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Le triangolazioni delle ecomafie tra rifiuti e armi

30 maggio 2006
Pietro Orsatti

Di seguito alcuni brani degli atti ufficiali della Commissione Bicamerale d'inchiesta sulle Ecomafie. Si parla di traffici internazionali di rifiuti illeciti, di tringolazioni con il traffico illegali di armi, di intrecci fra affari (e a volte politica) e criminalità organizzata.

"La Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituita nella precedente legislatura si era occupata del fenomeno dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi, anche radioattivi. Evidenti segnali di allarme si coglievano in alcune vicende giudiziarie, da cui peraltro era emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico di armi. In particolare, l'inchiesta condotta dalla procura di Lecce aveva individuato il cosiddetto "progetto Urano", finalizzato all'illecito smaltimento in alcune aree del Sahara di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché « di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia ed all'illecita gestione degli aiuti del Fai (oggi direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo). Il progetto (già citato dalla precedente Commissione dinchiesta) prevedeva il lancio dalle navi di penetratori (cilindri metallici a forma di siluro), caricati con scorie radioattive vetrificate o cementate e racchiuse in contenitori di acciaio inossidabile che si depositavano sino a 50-80 metri al di sotto del fondale marino; in alternativa, si
affondava la nave con l'intero carico pericoloso, simulando un affondamento accidentale e lucrando, così, anche il premio assicurativo, il che è stato confermato dalle indagini aventi ad oggetto alcuni naufragi assai sospetti di navi assicurate dalla Lloyds di Londra, verificatisi nel Tirreno e nello Ionio, di cui diremo oltre. Il progetto contemplava anche la vendita di alcuni ordigni bellici (le telemine) ai Paesi del Medio oriente, da nascondere in profondita` marine mediante navi Ro-Ro - le stesse navi utilizzate per affondare le scorie radioattive - e col sistema appena descritto"(Relazione finale XIII legislatura).

Questo tipo di traffici è stato per decenni strettamente connesso all'area ligure, come riportano gli atti di una delle missioni conoscitive della commissione alla fine degli anni '90. Un caso emblematico il caso della discarica di Pitelli a La Spezia. "L'attività illecita consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe a danno di enti pubblici e privati, ai quali venivano fatturati costi di smalti mento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico-nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, cominciate nel 1975 (quando cioè nasce la discarica), erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario. (...) A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi acquisiti dalla Commissione (...) le illegalità commesse dai vari organi amministrativi competenti al controllo (...)".

Ma per la Liguria non si parla solo del caso Pitelli, anzi: "le indagini che coinvolgono la città di La Spezia, in merito ai casi delle cosiddette "navi a perdere" e delle "navi dei veleni", che proprio in quel porto sarebbero state caricate di rifiuti prima di essere le une affondate deliberatamente nel Mediterraneo e le altre inviate nei Paesi in via di sviluppo per smaltimenti illeciti di rifiuti pericolosi. Per quanto riguarda tali gravi fatti, anzi, si deve registrare il nuovo allarme che l'autorità giudiziaria ha ritenuto di esplicitare nel corso del recente convegno sul "Ciclo dei rifiuti in Italia" (...) a proposito della ripresa delle spedizioni di carichi illeciti verso l'Africa e l'America latina. Si tratta di denunce di particolare gravità, sulle quali questa Commissione vigilerà con la massima attenzione". Le segnalazioni di nuove spedizioni illecite di cui parlava la Commissione di Inchiesta, però, non avvenivano più da Spezia ma soprattutto da Genova dopo che un noto armatore aveva trasferito il suo terminal dalla prima alla seconda città, armatore già conosciuto e coinvolto con sue navi direttamente nel caso delle navi dei veleni alla fine degli anni '80.

I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni '90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del "doppio registro", in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori in relazione a sicurezza e carico. E allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali, sia per mancanza di personale che per direttive politiche. Ad esempio le Capitanerie di porto sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell'immigrazione clandestina che quello dei traffici illeciti di scorie industriali. Un esempio per tutti, la vicenda del mercantile albanese Korabi a metà degli anni '90. La nave parte da Spalato con un carico di materiali (rottami) ferrosi. Nello Ionio la Capitaneria di Reggio Calabria effettua un'ispezione. Non si sa per quale ragione gli ispettori utilizzano anche un contatore geiger – probabilmente grazie a qualche "soffiata" – e riscontrano radioattività nel carico. Non succede nulla, perché non si capisce, e la nave viene lasciata proseguire per Palermo dove è diretta. L'unica iniziativa dell'autorità calabrese è quella di informare dell'anomalia la Capitaneria siciliana che, dopo aver effettuato anche lei un'ispezione con tanto di contatore geiger, non autorizza la nave ad entrare in porto. Tre giorni dopo, al largo delle coste calabresi, la nave viene ispezionata dalla Capitaneria di Reggio e, sorpresa, non c'è più traccia di radioattività a bordo. Quindi, o nelle due precedenti ispezioni le autorità italiane si sono sbagliate oppure il carico fra Palermo alla Calabria (e la nave ricordo avrebbe impiegato tre giorni per fare un tragitto di poche ore) è finito tranquillamente in mare.

Quello della Korabi non è un caso isolato. Si ipotizza (sempre la commissione bicamerale) che davanti a Capo Spartivento (la zona presenta una fossa marina fra le più profonde del Mediterraneo) fra gli anni '80 e '90 sarebbero state affondate almeno 40 navi cariche di scorie. Più che nave carrette, contenitori di scorie per lo smaltimento illecito. Una di queste, la Rigel, è stata anche individuata grazie a un'indagine promossa dalla stessa Commissione e dalla magistratura competente. La ricerca è stata possibile grazie alle coordinate esatte (riportate accanto alla dicitura "la nave è affondata") ritrovate in un'agenda del capitano di un'altra nave naufragata e arenata sempre coste calabre: la Rosso, già Jolly Rosso appartenente all'armatore Fratelli Messina è molto conosciuta negli anni '80 come una delle "navi dei veleni" insieme alla Zanoobia e alla Karin-B implicate in un traffico internazionali di rifiuti fra Africa, Libano e Genova.

Si è parlato per almeno due decenni del triangolo Genova, La Spezia e Livorno per il traffico illecito di scorie e armi. Con infiltrazioni della mafia – ricordo che secondo la stessa magistratura uno dei settori di maggior guadagno del latitante Provenzano fossero i rifiuti e il loro smaltimento illecito -, implicazioni a tutti i livelli di istituzioni e imprese. Ricordo ad esempio che a Spezia si è arrivati al coinvolgimento addirittura di alti ufficiali della Marina Militare (un ammiraglio) che a quanto pare avrebbe dato in uso come area di stoccaggio provvisorio dei rifiuti in transito strutture dell'Arsenale spezzino.
Da questo quadro non stupisce la definizione fatta alla fine degli anni '90 dai comitati locali e dalle associazioni ambientaliste (Wwf e Legambiente in prima fila) della Liguria come piattaforma di interscambio per i traffici illeciti internazionali.

E oggi? La situazione, anche se sempre meno adeguatamente monitorata, prosegue a destare preoccupazione. Come preoccupa l'opposizione inusuale da parte di alcuni settori militari al dragaggio del canale d'ingresso al porto di La Spezia, dragaggio che, sia per le attività commerciale che quelle militari nell'area dell'arsenale viene definito come indispensabile.

Pietro Orsatti

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