Servitù militari, la marina Usa non molla la Maddalena. Parisi: ancora non c’è una data per l’addio
L’addio degli americani all’isolotto sardo di Santo Stefano si sta rivelando più sofferto del previsto. Si favoleggiava che i sommergibili atomici della Us Navy si sarebbero allontanati definitivamente dalla base maddalenina a fine 2006. Dal 23 novembre 2005, data in cui i ministri della Difesa italiano e statunitense avevano dichiarato solennemente che lo «Zio Sam» si sarebbe riportato a casa navi ed ex hunter killer, molte voci si sono rincorse. In tanti hanno cercato di ipotizzare il momento preciso del commiato americano o di carpire informazioni, ma di ufficiale e confermato dalle autorità italiane, al momento non c’è nulla. O quasi. Mercoledì scorso il ministro della Difesa Arturo Parisi, rispondendo a una lettera dei senatori «dissidenti» più i Verdi Donati, Ripamonti e Pecoraro Scanio, ha ribadito che ogni decisione relativa a al «rilascio» della base di Santo Stefano, ovviamente, è da prendere in accordo con gli alleati d’oltreoceano e che, per sapere quando il tutto avverrà bisogna aspettare l’autunno. «Lo stato Maggiore della Difesa ha promosso incontri a livello tecnico con rappresentanti del Comando USA competente per definire tempistiche certe e brevi relative al rilascio della base di S. Stefano e consentire in tal modo la riconversione dell’area», scrive Parisi, ma «il carattere bilaterale della decisione al riguardo non mi consente oggi di stabilire la data certa». Il ministro comunque rassicura: «Il Governo si sente impegnato affinché l’individuazione di tale data avvenga nel più breve tempo possibile e comunque entro l’autunno». Che l’operazione di abbandono fosse complicata era già chiaro da tempo. A marzo scorso il comandante della Naval Support Activity, Gregory Billy, aveva fatto sapere al sindaco di La Maddalena Angelo Comiti che «per ragioni finanziarie e logistiche» la partenza non sarebbe avvenuta entro il 2006 e che «la Marina americana a Napoli e a Washington sta lavorando sul processo di chiusura. Nel momento in cui questo complicato processo sarà definito, verrà coordinato con le autorità italiane». Complicato processo, dunque, e tempi lunghi. Ma l’impegno da parte di Parisi è chiaro: «La Sardegna è storicamente interessata da servitù militari in termini significativamente superiori alla media nazionale», scriveva a fine luglio il responsabile della Difesa al presidente della Regione sarda Renato Soru. Per questo motivo è stato istituito un gruppo di lavoro Difesa-Regione «che già dai prossimi giorni inizierà ad affrontare le singole problematiche» definendo tempi e obiettivi, aggiunge Parisi nella lettera ai senatori. La prospettiva è quella di ridurre i gravami «sulla base di un’attenta opera di razionalizzazione».
Nella lettera e nella interrogazione rivolta al Governo e ad Arturo Parisi i dieci parlamentari hanno messo in rilievo anche un altro problema: «Il settore civile dell’aeroporto Dal Molin di Vicenza è in procinto di passare sotto il controllo delle forze armate statunitensi, che intenderebbero concentrare a Vicenza nuovi contingenti in arrivo da altri Paesi; a tal fine gli Usa prenderebbero in gestione per un numero imprecisato di anni buona parte dell’area civile dell’aeroporto, all’interno della quale dovrebbero essere costruiti alloggi per 2.000 militari e un imponente serie di strutture logistiche per una spesa pari a circa 800 milioni di dollari». Contro questo progetto la popolazione della zona ha raccolto 7mila firme in dieci giorni. Si teme uno sconvolgimento del territorio e il collasso della viabilità. «Le preoccupazioni riguardano anche l’eventualità che nella nuova base siano stoccati ordigni di cui è impossibile conoscere la natura e le modalità di utilizzo e il fatto che tra le strutture a supporto delle truppe statunitensi sarebbe previsto anche un centro di ricondizionamento per militari reduci da teatri di guerra - in particolare l’Iraq - che abbiano riportato disturbi psichici», continuano i senatori. La richiesta a Prodi e al ministro è di abbandonare l’iniziativa. Riconoscendo la gravità della situazione, Parisi risponde che il Governo «intende riconsiderare con gli Stati Uniti il progetto nel suo complesso, riaprendo nei tempi più brevi possibili un confronto al riguardo sulla base di un approfondimento delle problematiche relative all’impatto ambientale dell’insediamento, con particolare attenzione all’eventuale saturazione urbanistica, ai possibili livelli di inquinamento o ai probabili disagi di viabilità nella località vicentina, coinvolgendo le amministrazioni locali». Mauro Bulgarelli (Verdi-Insieme con l’Unione), primo firmatario della lettera, è soddisfatto: «Ritengo che la disponibilità mostrata dal governo costituisca un segnale positivo anche per il dibattito aperto da noi dissidenti sul tema della guerra, giacché esiste un fronte esterno, rappresentato dalle missioni all’estero, e uno interno, costituito da quel sistema di insediamenti militari che fungono da supporto logistico a quelle missioni».
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