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Fulmine di guerra, l'Italia decolla

Ma chi è che ci guadagna? La Alenia e la FiatAeronautica e marina italiane saranno dotate del nuovo caccia Usa F-35 Lightning (fulmine) II. L'Italia ne acquisterà 131 per 11 miliardi di dollari. Berlusconi versò un miliardo di dollari per aderire al programma. Non bastavano i 121 Eurofighter Typhoon
25 ottobre 2006
Manlio Dinucci
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Il caccia statunitense di quinta generazione Joint Strike Fighter sta ormai decollando. Il primo prototipo è stato presentato dal Pentagono in luglio e, alla cerimonia di inaugurazione, l'aereo è stato ribattezzato F-35 Lightning (fulmine) II, perché «come un fulmine esso colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente». Pochi giorni fa, l'aeronautica Usa ha comunicato l'elenco delle basi in cui saranno testati i nuovi caccia, realizzati dalla Lockheed Martin, e addestrati i piloti. Nel frattempo la Northrop Grumman ha messo a punto il software del caccia, che sarà sperimentato attraverso 47 test stations dislocate negli Usa e in Gran Bretagna. Una volta testati i 23 prototipi, nel 2008 inizierà la produzione delle tre varianti del caccia: la prima a decollo e atterraggio convenzionali, la seconda per le portaerei, la terza a decollo corto e verticale. Saranno così dotate del nuovo caccia aeronautica, marina e corpo dei marines.
Un memorandum d'intesa
Anche l'aeronautica e la marina italiane, secondo quanto stabilito finora, saranno dotate del nuovo caccia. Il primo memorandum d'intesa per far partecipare l'Italia al programma del Joint Strike Fighter è stato firmato il 23 dicembre 1998, durante il governo D'Alema. Quindi, durante il governo Berlusconi, la commissione difesa del senato ha approvato, il 14 maggio 2002, la proposta governativa di finanziare il «Programma pluriennale di ricerca e sviluppo dello Stato maggiore dell'aeronautica n. 2/2002 relativo allo sviluppo del velivolo Joint Strike Fighter (n. 99)». Il memorandum d'intesa con cui l'Italia è entrata a tutti gli effetti nel programma del Joint Strike Fighter è stato firmato al Pentagono, il 24 giugno 2002, dall'ammiraglio Giampaolo Di Paola, l'attuale capo di stato maggiore della difesa, che allora era segretario generale della difesa e direttore degli armamenti nazionali. L'Italia è entrata nel programma come partner di secondo livello (dopo Usa e Gran Bretagna al primo), impegnandosi a pagare un miliardo di dollari e ad acquistare oltre cento caccia.
«Eccellenti prospettive»
L'impegno è stato confermato durante il governo Prodi, con la visita a Washington del capo di stato maggiore dell'aeronautica, generale Tricarico. Che a giugno a Washington, qui ha incontrato il capo di stato maggiore dell'aeronautica Usa e dirigenti della Lockheed Martin. Nel comunicato emesso si precisa che l'Italia acquisterà 131 dei circa 2.700 nuovi caccia di cui è prevista la produzione.
Finora l'Italia ha investito nel programma 1.028 milioni di dollari, ma i contratti già firmati dall'industria italiana (un gruppo di aziende capeggiato da Alenia Aeronautica e Fiat Avio), già ammontano a 870 milioni di dollari. Vi sono «eccellenti prospettive», ha dichiarato il generale, di svolgere in Italia, nei prossimi 45 anni, operazioni di assemblaggio e controllo dei velivoli montati da fornire ad altri paesi, che garantiranno 10mila posti di lavoro, con un giro d'affari stimato dalla Lockheed Martin in 9,6 miliardi di dollari. Quale sede più idonea per l'assemblaggio viene indicato l'aeroporto di Cameri (Novara).
Un grande affare, dunque? Rifacciamo i conti. Mentre nelle casse delle aziende private entrano 870 milioni di dollari per i contratti sinora stipulati e altri milioni per quelli futuri, dalle casse pubbliche escono oltre un miliardo di dollari per partecipare al programma e come minimo 11 miliardi di dollari per l'acquisto dei caccia, il cui costo è già salito da 66 a circa 85 milioni per aereo e aumenterà ulteriormente. Si aggiungono a questi circa 7 miliardi di euro per acquistare 121 Eurofighter Typhoon, il caccia europeo che l'Italia sta costruendo (insieme a Gran Bretagna, Germania e Spagna) mentre allo stesso tempo partecipa alla realizzazione del caccia statunitense, concorrente di quello europeo.
Governo «previdente»
Il governo comunque è previdente: nella Finanziaria ha stabilito (all'art. 113) un fondo di circa 4,5 miliardi di euro in tre anni «per la realizzazione di programmi di investimento pluriennale per esigenze di difesa nazionale, derivanti anche da accordi internazionali».
Per sostenere tali costi, che si aggiungono alla spesa militare italiana già al settimo posto su scala mondiale con 27 miliardi di dollari annui (dati Sipri), dovremo certo fare sacrifici. Essi saranno però ricompensati dal sapere che sulla portaerei Cavour, fulcro della «forza nazionale di proiezione dal mare», e nella «expeditionary air task force» per la proiezione del nostro «potere aereo» (Di Paola), ci sarà il caccia statunitense di quinta generazione, che «come un fulmine colpirà il nemico con forza distruttiva e inaspettatamente».

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