Armi leggere, morti pesanti
Peggio di un'epidemia. Le armi cosiddette «leggere» - nelle quali rientrano pistole, revolver, fucili e carabine - continuano a mietere vittime in tutto il mondo. In un anno solo negli Stati uniti - secondo un rapporto shock presentato qualche giorno fa dalla lobby per la difesa dei minori Children's Defense Fund - sono rimasti uccisi più bambini e teen-ager che soldati americani durante i tre anni della guerra in Iraq.
Ma è tutto il pianeta ad essere sotto tiro. Ogni giorno sono mediamente 1000 le persone che perdono la vita a causa delle armi di piccolo taglio: 560 per omicidi criminali, 240 in circostanze legate a conflitti bellici, 140 per suicidi e il resto per morti causali. 640 milioni di armi in circolazione, una ogni dieci abitanti. Altre 8 milioni vengono prodotte ogni anno, insieme a 12 miliardi di munizioni, sufficienti a uccidere due volte tutti gli abitanti della terra. Tutto questo per un fatturato annuale che si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari, dei quali più di un miliardo destinato al traffico illegale.
«Numeri che non lasciano adito ad equivoci», secondo Riccardo Troisi della rete Lilliput che è intervenuto ieri ad una conferenza sulle armi leggere, svoltasi nella sala delle bandiere della Provincia di Roma, e che ha visto tra gli ospiti Fabrizio Battistelli di Archivio Disarmo, Gino Barbato di Amnesty Italia e il padre pacifista Alex Zanotelli. L'incontro ha voluto evidenziare un tema che proprio in questi giorni e fino al 7 luglio, sarà al centro dei lavori delle Nazioni unite a New York, dove è in corso una conferenza per verificare l'attuazione dell'accordo del 2001 sulle armi leggere. «Serve - ha sottolineato Troisi - un trattato di regolamentazione sul commercio di armi. Ma non solo. Il governo deve approvare una legge chiara che vieti al nostro paese di esportare armi nei paesi poveri».
Quello del commercio è infatti un primato di cui l'Italia non può andare tanto fiera, e che la vede seconda solo agli Stati uniti. Nel solo biennio 2004-2005, è aumentata del 22,6%, rispetto ai due anni precedenti, l'esportazione di armi di piccolo calibro made in Italy. Nel 2004 il fatturato era stato di 358 milioni di euro, nel 2005 ha raggiunto la cifra record di 410 milioni. Se è vero che i maggiori acquirenti restano, per circa 4/5, i paesi industrializzati, è altrettanto vero però che il restante quinto è diretto verso aree del mondo martoriate da guerre e da conflittualità interna, compresi alcuni paesi accusati dall'Onu e dall'Ue di violazione dei diritti umani. Un caso su tutti quello del Congo Brazzaville, che solo nell'ultimo quinquennio ha acquistato dall'Italia armi e munizioni per quasi 6 milioni e mezzo di euro. Una cifra troppo elevata per il piccolo stato africano, tanto da far pensare che un parte significativa di queste armi siano transitate nelle vicine zone di conflitto, a cominciare dalla Repubblica democratica del Congo.
Secondo il rapporto presentato sempre ieri da «Archivio disarmo», il fenomeno sarebbe il frutto delle carenze normative italiane. Da un lato, infatti, la Legge 185/1990 stabilisce precisi criteri e divieti per le esportazione di armi militari. Dall'altro, invece, le «piccole» armi sono sottoposte alla insufficiente normativa della Legge 110 datata 1975. Ciò implica gravi lacune e assenza di trasparenza, causate dalla preoccupazione di garantire la riservatezza commerciale delle imprese. A questo scopo «diventa prioritario - secondo il rapporto di Arvio Disarmo - colmare la lacuna nella giurisdizione italiana che impedisce che siano punibili i mediatori internazionali di armi da fuoco», anche se le esportazioni sono operate in violazione di embarghi, in particolare nel caso in cui i mediatori siano cittadini stranieri e le armi non attraversino il suolo italiano. Soprattutto dopo il caso eclatante portato alla luce dall'Espresso sulle nostrane pistole Beretta 92S esportate all'Inghilterra e finite in Iraq nelle mani della guerriglia.
Una mano tesa arriva dalla Provincia di Roma che, aderendo alla campagna Control Arms sulla sensibilizzazione delle armi, lancia una mozione già approvata nel cosiglio provinciale qualche mese fa: «Respingere tutte le eventuali collaborazioni con aziende ed istituti di credito notoriamente implicate nel commercio internazionale delle armi». E' un inizio.
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