Soldati in Afghanistan ammalati per l'uranio
Rispunta lo spettro dell'uranio impoverito per i militari italiani in missione all'estero. E lo fa tingendosi subito dei colori del giallo. Ad appiccare il fuoco della polemica, questa volta, è stato il deputato del Carroccio Edouard Ballaman, con un'interrogazione al ministro della Difesa Antonio Martino firmata anche dai leghisti Federico Bricolo e Cesare Rizzi.
L'accusa è di quelle pesanti: «Già otto militari della missione di pace `Enduring Freedom' in Afghanistan, sono stati rimpatriati e inviati presso il reparto oncologico dell'ospedale di Siena con i sintomi registrati per i militari reduci dal Kosovo e imputabili agli effetti dell'esplosione di proiettili all'uranio impoverito». Affermazioni che riportano a galla l'annosa querelle sugli effetti dell'uranio impoverito su civili e militari, combattuta da anni a colpi di studi scientifici, commissioni ad hoc e richieste di risarcimenti. Ballaman chiede a Martino di far sapere «quanti militari impiegati nelle missioni di pace in Afghanistan e in Iraq sono rientrati per ragioni di salute e quanti di questi sono curati per patologie di tipo oncologico». Il deputato richiede inoltre che siano rese note le misure di sicurezza adottate dai nostri militari schierati nei due paesi alla luce dell'esperienza dei reduci dei Balcani. L'uomo del Carroccio non si ferma qui, e auspica una verifica sul posto sui reali effetti dell'uranio impoverito tramite l'invio di specialisti. Ma il pezzo forte dell'interrogazione arriva nelle ultime righe dove, in un crescendo di accuse e ipotesi di reato, si chiede al ministro Martino di comunicare «quali sono le iniziative che il ministero intende adottare affinché da un'accusa di omicidio colposo», prevedibile in caso di una singola morte, «non si configuri - visto il numero dei decessi - un'ipotesi di strage».
Puntuali e immediate sono arrivate le smentite dei diretti interessati: per il comando italiano in Afghanistan nessun soldato è rientrato in patria per farsi curare; per il professor Nobile, del reparto oncologico dell'ospedale di Siena, nessun paziente con le stellette è giunto dal paese asiatico; al ministero della Difesa, degli otto soldati non sanno nulla e sono in corso verifiche. Falco Accame, presidente dell'Associazione nazionale vittime arruolate nelle forze armate, cerca di fare chiarezza nel groviglio di accuse e smentite: «I nostri militari sono in Afghanistan da troppo poco tempo e i tempi minimi di incubazione del tumore sono abbastanza lunghi. E' perciò improbabile che eventuali patologie dei soldati siano da collegare alla permanenza in Afghanistan. Stesso discorso per l'Iraq, dove gli italiani sono arrivati da poche settimane». Secondo Accame, gli italiani che partecipano alla missione `Enduring Freedom' non corrono pericoli: «Sia in Afghanistan che in Iraq sono state adottate misure di protezione che garantiscono al 100% la salute dei militari. Se una minaccia di contaminazione esiste, potrebbe provenire dall'uranio naturale, più potente di quello impoverito, che gli americani hanno utilizzato in Afghanistan. Ma bisognerebbe verificare se i nostri soldati hanno operato nelle zone dove l'uranio naturale è stato impiegato. Rimane poi la possibilità che i soldati in missione in Afghanistan abbiano già partecipato ad altre missioni, ad esempio in Kosovo o in Somalia, quando ancora non esistevano misure di protezione adeguate».
L'ipotesi dell'utilizzo di uranio naturale contro il regime dei talebani è smentita da fonti ufficiali del ministero della Difesa italiano, che la definiscono assai improbabile anche se non la escludono a priori. L'uranio naturale è arricchito artificialmente per essere usato nei reattori nucleari. Sebbene la sua radioattività sia molto maggiore rispetto a quella dell'uranio impoverito, esso non aumenta la capacità di penetrazione dei proiettili. Resterebbe quindi un mistero la ragione per cui gli Usa avrebbero fatto uso della versione arricchita della sostanza. Come resta il mistero sulla notizia degli otto soldati italiani rispediti a casa per accertamenti, oggetto dell'interrogazione dei tre leghisti. Di certo c'è solo l'ennesima divisione all'interno della maggioranza, con la Lega che punta il dito contro il ministro Martino.
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