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L’uranio delle bombe ci uccide

Il dramma dei serbi a Pancevo: 10 mila tumori
Giuseppe Zaccaria
Fonte: La Stampa - 21 dicembre 2000

Forse l’uranio delle decine di migliaia di bombe lanciate un anno e mezzo fa sulla Jugoslavia si definiva «impoverito» per il contesto che era destinato a produrre. Chi ha inventato la definizione pensava forse che simili armi fossero destinate a cadere solo sugli angoli più poveri del mondo: le sabbie irachene, lo squallido Kosovo, o questa fetida area industriale ai confini della Vojvodina.

Magari, una volta piovuti dal cielo, questi ordigni avevano il compito di impoverire definitivamente un luogo, una regione, uno Stato. Forse di determinare addirittura le esistenze di generazioni sempre più povere. Forse però è arrivato il momento di mettere da parte i «forse» e i «chissà» per prendere atto di una realtà infernale.

Signori medici, magistrati e generali: trascurate per un momento le dispute parascientifiche sulle morti dei soldati e venite a Pancevo, vertice del Triangolo Nero. Qui scoprirete che a causa dell’uranio impoverito, del nitrossido dioxide, del cadmio e di tutta la valanga di porcherie rovesciata dalla guerra su questi territori, non si registrano alcune morti ma un’ecatombe.

Dica, signor Zafirovic: è vero che in un anno a Pancevo le morti per tumore o leucemie sono aumentate del 70%? «Ecco la solita balla». Un’esagerazione? «No, una balla per difetto. I decessi sono aumentati del 500%». Ivan Zafirovic nella municipalità di Pancevo è ciò che da noi si definirebbe l’assessore all’ecologia, e come esponente dei Verdi lavora sulle problematiche ambientali da 13 anni. Si era già pericolosamente esposto durante il regime di Milosevic, adesso dopo la «svolta democratica» apre i rubinetti della frustrazione. «Prima della guerra - racconta - questa regione già registrava un alto numero di tumori e di leucemie: duemila all’anno, a causa delle numerose fabbriche chimiche e delle pessime condizioni di sicurezza. Adesso, dopo i bombardamenti e gli incendi degli impianti i casi di neoplasie sono schizzati in alto fino a toccare i diecimila. E per la prima volta si nota un aumento di simili malattie anche fra i giovanissimi. Uno è morto proprio ieri nel nostro ospedale, aveva 13 anni...».

Poco prima, all’università di Belgrado, il professor Vukasin Pavlovic, decano all’istituto di Scienze Politiche ci aveva mostrato alcune mappe di prossima pubblicazione: «Vede? Abbiamo colorato in rosa le aree sottoposte a bombardamenti meno intensi, in rosso quelle più martellate, in nero le zone su cui ogni giorno si sono rovesciati più di 130 attacchi aerei per un periodo dai 51 fino ai 68 giorni consecutivi...». Quelle mappe, ironia della storia, stanno per essere pubblicate grazie a un finanziamento inglese, della stessa nazione che più di ogni altra sosteneva i bombardamenti.

Nella divisione accademica fra «ottimisti» e non, Pavlovic si schiera con la seconda categoria. Gli ottimisti considerano quella jugoslava solo una catastrofe spaventosa, lui e molti altri una catastrofe irrimediabile. I più grandi intellettuali di Serbia hanno appena fondato un’associazione, «Belj Angeo» - Angelo Bianco - che tenterà di fronteggiare il problema. Sulle mappe la zone più scura è quella del Kosovo, ma fra Serbia e Vojvodina il Triangolo Nero si colloca nel cuore del territorio. I suoi vertici sono Belgrado, Novi Sad e Pancevo. «Anche se non amo parlare di cifre prima di avere un quadro completo - dice il professor Pavlovic - posso anticiparle fin d’ora che nessuno si aspettava nel dopoguerra jugoslavo una mortalità così alta. Sto già tentando di immaginare che cosa accadrà agli albanesi del Kosovo...».

Ma dove sono, se esistono, le cifre di questa ecatombe? Da Belgrado il professor Pavlovic dice: «Per avere una stima attendibile bisognerebbe rivolgersi ai militari, e le fonti militari ancora tacciono. Io posso dirle quel che tutti hanno sperimentato: a Belgrado, fra settembre e novembre scorsi, per far seppellire un proprio caro bisognava aspettare anche una settimana. Era in atto una catena di decessi post-bellici che nessuno aveva previsto. D’accordo, persone anziane che non avevano retto allo stress, malati cronici che non avevano potuto curarsi ma anche molti, molti altri...». Zafirovic fornisce una spiegazione più articolata: «Delle morti a catena, finora i medici non hanno parlato per due ragioni. La prima era la pressione del regime, ancora in atto un mese fa. Il secondo motivo è ancora valido: nessuno vuol essere accusato di aver creato panico».

A Pancevo i Verdi avevano cominciato un’attività di ricerca già durante gli ultimi mesi del regime, partendo da una circostanza strana eppure visibile a tutti: da molti mesi morivano i cani, carcasse di animali nelle campagne, ai bordi delle strade, appariva intuitivo il fatto che quelle bestie vivessero più degli uomini a contatto col terreno. Dai cani alla selvaggina il passo è stato breve. Dice Pavlovic: «L’uranio impoverito lanciato sull’Iraq colpì in gran parte distese sabbiose, eppure negli Usa si discute del fatto che 80 mila soldati possano essere stati infettati. Nessuno immagina che cosa possa provocare lo stesso inquinamento in un ecosistema diverso, ricco di boschi, di specie animali, di acque che scorrono e trascinano residui...».

Da Novi Sad, terzo vertice del Triangolo Nero, un altro assessore ecologista, Nikola Aleksic, descrive la situazione in termini più ampi: «Già durante i bombardamenti dicevo che la Nato non stava bombardando solo la Jugoslavia ma l’Europa, le particelle di uranio impoverito sono pericolose solo da vicino ma restano in sospensione, vengono trasportate dal vento, rimangono nocive per 4 mila anni. Noi aspettiamo sconsolati che i veleni penetrati nel terreno raggiungano le falde acquifere sotterranee. Tutto ciò dovrebbe avvenire entro 3 anni dal momento del disastro: dagli ultimi bombardamenti sono trascorsi 19 mesi».

Un’altra fonte che preferisce non esporsi ci ha fornito una cifra: sarebbero 192 i soldati jugoslavi ricoverati negli ospedali militari a causa di tumori o leucemie. Il numero dei civili che hanno preso parte alla guerra come «richiamati» e oggi soffrono di immunodeficienze non si calcola.

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