Le inedite alleanze che smuovono una città non abituata alle barricate
Ognuno fa la sua parte, e adesso che l'ala più disobbediente della protesta vicentina ha accelerato sulla manifestazione nazionale contro la nuova base americana (17 febbraio) nei prossimi giorni le organizzazioni, i comitati e soprattutto la Cgil vicentina dovranno lavorare per ricucire strappi e strappetti e organizzare un grande corteo unitario (come è successo lo scorso 2 dicembre). Il segretario della Camera del Lavoro, Oscar Mancini, preso in contropiede, non nasconde la sua preoccupazione ma si impegnerà per mantenere intatto il carattere «unitario e di massa» della protesta che sta trasformando questa sonnolenta e ricca città in un laboratorio di opposizione sociale. Il suo problema, e si capisce, è portare in piazza la Margherita e la Cgil nazionale, che ieri (e finalmente) si è fatta viva con un documento che invita il governo Prodi a tenere conto «dei problemi sollevati nel territorio». Olol Jackson, verde di «area disobbediente», può permettersi maggiore agilità e non ne fa un dramma, «la data serve per cominciare un confronto, c'è spazio per tutti, altrimenti la base americana ce la costruiscono mentre continuiamo a discutere».
Ma è nel territorio, e non nei partiti o nelle stanzette private delle associazioni e della politica, che sta il segreto di un movimento poco visibile (i vicentini non sono abituati a prendere la piazza) che sorprende e fa ben sperare tutti i militanti di sinistra, soggetti un po' strani che qui a Vicenza si sentono in trincea. Un buon osservatorio per capire l'aria fresca che tira, una sorta di luogo di aggregazione aperto che la città non ha mai avuto, è il tendone del presidio permanente, sul perimetro dell'aeroporto Dal Molin. Si discute e si gela fino a notte, partecipano persone che di solito non escono nemmeno di casa, nota Cinzia Bottene, portavoce dell'assemblea permanente: «Portano le torte, le braciole...io continuo a ricevere messaggi da persone che nemmeno conosco». Sono tutti buoni segnali, ma basta questo per tenere duro e fare di Vicenza la nuova Val di Susa, dove i sindaci erano in prima linea mentre qui la politica è morta? Dicono sì, perché Vicenza non sta tutta sotto un tendone e non è abituata a sventolare bandiere e ormai (forse) i vicentini «normali» non si spaventano per un lancio di pomodori sulle istituzioni. «I giornali locali - spiega un giovane sindacalista - ci hanno già attaccato selvaggiamente con il discorso della violenza, credo che i cittadini siano pronti a reggere una campagna di delegittimazione».
Per individuarli bisogna saper guardare altrove, sotto traccia, lontani dai proclami, anche se può spiazzare non riconoscersi più di tanto con alcuni «compagni» di lotta. «Non dimentichiamo che Vicenza è una città profondamente di destra», ripete chi a sinistra in questi giorni sta camminando sulle uova. Da qui alla manifestazione nazionale, oltre al presidio in Prefettura di ieri sera, il calendario è fitto di appuntamenti «militanti» per tenere in caldo la protesta (un convegno il 26 gennaio sulla riconversione della base Ederle, un appuntamento sotto il tendone con Alex Zanotelli e poi spettacoli e dibattiti...) ma la città (c'è chi dice purtroppo) è forte di ben altre risorse. Qui nel vicentino, tanto per farla breve, se esce una nuova Ferrari, il giorno dopo la ritrovi sicuramente parcheggiata sotto casa. Il dio denaro: è tutto. Visto che Vicenza sa rispondere solo agli interessi economici, qualcuno sta ragionando su come boicottare chi non l'ha saputa ascoltare. Esempio. Se Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza, si esprime a favore della base americana, qualcuno potrebbe chiudere il conto in banca (e qui sono piuttosto sostanziosi). Oppure. L'Aim (Azienda Integrata Municipalizzata) fornisce acqua, luce e gas agli americani, siccome sono costi che per il 37% paga lo stato significa che le bollette gonfiate sono quelle dei vicentini: allora, visto che si parla tanto di liberalizzazioni, perché non provare a cambiare gestore? Il boicottaggio è pratica che appartiene soprattutto al movimento cattolico. E qui a Vicenza, senza i cattolici non si muove foglia, e con i cattolici contro è meglio restarsene a casa.
Non è un caso se in alcuni dei sei Comitati del coordinamento contro la base americana i portavoce hanno un trascorso politico nella pastorale del lavoro (c'è chi alla domenica serve messa). I Comitati, ogni lunedì, si ritrovano nella parrocchia della Circoscrizione 5. Gli scout hanno già detto «no» alla nuova base e il discorso pacifista, maturato a partire dal Vangelo, è stato elaborato durante gli incontri con i parroci del quartiere più che nelle colorate manifestazioni no global. Sono decisamente più scomodi altri «compagni» di lotta. E' vero che Fini è intervenuto per zittire la base, ma i giovani di An si sono già espressi per il «no», e la base post-fascista (una marea) non sarà così contenta di sottostare al diktat a stelle e strisce. I leghisti, vabbé, per mestiere sarebbero padroni a casa loro...Per Vicenza sono risorse straordinarie, ma come la mettiamo se e quando arriveranno le ruspe? «Le bloccheremo», avrebbero mormorato alcuni cattolici doc.
Il problema della resistenza, passiva o meno dipende dall'intelligenza dei vicentini e prima ancora del governo Prodi, potrebbe essere di stringente attualità. Sono anni che gli americani aspettano l'ok per questa base, e in questi mesi, di nascosto, hanno già effettuato i sondaggi del terreno. E' presto per dire se una grande mobilitazione pacifica servirà per vincere la partita: a denti stretti qualcuno ammette che il centrosinistra non si dannerà l'anima per venire incontro ai cittadini di un territorio (elettori) che politicamente è dato per perso. «Ma certo non si risale la china facendo una politica che accontenta gli industriali e gli imprenditori sulle spalle del 70% della popolazione che non vuole lo scempio al Dal Molin», sostiene Morgan Prebianca, anello di congiunzione tra la Cgil e i comitati. Un'obiezione sola. Da lontano, chi ha il cuore che batte troppo a sinistra, potrebbe arricciare il naso di fronte a un protesta giusta ma che rimanda alla politica ambientalista un po' misera della difesa del proprio orticello. Prebianca, all'inizio, lo sospettava. Ma adesso non la pensa così. «Non si tratta di questo, ci sono ragioni più profonde. Molti cittadini che si stanno impegnando provengono dal sottobosco ambientalista, ma questa volta, lavorando insieme pur appartenendo a quartieri e zone diverse, hanno cominciato ad allargare l'orizzonte. A Vicenza oggi si parla di politica e di politica internazionale, ci si confronta con i valsusini, con i sardi, stanno prevalendo questioni di principio e non gli egoismi locali».
Le prossime elezioni provinciali d'aprile saranno un piccolo ma significativo banco di prova: per il centrosinistra, e per il centrodestra. Anche perché, dietro le quinte, proprio a Vicenza, qualcuno sta lavorando per tenere a battesimo il primo mostriciattolo del cosiddetto grande centro: Margherita. Ds, Udeur, Ppe (che è un pezzetto di Forza Italia) e Udc. Se gli elettori vicentini volteranno le spalle, sarà dura pontificare sul qualunquismo. E per la sinistra cosiddetta radicale che sta al governo, sarà ancora più dura recuperare terreno. Anzi, il territorio.
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