Legge sulle armi, uno solo dice no
Questa volta gli Stati uniti sono proprio soli. Soli di fronte al resto del mondo, che ha deciso di mettere nero su bianco le nuove regole sul commercio delle armi. Non ci sono neanche i cugini britannici a dar man forte all'alleato d'oltreoceano: giovedì sera, quando il comitato dell'Onu ha messo ai voti la proposta di redigere un trattato sulla compravendita di armi, Londra ha risposto sì. Lo stesso i francesi, che in tema di armamenti hanno sempre fatto la voce grossa. Persino la grande Russia e il gigante cinese hanno preferito non opporsi, scegliendo la via più prudente dell'astensione. Due produttori emergenti dell'ex blocco sovietico, Ucraina e Bulgaria, hanno invece espresso parere positivo. Riassumendo: 139 sì, 26 astensioni (tra cui India e Pakistan) e un solo no. Quello degli Stati uniti. L'unilateralismo della super potenza, insomma, assomiglia sempre di più a una malattia irreversibile. Di fronte all'isolamento internazionale, Washington risponde che i trattati già in vigore sono più che sufficienti. Diverso il parere dei britannici, che salutano il voto all'Onu come un grande traguardo: «Tutti i paesi dovrebbero sostenere un trattato come questo, perché offre la speranza di un mondo più sicuro in cui i bambini non debbano aver paura di andare a scuola», ha dichiarato il ministro per lo Sviluppo internazionale di sua maestà Gareth Thomas. Le organizzazioni per i diritti umani applaudono. Per Amnesty International, si tratta di «un'opportunità storica» per redigere un trattato credibile, che metta fuorilegge i trasferimenti di armi, causa di «sistematici omicidi, stupri, torture».
Il voto del primo comitato dell'Assemblea generale dell'Onu è frutto di un lungo lavoro. Negli ultimi tre anni, la campagna «Control Arms» - promossa da Amnesty, Oxfam International e dalla Rete internazionale d'azione sulle armi leggere (Iansa) - ha raccolto un milione di adesioni in 170 paesi. Nella lista dei sostenitori spiccano i nomi di 15 premi Nobel per la pace, tra cui l'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu e il Dalai Lama. «Questa decisione deve tradursi in un trattato forte, basato sugli impegni di diritto internazionale assunti dagli stati», ha detto Rebecca Peters, direttrice di Iansa.
Ma perché i trattati in vigore non sono efficaci? La globalizzazione ha reso i controlli attuali inadeguati, spiegano i promotori di «Control Arms». Per le grandi industrie di armamenti, infatti, è semplice sfuggire ai controlli. Se in un paese le regole sono rigide, basta trasferire i centri di produzione dove le leggi sono più permissive. Il voto all'Onu, comunque, è solo un primo passo. Il segretario generale dell'Onu (dal primo gennaio Ban Ki-Moon) ha un anno di tempo per ascoltare i pareri di tutti gli stati membri delle Nazioni unite. Terminate le consultazioni, riferirà alla fine del 2007 all'Assemblea generale. La parola passerà poi a un gruppo di esperti governativi, che a sua volta sarà ascoltato dall'Assemblea nel 2008. Insomma, prima di vedere la bozza del trattato ci vorranno anni. Proprio per questo colpisce il voto contrario degli Usa, che hanno detto no prima ancora di conoscere i principi guida del possibile trattato. In America latina e Africa, al contrario, l'idea ha suscitato molto interesse. Soprattutto tra i paesi che hanno sofferto gli effetti del traffico incontrollato di armi, come Colombia, Haiti, Liberia e Rwanda.
L'idea piace meno all'industria bellica, per la quale ogni anno si spendono nel mondo più di mille miliardi di dollari. Al primo posto tra i paesi esportatori ci sono gli Stati uniti. Secondo le stime del londinese Institute for Strategic Studies, nel 2004 gli Usa hanno esportato armi per un valore di 18,5 miliardi di dollari Seguono molto distanziate Russia (4,6 miliardi), Francia (4,4), Regno unito (1,9) e Germania (0,9). Nella classifica degli acquirenti, considerando solo i paesi in via di sviluppo, il primo posto spetta agli Emirati arabi uniti (3,6 miliardi di dollari spesi nel 2004), seguiti da Arabia saudita (3,2 miliardi), Cina (2,7) e India (1,7). Di sicuro non sarà facile mettere tutti d'accordo su un trattato internazionale. Oltre al no degli Usa, pesano le astensioni di Russia e Cina, che faranno di tutto per evitare danni alle loro industrie belliche.
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