«Prezzi alti, rischi elevati» E l'Olanda bocciò gli F-35
Costi incerti, rischi finanziari, scarso accesso alle informazioni, procedure nebulose. Sono queste le parole ricorrenti con le quali la Corte dei conti olandese ha bocciato, nell'autunno scorso, l'adesione dei Paesi bassi all'operazione F-35. E' il documento europeo più analitico sull'accordo siglato due giorni fa al Pentagono dal governo italiano e che prevede l'adesione a produzione, supporto e sviluppo del caccia Joint Strike Fighter, Jsf o F-35. Stando alle indiscrezioni, i responsabili delle diverse istituzioni di revisione di alcuni paesi membri della Ue si sarebbero incontrati più volte per condividere dubbi e interrogativi sul dossier che riguarda il velivolo da guerra che dovrebbe rinnovare l'intero apparato di caccia in Italia e in altri paesi Ue e non. Riunioni a cui gli italiani non avrebbero però mai partecipato, rimanendo all'oscuro di una vicenda iniziata nel 1996 e arrivata in porto due giorni fa. Vero o falso che sia, il faldone F-35 è comunque destinato ad arrivare sul tavolo anche dei nostri revisori di bilancio. Nell'attesa ci affidiamo al parere dell'Olanda. Con un'aggiunta. Paradossalmente, prima della Corte dei conti olandese, qualche dubbio l'ha infatti espresso anche l'istituzione di revisione degli Stati Uniti.
La Gao (Government accountability office) rendeva note nel marzo del 2006, in un rapporto al Congresso, le sue considerazioni sul «più costoso programma aeronautico» concepito dal ministero della Difesa. Progetto da 49 miliardi di dollari, da qui al 2013, che solleva preoccupazione perché «il ministero della Difesa investe pesantemente... prima ancora che i test di volo dimostrino che effettivamente le performance siano quelle attese». In due parole, il Gao ritiene che la procedura stessa (una sorte di produzione al buio) possa portare ad «aumento dei costi, ritardo sulla tabella di marcia, problemi di efficienza». Ma torniamo in Olanda.
I costi sono l'ossessione anche dei revisori dei Paesi bassi. Perché, dicono i contabili della Algemene Regenkamer, la Corte dei conti olandese, «al momento non è possibile convalidare quelli finali» e del resto, come «già era accaduto con gli F-16», gli americani sono «riluttanti» a fornire troppe informazioni a riguardo. I revisori dei conti sostengono dunque che gli F-35 non sono al momento «l'aereo migliore al prezzo migliore», prezzo che «non sarà noto finché il primo aereo non verrà ordinato». Il che funziona per chi non partecipa all'intero programma dall'inizio, ma è «rischioso» per i partner che devono investire al buio. Quale sarà il prezzo finale dunque non si sa, salvo una proiezione di 85 milioni di euro, al netto della tasse, secondo le stime citate dall'Ar. Esiste un tetto di spesa ma, dicono i revisori, anche questo comporta un rischio. Se è vero che nei primi dodici mesi un paese che ha aderito all'accordo si può ritirare senza pagare sostanziose penali, chi garantirà - si chiede l'Ar - che i paesi che restano col fiammifero in mano non debbano farsi carico della fetta mancante? Ciò significa «essere esposti ad ancor più importanti conseguenze finanziarie». Inoltre l'Ar sostiene che non esiste un not-to-exceed price, ossia un prezzo massimo. In assenza di questo riferimento «esiste il rischio che il prezzo continui a salire». E avverte: una volta firmato l'accordo, andarsene diverrà col tempo sempre più costoso (per via delle penali).
Sul prezzo i conti li ha fatti anche la Rete Disarmo. «Ogni aereo costerà attorno ai 100 milioni - dice Francesco Patriarca- e con 133 velivoli, tanti l'Italia ne dovrebbe comperare, siamo a 13 miliardi di euro di spesa. Spropositata. Anche chi non è contro per motivi etici, come i pacifisti, dovrebbe capire che l'operazione è economicamente in perdita. Il paradosso è che anche sul piano della produzione saremo penalizzati. Intanto per ottenere il permesso di assemblare, perché di questo si tratta, bisogna garantire l'acquisito degli F-35. E comunque non se ne parlerà fino al 2012 almeno. In pratica non produrremo nemmeno un bullone. In quanti ci lavoreranno? Duecento persone direttamente e 800 nell'indotto». Non è molto per 13 miliardi di euro.
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