Il “Relativismo nucleare” di Washington
La questione del programma nucleare iraniano sembra essere avvolta da un alone di isteria: il dito minaccioso puntato dell’amministrazione Bush e la sua opposizione alla proposta russa di una riunione tra Usa, Ue, Russia e Cina sulla questione del nucleare iraniano solleva un clamore ancor più marcato rispetto a quello già posto in essere dalla situazione in sè.
L’atteggiamento degli Usa nei confronti del governo di Amadinejad, ritenuto "nemico numero uno degli Stati Uniti" dal Segretario di Stato Rice, sebbene l’espressione sia stata accortamente rimaneggiata dal Presidente Bush, solleva spontanee o forse scontate riflessioni su quello che qualche mese fa è sembrato essere una sorta di rinnovato approccio nei confronti del tema della proliferazione nucleare da parte della stessa amministrazione Bush.
Infatti con la dichiarazione congiunta indo-statunitense del 18 luglio 2005, attraverso la quale è stato ripreso il trasferimento di tecnologie americane nell’ambito del programma nucleare civile all’India, è emerso una sorta di “relativismo nucleare” della politica di Washington che nel corso di questi ultimi due decenni è stata orientata verso l’isolamento di quei paesi non aderenti al Trattato di Non Proliferazione (TNP), sostenendo ad ogni costo che l’assistenza tecnologica si limitasse esclusivamente al settore civile: partendo dal presupposto che non è più possibile evitare la proliferazione nucleare e che si registra l’emergere di nuovi attori sulla scena internazionale, i quali spingono verso l’elevazione del proprio status attraverso l’adozione di specifici programmi nucleari militari, il nuovo orientamento statunitense lascerebbe emergere un approccio selettivo nei confronti degli stati proliferatori o potenziali tali .
Ricordiamo a tal proposito che l’Atomic Energy act (Aea) così come emendato dal Nuclear Non-proliferation Act del 1978, che disciplina l’atteggiamento degli Usa in materia di trasferimento di tecnologia nel settore energetico nucleare verso quei paesi che non hanno intavolato accordi di salvaguardia con l’Aiea, o che non sono firmatari del TNP, ma proliferatori di fatto, subordina l’edificazione di rapporti di assistenza tecnologica e scientifica degli Usa alla presenza di accordi di salvaguardia e all’esplicita rinuncia da parte dello stato, supportato tecnologicamente, alla compattazione di un arsenale atomico. Essendo chiara a tal riguardo la posizione del governo di Delhi che da un lato non risulta essere firmatario di accordi di salvaguardia né tanto meno intende rinunciare ad un proprio arsenale nucleare, la contraddizione è insita nella questione in esame: in questa congiuntura sui generis soltanto l’intervento diretto del Presidente Bush avrebbe potuto legittimare l’accordo qualora non sussistessero le condizioni previste dall’Aea, e qualora fosse possibile giustificare il fatto che l’accordo in esame sia in grado di poter garantire il perseguimento degli obbiettivi di contenimento della proliferazione nucleare.
L’originalità dell’accordo indo-statunitense comporta inevitabilmente delle ripercussioni anche all’interno nel Regime Internazionale dei fornitori nucleari il Nuclear Suppliers Group (NSG) all’interno del quale gli Usa si sono impegnati ad assistere tecnologicamente soltanto quegli stati le cui condizioni tra l’altro richiamavano le medesime precondizioni dell’Aea, e gli Usa ora si trovano a dover intervenire all’interno del regime per ottenere il consenso per l’implementazione dell’accordo del 18 luglio, non essendo state rispettate le precondizioni di base per poter intavolare accordi di collaborazione.
L’approccio selettivo di Washington oltre a compromettere il ruolo e la coerenza di un importante regime internazionale quale il NSG andrebbe a compromettere la congiuntura geopolitica non solo regionale ma internazionale, in virtù dell’integrazione dell’India nel club dei paesi nucleari parte del regime di non-proliferazione: la stessa struttura del sistema posto in essere dal TNP potrebbe subire duri colpi.
In questo quadro a tinte sfumate quale potrebbe essere la reazione di paesi quali la Corea del Nord e l’Iran? Un’aperta e roboante “condanna”da parte di questi paesi, ovviamente in forme diverse, di quella che è la selettività del modus operandi degli Usa in materia di collaborazione tecnologica nucleare che muta a seconda di quelli che sono gli interessi e gli attori coinvolti. La categorizzazione tra bombe buone e bombe cattive potrebbe inasprire le tensioni in materia di volontà di elevazione dello status nucleare di molti stati.
Gli Usa mantengono alta la guardia e i toni nei confronti del regime di Pyongyang e di quello di Teheran e sembra che perseguano una forma di “disarmo a metà”, adducendo la critica possibilità che un Iran dotato di armi nucleari legittimi una corsa proliferante di molti altri paesi in primis la Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Indonesia, Egitto, Sudafrica, Brasile e Argentina, paesi in cui l’irrazionalità di gruppi autonomi e con velleità terroristiche potrebbe ricreare una condizione ancor più spaventosa di tensione internazionale, ignorando però un chiaro aspetto, vale a dire che questa tipologia di “gruppi irrazionali” già prolifera in modo abbondante nei nove paesi possessori di armi nucleari de facto e de iure.
Qualora l’Iran dovesse accedere ai ranghi del club nucleare la sua potenza geopolitica ne risentirebbe notevolmente, così come i tratti del suo storico nazionalismo che spinge il governo ad accrescere il proprio ruolo in chiave regionale, al di là di quelli che sono gli inquietanti tratti della retorica del suo Presidente che in quanto retorica necessita di un’ovvia distinzione da quello che è lo stato di cose reale.
Le armi nucleari all’Iran oscurerebbero ulteriormente la forza militare americana e l'atteggiamento duro degli Usa mette in evidenza non esclusivamente il fatto che tale propensione di Teheran potrebbe rappresentare una forma di minaccia alla pace e alla sicurezza globale, ma lascia emergere la relatività dell’approccio alla questione nucleare in esame, approccio contraddistinto da sfumature diverse all'interno del quadro composto da diversi pesi e misure adottati dalla nuova strategia in materia nucleare collaudata dagli Usa.
M. Martellini e A. Plebani “Bombe ‘Buone’ e Bombe ‘Cattive’”, Limes 1/2006.
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