Quel pezzo d'Italia che diverrà a stelle e strisce
«Da qui a qui». Gli esponenti dell'osservatorio contro le servitù militari e dei sindacati di base di Vicenza indicano le dimensioni della nuova base militare americana che dovrebbe insediarsi all'aeroporto Dal Molin (a due passi dal centro della città). «Da qui a qui» equivale ad un 1,5 chilometri di lunghezza in uno dei pochi polmoni verdi della città, una zona (la circoscrizione cinque) residenziale, che i militari Usa nei fatti occuperebbero trasformandola radicalmente. «Ma a questo progetto - spiega Martina dell'osservatorio - bisogna aggiungerne anche un altro, già in fase avanzata. Si tratta di un complesso di 215 nuove villette per i militari residenti». Un villaggio che nascerebbe a Quinto vicentino per una estensione di 220mila metri quadri. «In totale - dice Martina - tra nuova base, villaggio e basi già esistenti a Vicenza gli americani arriverebbero ad occupare 2milioni di metri quadri di territorio». Tanto per avere un termine di paragone, l'intera zona industriale vicentina occupa un milione e trecentomila metri quadri di territorio.
L'opposizione alla costruzione di una nuova base americana nel perimetro dell'aeroporto Dal Molin, nasce dal basso. Comitati popolari sono nati un po' ovunque in città e si fanno sentire. Poi c'è l'osservatorio contro le servitù militari che naturalmente unisce al discorso di difesa e tutela dell'ambiente e della natura stessa della città anche un'opposizione più complessiva ad un modello di difesa che il governo italiano (guidato da Berlusconi prima, ma anche questo centro sinistra non ha finora segnato una svolta in materia) lega indissolubilmente ai rapporti fraterni e cordiali con gli Usa. Con il risultato che ormai si può discutere dell'opportunità di costruire una base americana (o Nato) in un luogo piuttosto che in un altro, ma senza mai mettere in discussione la costruzione stessa della caserma. Quasi fosse inevitabile. E Vicenza, in questo senso, dimostra che l'Italia ha scelto di diventare ancor più di quanto non lo sia oggi una portaerei americana. «Perché se il progetto del Dal Molin andrà in porto - dice Olol Jackson dei Verdi - noi avremo a Vicenza la gendarmeria europea, il Coespu che è la scuola di formazione per militari dei paesi in via di sviluppo, la caserma Ederle e appunto il Dal Molin». In questa nuova base verrebbe riunificata la 173° brigata: 1600 militari in più a cui vanno aggiunti i civili (circa 2000 persone in totale) ora dislocati in Germania (a Bamberga e Schweinfurt). Nei fatti entro il 2010 Vicenza diventerebbe la base statunitense più potente in Europa. Da qui partirebbero tutte le future missioni verso il Medioriente. A parlare di riconversione ad usi civili delle basi militari, dicono quelli dell'osservatorio, si viene presi per marziani. Anche da tanta parte del centro sinistra. Che infatti al più sta cercando un sito alternativo al Dal Molin, magari in campagna, a Vicenza est, lontano (si fa per dire) dai quartieri residenziali. I comitati per il Dal Molin invece delle proposte alternative le hanno. Intanto, dicono, si potrebbero collocare all'interno dell'aeroporto i vigili del fuoco e la sede regionale della protezione civile. Poi ci sono i campi da rugby (che nel progetto verrebbero ovviamente spazzati via) e lì le società sportive di idee ne hanno parecchie.
La settimana scorsa i comitati di cittadini hanno presentato in un articolato convegno un'analisi costi/benefici fondata sui dati ufficiali Usa, come per esempio quelli presentati nel consiglio comunale del 25 maggio scorso. Analizzando le cifre a disposizione i comitati sono giunti alla conclusione che il progetto comporterebbe in realtà una forte perdita economica che finirebbe con l'essere a carico della collettività. A beneficiare del progetto sarebbero naturalmente il governo americano e poi vari imprenditori, solo in parte vicentini. «In questo caso - concludono i comitati - avremmo operato un trasferimento di ricchezza dalla collettività a pochi, mentre per molti aumentano i costi personali e sociali e viene gravemente compromesso per decenni lo sviluppo della città». In pochi mesi un appello per la fine della militarizzazione della città ha raccolto 12 mila firme. Ci sono state diverse manifestazioni, l'ultima una settimana fa. In comune intanto tutto tace, anche se si era parlato di una convocazione del consiglio per il 5 ottobre. Ma il progetto americano ha ricevuto il placet del governo Prodi. Il ministro della difesa Arturo Parisi, infatti, durante il question time di martedì scorso, pur ribadendo che non c'è ancora alcun accordo sottoscritto e che la giunta comunale dovrà dire la sua, ha confermato che il progetto Usa per il Dal Molin è «in sintonia con le politiche di difesa del nostro governo».
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