Stati, scienza e sviluppo tecnologico devono servire a favorire il benessere dell'umanità intera e a garantire i delicati equilibri ecologici.

Chiediamo la riduzione della esportazione di armi a partire dalla piena applicazione dello spirito originale della Legge 185/90 contro gli attacchi arrivati da più parti anche con la scusa della sua armonizzazione e superamento a livello europeo.

Chiediamo la piena attivazione dell'Agenzia regionale per la riconversione dell'industria bellica in Lombardia. (legge regionale n. 6 del 1994) Questo organismo ha sino ad oggi sofferto limitazioni dovute ad opportunismi politici, ma uno dei suoi principali obiettivi consiste nell'elaborazione di studi e documentazioni sulle prospettive di riconversione del settore, con riferimento alle implicazioni occupazionali nonché finanziare iniziative di diversificazione e riconversione al civile. Le sue iniziative non solo devono riprendere, ma devono darsi la corretta dimensione internazionale. Parallelamente chiediamo che a livello nazionale e internazionale (e almeno a livello europeo) siano definiti (o rilanciati) programmi di sostegno alla riconversione al civile anche attraverso l'istituzione di Agenzie per la loro gestione. La riconversione delle produzioni militari ed il controllo sulla utilizzazione finale delle tecnologie ad uso duale, sono obiettivi concretamente realizzabili solo attraverso la consapevolezza e la mobilitazione dei lavoratori, e di tutto il movimento che si batte contro la natura guerrafondaia del processo di globalizzazione.

Chiediamo la possibilità per tutti i lavoratori in forma non discriminatoria, di sesso, di razza, di religione, di poter decidere circa la loro responsabilità sulla finalità della loro produzione, di avere garantita una vita dignitosa indipendentemente dalla prestazione lavorativa (reddito di cittadinanza). In particolare occorre sia riconosciuto il diritto all'obiezione di coscienza alla produzione militare e dunque la garanzia del mantenimento del posto di lavoro degli obiettori.

Chiediamo, infine, trasparenza, e dunque l'assicurazione della possibilità da parte della società civile di poter esercitare un reale controllo sulle norme e gli indirizzi operativi relativamente a:
- UEO e PESC
- RAPPORTI ONU
- CONTROLLO EXPORT ARMI (legge 185/90)
- TRIBUNALI INTERNAZIONALI E TUTELA DIRITTI
- STAZIONE SPAZIALE CIVILE INTERNAZIONALE
- SICUREZZA NUCLEARE
- ORGANIZZAZIONE E PERSONALE MILITARE
- NATO E PARTENARIATO PACE
- MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO
- COMPARAZIONE NEL CAMPO DEGLI ARMAMENTI E DELLA DIFESA MILITARE
- CONTROLLO PARLAMENTARE SU QUESTIONI MILITARI
- BILANCI DI PREVISIONE DELLO STATO, ART. SPESE DIFESA
negoziati: LIMITAZIONE O MESSA AL BANDO ARMAMENTI
- INIZIATIVE OSCE

Noi vogliamo il pieno rispetto dell'art. 11 della Costituzione Italiana: "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".

Promotori dell'appello: Marco Tamborini membro Agenzia regionale per la riconversione, Elio Pagani obiettore di coscienza alla produzione bellica, Rossana De Simone ex lavoratrice Aermacchi, Giovanni Bertinotti operaio Aermacchi, Claudio Carretta lavoratore Agusta.

Aderiscono all'appello: Francesco Iannuzzelli associazione peacelink-sez.disarmo, Achille Lodovisi ricercatore IRES, Giulio Preve ricercatore.

Per adesioni aggiungere all'elenco e inviare a: rossana123@libero.it

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