Sanzioni all'Iran, da che pulpito
La risoluzione del consiglio di sicurezza costituisce un «forte segnale» all'Iran perché sospenda le sue attività nucleari: lo ha sottolineato la segretaria di stato Condoleezza Rice, invitando tutti i paesi a «prendere azioni immediate» contro Teheran. La risoluzione non prevede però azioni militari, come avrebbe voluto Washington. Poco importa: ci stanno già pensando gli Stati uniti. Nel Golfo e nei mari adiacenti sono già schierate 45 navi da guerra per la maggior parte statunitensi e britanniche, tra cui la portaerei Eisenhower e il suo gruppo di battaglia con centinaia di aerei e missili da crociera, cui si aggiungerà tra breve la portaerei Stennis. Questa forza navale e quella aerea, comprendente anche i bombardieri pesanti schierati a Diego Garcia e in altre basi, sono pronte per l'attacco all'Iran secondo un piano già concordato da tempo tra Washington e Tel Aviv. Intanto si prepara l'opinione pubblica internazionale, con un massiccio attacco condotto con le armi di distrazione di massa.
Da un lato si ingigantisce un pericolo, quello che un giorno l'Iran possa costruire armi nucleari, dall'altro si nascondono altre e ben più reali minacce. Mentre l'Iran si è finora attenuto al Trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp), i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Stati uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina) lo hanno violato in quanto dovrebbero impegnarsi per «il disarmo generale e completo sotto stretto ed effettivo controllo internazionale» (Art. 6). Solo Stati uniti e Russia mantengono complessivamente circa 26mila testate nucleari e tanto plutonio da fabbricarne altre 200mila. E' in corso allo stesso tempo una ricerca febbrile, trainata dagli Stati uniti, per realizzare armi nucleari di nuovo tipo: tra queste le mini-nukes che, grazie a effetti collaterali ridotti, potrebbero essere utilizzate come armi da campo di battaglia in conflitti regionali. Le altre potenze nucleari - Israele, India e Pakistan - non hanno nemmeno aderito al Tnp e la Corea del Nord ne è uscita.
A queste nove potenze nucleari, con tutta probabilità se ne aggiungeranno altre. Vi sono oggi almeno 40 paesi in grado di costruire armi nucleari e non manca la materia prima: 130 dei 441 reattori nucleari, distribuiti in 31 paesi, funzionano con uranio arricchito per uso militare. Il governo giapponese ha dichiarato in novembre che la Costituzione «non necessariamente vieta al paese di possedere armi, anche se si tratta di armi nucleari, se sono il minimo necessario per l'autodifesa». Contemporaneamente sei paesi arabi - Arabia saudita, Egitto, Marocco, Algeria, Emirati arabi uniti e Tunisia - hanno annunciato di voler sviluppare programmi nucleari. E, poiché non esiste una netta linea di demarcazione tra uso civile e uso militare del materiale fissile, essi potrebbero un giorno costruire armi nucleari.
Qual è la principale causa di questa inarrestabile proliferazione nucleare? L'ex presidente Jimmy Carter non ha dubbi: «Respingendo o violando quasi tutti gli accordi per il controllo degli armamenti nucleari, negoziati negli ultimi 50 anni, gli Stati uniti sono divenuti il principale colpevole della proliferazione nucleare globale» (Our Endangered Values, Simon & Schuster, 2006). Basti pensare che, appena cinque giorni prima della risoluzione sulle sanzioni all'Iran, il presidente Bush ha firmato la legge che permette agli Stati uniti di fornire tecnologia nucleare e materiale fissile all'India. In base all'accordo tra i due governi, l'India, che non aderisce al Tnp, aprirà 14 dei suoi 22 impianti nucleari a ispezioni internazionali, ma ne conserverà 8 off-limits per uso esclusivamente militare. Usando anche tecnologie statunitensi, potrà aumentare la produzione di armi nucleari da 10 a 50 all'anno. In cambio le imprese statunitense potranno realizzare affari stimati in circa 100 miliardi di dollari. Tra questi ci potrebbe essere la vendita di oltre 120 cacciabombardieri del valore di 6 miliardi di dollari, a duplice uso convenzionale e nucleare. Inevitabilmente, il Pakistan reagirà aumentando la produzione di armi nucleari.
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