L'America presenta il conto: 5400 miliardi per un mese di raid
LONDRA - C'e' un aspetto nella guerra della Nato contro la Serbia che e' rimasto finora segreto: i costi. Non quelli umani, drammaticamente sotto gli occhi di tutti, ma i costi in senso stretto: le spese per i bombardamenti, cioe', e per un eventuale intervento con truppe di terra. Benche' i governi occidentali non abbiano rilasciato previsioni di spesa, il protrarsi del conflitto costringe a fare i primi conti: secondo la banca americana d'investimenti Lehman Brothers, infatti, un mese di bombardamenti costerebbe 5.400 miliardi di lire. Ma secondo un esperto intervistato dal Financial Times, la spesa potrebbe essere almeno doppia. E resta un mistero: chi paga?
Per quanto sembri strano, vista la portata dell'impresa, non esistono infatti regole all'interno della Nato per la divisione delle spese tra i Paesi membri. Attualmente il maggior onere e' sulle spalle degli Stati Uniti, visto che sono americani quasi tutti i missili cruise lanciati e due terzi della forza aerea in azione. Ma non e' detto che Washington voglia saldare l'intera sua bolletta: nella guerra del Golfo gli Usa spesero 61 miliardi di dollari (110 mila miliardi di lire), ma ne recuperarono 54 dai Paesi che non diedero contributo militare, soprattutto Kuwait, Arabia Saudita, Germania e Giappone. Washington fara' altrettanto per l'intervento nel Kosovo?
Vediamo, intanto, le spese vive. "Lehman Brothers" calcola che ogni giorno si rovescino sulla Jugoslavia circa 30 missili cruise, che costano 1 miliardo e 800 milioni di lire ciascuno. Inoltre, ognuna delle 150 missioni aeree giornaliere scarica un missile o una bomba, al costo unitario di 180 milioni di lire. Inoltre va messa in conto la perdita di 20 aerei, da 60 miliardi di lire l'uno (anche se l'unico finora perso, l'F-117A Nighthawk, valeva 81 miliardi). Gia' questi sono conti difficili, perche' il costo originale di un pezzo non equivale al costo del suo rimpiazzo. Ma se si aggiunge la spesa per il personale militare (30 mila persone, per 1440 miliardi di lire al mese) e quella per l'intenso sfruttamento dell'aviazione (che comporta manutenzione straordinaria) i costi vanno alle stelle. Se poi bisogna mandare le truppe, le cifre si moltiplicano.
La breve guerra del Golfo costo' infatti 183 mila miliardi di lire (un settimo della lunghissima guerra del Vietnam), anche se i combattimenti a terra durarono meno di una settimana. Se truppe della Nato dovessero entrare oggi in Jugoslavia, con o senza l'accordo di Milosevic, l'intervento comporterebbe oneri simili. E questo sarebbe solo un aspetto: scopo dichiarato della Nato e' infatti quello di proteggere gli abitanti del Kosovo e, poiche' quasi meta' della popolazione e' gia' fuggita, di riportarli nelle loro case. Gia' sfamare per tre mesi 650 mila profughi, secondo il Programma alimentare mondiale dell'Onu, costerebbe 430 miliardi di lire. Poi ci sarebbero le spese sanitarie e quelle per dare un tetto (o una tenda) ai rifugiati. E quanto costerebbe, poi, riportare a casa i kosovari? L'operazione sarebbe possibile, dice Williams, solo se si varasse un "piano Marshall" per i Balcani, che comprendesse Kosovo, Albania, Macedonia e Montenegro. Comunque, secondo i calcoli di Lehman Brothers citati dal Financial Times, ci vorrebbero in media 20 mila dollari per una famiglia di quattro persone che volesse rientrare tra le proprie mura: e poiche' praticamente tutti gli abitanti del Kosovo sarebbero ridotti al ruolo di rifugiati anche dopo un breve conflitto di terra, va messa in conto l'intera popolazione di due milioni di kosovari. Prevedendo poi un aiuto per il primo anno, si arriva a oltre 12 miliardi di dollari, cioe' oltre 22 mila miliardi di lire.
E poi bisognerebbe ricostruire le infrastrutture, dalle strade ai ponti, dalle telecomunicazioni agli edifici pubblici... Quella che e' gia' una catastrofe umanitaria diventerebbe, infine, una catastrofe finanziaria.
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