La base c'è, Prodi non la vede
«Non ne sapevamo nulla, il vecchio governo non ci ha informato». Parola di Romano Prodi, presidente del Consiglio italiano, il 17 gennaio dell'anno di grazia 2006. Cioè ieri. Oggetto della discussione la costruzione di una base americana nell'area civile dell'ex aeroporto Dal Molin a Vicenza. Quella che, nelle intenzioni, dovrebbe andare a raddoppiare la caserma già esistente, che di nome fa Ederle e dalla quale nel marzo 2003 partirono i primi parà statunitensi per il Kurdistan iracheno, all'inizio della seconda guerra nel Golfo.
Ma se un punto fermo c'è in tutta questa vicenda è che l'attuale governo italiano sapeva eccome. E che ha maldestramente gestito una questione che forse avrebbe potuto affrontare prima che i nodi venissero al pettine. Vale a dire prima che, come da programma, gli statunitensi chiedessero di poter cominciare i lavori, previsti per l'inizio dell'anno e con scadenza 2010. Lo si potrebbe dedurre con facilità da come il 27 settembre scorso il ministro della Difesa Arturo Parisi rispondeva a un'interrogazione parlamentare di Severino Galante del Pdci, definendo quella di Vicenza come una «nota questione». C'è da credergli, se è vero che il progetto era già stato illustrato dagli stessi americani in un turbolento consiglio comunale vicentino il 26 maggio, che già altre due interrogazioni avevano avuto risposta da parte del vicepremier Francesco Rutelli, il 31 maggio, e del ministro per i Rapporti con il parlamento Vannino Chiti, il 6 luglio, e finanche dallo stesso Prodi il 26 luglio.
Che fosse una polpetta avvelenata, quella lasciata al premier in eredità da Silvio Berlusconi, ci sono pochi dubbi. Una «disponibilità», quella del vecchio governo, non meglio precisata e che «ha certamente alimentato e dato fondamento ad aspettative nella controparte statunitense in relazione alla fattibilità dell'operazione», precisa il ministro della Difesa Arturo Parisi in una lettera inviata a dieci parlamentari verdi e rifondaroli lo scorso 26 luglio. Tanto ci credevano, gli americani, che già a maggio avevano pronto un dettagliato progetto di «ricongiungimento funzionale» delle due basi vicentine. E che nel mese di luglio, dopo una riunione al ministero della Difesa, hanno dato il via ai «carotaggi» preliminari all'inizio dei lavori.
Hanno inteso male i nostri Alleati d'oltreoceano, dunque? Stando ai fatti, non parrebbe. E' il marzo 2005 quando il comandante delle forze armate Usa in Europa, generale James L. Jones, parla dinanzi al Senato americano per farsi approvare i finanziamenti. E dice: «Abbiamo piani per espandere impianti e infrastrutture nell'area di Vicenza». Il progetto c'è già e in Italia diventa pubblico nel maggio scorso, a governo Prodi appena insediato. Ci sono i costi, circa 800 milioni di euro, le planimetrie che mostrano le «suite residenziali» per militari e famiglie, i centri commerciali e le palestre, le linee telefoniche ed elettriche, e una mensa per 1.300 persone.
Nessuno lo smentisce, ma in tutte le risposte alle interrogazioni si precisa come «la disponibilità di massima manifestata dal precedente governo non si è tradotta in alcun accordo sottoscritto». Anzi, spiega Prodi il 26 luglio a una platea di Montecitorio prossima alle vacanze estive, il sì al progetto è subordinato «a uno specifico piano di transizione (al momento in elaborazione)». Di più, nella missiva inviata lo stesso giorno ai dieci deputati, tra cui alcuni «dissidenti» sull'Afghanistan come Turigliatto, Malabarba, Grassi e Bulgarelli, il ministro Parisi scrive che «il governo intende riconsiderare con gli Stati Uniti il progetto nel suo complesso».
Peccato che appena 20 giorni prima al ministero della Difesa si era svolto un incontro tra italiani e americani a seguito del quale erano partiti i «carotaggi» sull'intera area, un vero e proprio inizio occulto dei lavori. E' costretto ad ammetterlo al parlamento due mesi dopo lo stesso Parisi. E' il 27 settembre, il ministro dice: «Per quanto concerne la riunione del 6 luglio, confermo il suo svolgimento, così come la conoscenza da parte del ministero. Si è trattato di una riunione di carattere meramente tecnico volta a verificare la fattibilità di uno specifico piano di transizione, con la partecipazione di tutte le parti in causa. Per la Difesa, alla riunione hanno preso parte i vertici tecnici di settore e, in particolare, il direttore generale del demanio militare, oltre a rappresentanti dello Stato maggiore della Difesa e del gabinetto del ministro. Erano inoltre presenti i rappresentanti militari statunitensi». C'era anche il sindaco di Vicenza, il forzista Enrico Hullweck, aggiungiamo noi. Ma quello che balza all'occhio è che il «piano di transizione» in due mesi diventa così da «in corso di elaborazione» (Prodi) a un'ipotesi ancora allo studio (Parisi).
Qualche argomento in più ce lo fornisce una lettera in cui il capo di gabinetto di Parisi, generale Biagi, risponde al sindaco Hullweck: all'amministrazione comunale si chiede un «giudizio sul progetto, muovendo dagli impatti sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulle reti di sottoservizi». Lasciando intendere che un «no» vorrebbe dire che da Vicenza andrebbero via tutti i militari Usa, pure quelli che già ci sono. Dal che si intuisce che l'unica verità Prodi l'ha detta due giorni fa: quello della base è un problema «urbanistico» che tocca al sindaco sciogliere perché il governo ha già deciso per il sì sul piano politico, senza alcun voto parlamentare. Vuoi come contropartita chiesta dagli americani per compensare il ritiro dall'Iraq, vuoi per altre ragioni meno note. Una bella rogna per il primo cittadino vicentino: il centrodestra di cui fa parte è infatti per il sì ma la sua maggioranza in comune è spaccata e i cittadini non vogliono i parà Usa. Il rischio di gravi ripercussioni politiche è forte. Per cui Hullweck cambia obiettivo: «Sì alla nuova base americana, ma no ai sorvoli di aerei militari a stelle e strisce nel cielo di Vicenza». Ben sapendo che se una cosa chiara il capo di gabinetto di Parisi gli aveva scritto era proprio quella: «Non vi sarà attività di volo militare connessa con il reparto Usa».
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