Superbase militare Usa a Vicenza
Da dove partirà ogni attacco in Medio Oriente. E forse in Iran
Il 'pugno di combattimento', come lo chiamano al Pentagono, di un ipotetico conflitto con Teheran. Il cuore e il cervello della risposta bellica di pronto intervento sull'intero scacchiere mediorientale, Iraq e Afghanistan inclusi. La leggenda dell'esercito statunitense, la 173a Brigata aerotrasportata del capitano di 'Apocalypse now', rifondata e riunificata. Dove? A Vicenza, nel cuore della città. Alla caserma Ederle, dove già sono in 6 mila, e in un'intera nuova base da costruire entro l'area dell'aeroporto Dal Molin, 1.300 metri da piazza dei Signori e dalla Basilica palladiana. Prima tranche entro il 2007, a pieno regime entro il 2010.
Su scelte del genere una nazione magari si scanna, ma le fa inalberando e urlando le ragioni del sì e del no. Da noi invece la vicenda è stata tenuta sottotraccia per tre anni, e sulla decisione si sta ora imbastendo un delicato minuetto. Ma per carità, caro ministro, veda lei se dare o no agli americani il Dal Molin: la decisione le tocca per legge, e mai io anteporrei i nostri interessi locali a quelli sacri dell'Italia. Ci mancherebbe altro, caro sindaco, decida lei: non voglio imporre alcunché ai vicentini, mi rimetto anzi alla loro e alla sua volontà... Colombina e Mirandolina? Macché. I protagonisti sono due tosti politici come Enrico Hüllweck, forzista, ex deputato, da due mandati primo cittadino di Vicenza, e Arturo Mario Luigi Parisi (così si firma e così lo citiamo), ministro della Difesa dal piglio marziale, che passi in rassegna i picchetti o annunci l''arrivano i nostri' in Libano.
Come se in ballo ci fosse giusto qualche appalto da spartire, una manciata di voti di residenti e le solite melmose contrattazioni politiche col bilancino in seno alla maggioranza: si tratta invece, tout court, della completa riconversione della strategia e della dislocazione delle forze armate americane in Europa. La Vicenza americana già ora ospita, oltre ai 6 mila della Ederle, un quartiere blindato e vietato detto Villaggio della pace, vari magazzini in zona industriale, più due siti in provincia a Tormeno e Longare, incluso il Pluto dove per vent'anni sono stati stoccati missili in giardino a testata nucleare. Nella prevista riorganizzazione, acquisendo il Dal Molin attualmente aeroporto militare italiano in via di dismissione e insieme civile senza voli dopo un anno di funzionamento claudicante con i conti in rosso, Vicenza diverrebbe la più potente base americana in Europa. Qui verrebbe costruita la nuova 173a Brigata aerotrasportata, che triplica la forza e gli organici di quella ora divisa tra qui e le basi tedesche di Bamberga e Schweinfurt. Rafforzata come organico (è previsto l'arrivo di altri 1.800 militari) e come dotazioni: 55 tank M1 Abrams, 85 veicoli corazzati da combattimento, 14 mortai pesanti semoventi, 40 jeep humvee con sistemi elettronici da ricognizione, due nuclei di aerei spia telecomandati Predator, una sezione di intelligence con ogni diavoleria elettronica, due batterie di artiglieria con obici semoventi i micidiali lanciarazzi multipli a lungo raggio Mrls, quanto basta per cancellare una metropoli. A parte il nome della brigata, cambia tutto e la forza bellica cresce a dismisura.
Nelle parole del generale James L. Jones, comandante delle forze armate Usa in Europa, pronunciate davanti al Senato americano già nel marzo 2005, "la 173a Brigata aerotrasportata sarà ampliata in Brigade Combat Team", cioè una sorta di maglio mobile con la potenza di fuoco di una divisione, "e rimarrà in Italia, in prossimità della base aerea di Aviano, suo centro d'impiego primario. Usareur (U. S. Army Europe, ndr) ha piani per espandere impianti e infrastrutture nell'area di Vicenza, includendo le strutture militari americane all'aeroporto Dal Molin favorendone la crescita attraverso la ristrutturazione".
Si badi alla data: marzo 2005, un anno e mezzo fa. Il generale ha già pronti tutti i piani per ristrutturare il Dal Molin, e infatti chiede al Senato i fondi per attuarli. Una svista? Arroganza? No. L'allora premier Silvio Berlusconi aveva dato il suo benestare, non è chiaro se con una pacca sulle spalle o con un impegno segreto, visto che nessuno ha fino a ora esibito protocolli sottoscritti da entrambi i paesi contraenti.
Adesso, nel minuetto su chi debba dire di sì o di no, sembrano cadere tutti dalle nuvole. Il sindaco Hüllweck non è contrario a cedere parte dell'area del Dal Molin: "Ma se sono io a dire di sì, poi chi me li dà i milioni di euro per il necessario completamento della tangenziale, le altre strade, gli scavi, i sottoservizi di acqua, gas e energia elettrica?". Il ministro Parisi preferirebbe certo sottrarsi alle ire di Oliviero Diliberto che a giugno è arrivato a Vicenza in veste di capopopolo contro il nuovo insediamento militare yankee: ma come spiegare un rifiuto all'alleato americano e al buon amico di Condy Rice, il ministro degli Esteri Massimo D'Alema? Fosse il Comune a dire di no gli toglierebbe le castagne dal fuoco. Ecco allora, lo segnaliamo per il 'libro delle prime volte', che la risposta di Parisi al sindaco inaugura la formula del silenzio-dissenso: "In assenza di un riscontro si riterrà che il Comune di Vicenza abbia espresso parere negativo".
Come si è arrivati a un tale mirabile esempio di patafisica della politica? "Me ne accennò la prima volta, nel marzo 2004, il consigliere politico del comando militare Usa a Vicenza, Vincent Figliomeni, durante una rituale visita di cortesia del comandante della Ederle", racconta il sindaco. Quando gliene riparlano, un anno dopo nel marzo 2005, chiede perché vogliano proprio il Dal Molin. "Non intendiamo usare la pista, i nostri soldati si sposteranno alla base aerea di Aviano in pullman e solo di notte", gli assicurano: lo ribadiranno ufficialmente a più riprese, anche al ministero della Difesa italiano. Affermazione plausibile in termini di procedure e costi, ma curiosa visto che per arrivare ad Aviano in autostrada c'è di mezzo il perenne ingorgo del passante di Mestre: ve la vedete la Brigata d'assalto di punta dell'US Army pronta a essere paracadutata d'urgenza in teatro di combattimento, traffico mestrino permettendo? Nella ricostruzione di Hüllweck, è lui a parlarne a Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che a sua volta incontra l'ambasciatore americano: nega così, il sindaco, che l'imput gli sia venuto da Silvio Berlusconi, proprio nel marzo 2003 testimone alle sue seconde nozze. Il Comune risponde invece picche alla richiesta Usa di costruire anche un reparto ostetricia tutto per loro, in modo che i pargoli della 173a potessero nascere in suolo americano, ancorché oltreoceano.
Solo nel marzo di quest'anno cominciano a uscire le prime notizie sulla prossima rivoluzione militare americana a Vicenza. E a formarsi i primi Comitati del No, ormai sei riuniti in un coordinamento, negli ultimi giorni presenti con cartelli e cortei, e una raccolta di 10 mila firme, dalla riunione del Consiglio comunale all'arrivo del ministro Francesco Rutelli per il premio Eti, l'Oscar del teatro italiano, in quel gioiellino che è l'Olimpico. "Ma scherziamo? Un'altra base del genere in piena città, in un'area congestionata dove nelle ore di punta già si formano chilometri di coda, contro il parere del comune confinante di Caldogno, distruggendo per le infrastrutture anche l'argine del fiume Bacchiglione? E i problemi di sicurezza? L'Unione non doveva ridurre le servitù militari? Vale solo per l'isola sarda della Maddalena?", attaccano Cinzia Bottene e Viviana Varischio, presidenti di due dei sei comitati.
A maggio arrivano in Consiglio comunale tre colonnelli Usa e spiattellano un malloppo di trecento pagine con tutti i progetti delle nuove strutture previste al Dal Molin: c'è disegnato ogni muro, pilastro, pensilina, tipo di tegola, rubinetto, linea e presa elettrica, dalla caserma a otto palazzine a pettine di quattro piani più uno alla mensa per 801-1.300 persone, più due autopark di sei piani, depositi, negozi, due ristoranti, fast food, barbiere, fino ai 14 metri quadri per la pompa di benzina. Gli americani le cose le fanno così: hanno messo nero su bianco persino le modalità con cui selezionare i dentisti italiani in considerazione delle differenze tra i nostri e i loro medicinali. L'investimento Usa è pari a 306 milioni di dollari per la sola prima fase da chiudere entro il 2007: la tabella sta nella relazione del citato generale Jones alla Commissione Forze armate del Senato americano del 7 marzo scorso, dove si dettagliano anche 26 milioni per il Centro fitness, 52 per il mini-ospedale, 31 per la scuola elementare americana all Ederle. Il complesso dovrebbe operare a pieno regime nel 2010, con una spesa finale sul miliardo di dollari.
Per gli americani è tutto deciso, per gli italiani tutto da decidere. "Che vuole, Vicenza è il cuore della tradizione dorotea, cioè della mediazione infinita per accontentare tutti. Oggi che i democristiani non ci sono più è anche peggio: alla composizione degli interessi s'è sostituita la reticenza, non si sa mai chi, come e quando decide", annota Ilvo Diamanti, vicentino, politologo, prorettore all'ateneo di Urbino.
E infatti la scelta non ha né padri né madri. "Sì, ho tenuto io i rapporti con gli americani della base, specie con i tecnici", dice Claudio Cicero, assessore di An a mobilità, trasporti e infrastrutture, nel cui ufficio già campeggia il tracciato della tangenziale che vorrebbe costruire coi soldi degli States, del governo italiano, della Regione, facciano loro, purché non con le casse del Comune: ma neanche lui annuncia battaglia in caso di un 'no' del governo. Più sottilmente, insinua il dubbio che impedire il ricongiungimento della 173a a Vicenza potrebbe spingere gli americani a spostare tutto altrove, in Germania o magari in Romania: "Alla Ederle lavorano oggi 750 italiani come personale civile. Se perdessero il lavoro, solo un terzo potrebbe essere ricollocato altrove". Del resto è in quel bacino che Cicero prende i voti, non certo tra i catilinari antiguerra e antibase. Ma in questa sua posizione si ritrova come alleati Cisl e Uil, anima del comitato per il 'sì' che ha anch'esso raccolto le sue brave 10 mila firme.
A sentire gli esperti, non sembra probabile che in caso di rifiuto gli americani per ripicca dislochino la 173a in Romania o in Bulgaria, e a Vicenza smantellino anche la Ederle. I soldati si spostano in aereo, ma tanks e rifornimenti si muovono via nave, e ai porti di Livorno o Trieste si arriva facilmente, tra il Mediterraneo e il Mar Nero c'è invece di mezzo il Bosforo: basterebbe allora un colpo d'ala del premier turco Erdogan o di chi per lui a inceppare l'intera strategia di intervento rapido in Medio Oriente. Ma le minacce più sono velate e meglio funzionano, in casi come questo.
A margine, un piccolo italianissimo interrogativo: giacché tutta la storia nasce con Berlusconi presidente del Consiglio, che farà per tener fede all'impegno, ancorché informale, da lui preso con il suo amicone americano? "L'ho sentito giovedì scorso", risponde il sindaco Hüllweck: "'Come sei messo?', mi ha chiesto, 'so che hai dei problemi. Vuoi magari parlarne con l'ambasciatore americano?'". Detto fatto, l'incontro ha luogo a Roma il mercoledì. Ovvero: come un'incontenibile esuberanza, forse la nostalgia di quando queste cose le faceva da premier, dà luogo a una diplomazia parallela da Repubblica delle banane.
Ricordate 'Apocalypse Now'? Ricordate il protagonista, il capitano mandato a stanare il colonnello Kurtz dal suo regno nella giungla? Anche nel film, l'ufficiale incaricato della missione impossibile è un ufficiale della 173a brigata. Perché il reparto vicentino destinato a diventare 'il pugno dell'America in Medio Oriente' incarna tutti i miti della storia militare statunitense. Dal 1917 sono sempre i primi a entrare in battaglia. I battaglioni ricostituiti per potenziare la base veneta vantano medaglie conquistate in Tunisia, in Sicilia, in Normandia. Sono gli Sky soldiers, che arrivano dovunque e risolvono ogni situazione. A qualunque costo.
In realtà, in Vietnam il reparto è stato mandato al massacro: i parà hanno combattuto per sei anni di fila. Anche quella volta furono i primi ad arrivare, raccogliendo 8 mila onorificenze negli scontri. Il prezzo? Milleseicento nomi incisi sul Muro della memoria. Un tributo di sangue che ha costretto il Pentagono a sciogliere il reparto. L'unità è risorta nel 2000, proprio a Vicenza, per tenere sotto controllo i Balcani. Ma l'esordio bellico è stato in Iraq, con uno spettacolare lancio di paracadutisti ad uso della Cnn nella zona curda. Un volo diretto dall'Italia che ha scavalcato il no di Ankara al conflitto: "Siamo bastati da soli per aprire il fronte nord", si vantano i parà. Il resto della campagna irachena e le operazioni afgane nella zona talebana sono costate molte vite: almeno 40 parà vicentini sono morti. Perché già oggi la base veneta è in prima linea. E usa come motto la conversazione tra terroristi intercettata a Kirkuk: "Questi americani non sono marines: sono terribili, sono dovunque e ci stritolano". Peggio di Rambo.
Roberto Di Caro
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